Kimshung 2016: Il racconto

Broad Peak 8047 m – Odio e amore

 

Dopo l’ascesa al Nanga Parbat mi sentivo in gran forma. Arrivati a Skardu, iniziammo subito a prepararci per ripartire verso il Baltoro. Immaginavamo Skardu diversa, credevamo di riuscire a riposarci e rilassarci di più e meglio. In realtà questa cittadina, che di fatto è la porta d’accesso alle grandi montagne del Karakorum, presenta un clima molto torrido con temperature altissime.  Gli hotel e i servizi sono molto spartani, tra le vie c’è molto traffico e oltre al museo Italiano sul K2 c’è ben poco da visitare. Non esiste un ristorante internazionale, è presente qualche raro e mal fornito negozio di montagna e l’aeroporto. Anche correre e allenarsi al trave è difficile a causa delle alte temperature e al traffico che sembra quello di una grande metropoli ma senza le zone ZTL. Insomma capimmo presto che era meglio scappar via velocemente e cercare di restare concentrati sui nostri prossimi obiettivi.

Lasciammo Roger a Skardu, lui aveva in programma di salire solo il Nanga e mentre noi eravamo impegnati su K2 e Broad avrebbe accompagnato un gruppo di trekkers come guida al campo base del K2. Nel gruppo ci sarebbero stati alcuni amici valdostani tra cui la mia fidanzata Alessia, la fidanzata di Roger, Federica, e Sergio Cirio uno dei miei migliori amici e compagni di scalate di sempre. Sergio per me oltre ad essere un inossidabile compagno di cordata è una persona con la quale ho un rapporto speciale. Io e Sergio abbiamo molti anni di differenza, si può dire che per me è come fosse un nonno, qualcuno che non mi stanco mai di ascoltare e con il quale in ogni momento ho qualcosa da imparare. I trekkers sarebbero arrivati qualche giorno più tardi e noi non potevamo aspettare di più, quindi salutammo Roger e la mattina del 10 luglio partimmo con le jeep in direzione Askhole. Al nostro gruppo si è aggiunto un alpinista Italiano di nome Mattia Conte che abita a Milano e ha una casa a Cervinia. Mattia è un alpinista che scala da pochi anni ma è ambizioso, forse troppo, e si confronta con le cime di 8.000 m. senza ossigeno e senza Sherpa. Alla partenza da Skardu il nostro team era composto da Emrik, Jerome, Marco, Mattia e Pietro.

Arrivati ad Askhole, il clima era meraviglioso e ne approfittai per fare una corsa. Purtroppo, il bel tempo è durato poco, infatti a metà del trekking di avvicinamento cominciò a diluviare e non smise più fino al nostro arrivo al campo base. Il trekking verso il K2 si svolge nella prima parte seguendo la valle del fiume Bradu con un clima desertico. Si dorme in alcune oasi (Joula, Palu) dove le piante danno un po’ di refrigerio e si trova un po’ di acqua pulita. Dopodiché si percorre tutto il ghiacciaio del Baltoro senza compromessi e senza scorciatoie fino al Concordia per poi virare a nord sul ghiacciaio Godwin Austen fino al campo base di K2. Si dorme ancora a Urdokas, una piccola oasi a lato del ghiacciaio e poi solo più campi sul ghiaccio (Goro 1 e 2, Concordia). Visto il nostro acclimatamento, abbiamo saltato alcune tappe e abbiamo raggiunto il BC del K2 il 15 luglio in 5 giorni di cammino da Askhole. Il clima era umido ma non piove più come i giorni prima. Da Concordia in su le nuvole si diradarono e potemmo ammirare tutta la maestosità del K2 e vi assicuro che ad ogni passo ci si sente sempre più piccoli!

Arrivati al campo base, la meteo annunciò un’importante finestra di bel tempo per i giorni successivi, così iniziammo subito a discutere su quale fosse la strategia migliore da adottare. Prima il Broad Peak oppure il K2? Ovviamente Marco spingeva per il Broad, lui aveva già salito nel 2000 il K2 con una salita epica al fianco di Abele Blanc e Valdemar Niclrvicz.

Anche Dawa Sherpa, leader di Seven Summit, l’agenzia che si occupa dell’allestimento delle corde fisse su gran parte degli 8000 e ovviamente anche sul K2, ci consigliò di iniziare dal Broad. Sul K2 ci sarebbe stata tantissima gente che ci avrebbe costretto a lunghe attese nei tratti più tecnici e per noi che scaliamo senza ossigeno sarebbe stato un grosso rischio. Conosco Dawa da tanti anni e mi fido di lui, inoltre anche Marco, con l’esperienza dei suoi 11 ottomila senza ossigeno, concordava. Quindi era deciso io, Pietro, Marco e Mattia ci saremmo mossi verso il Broad Peak a 8.047 m mentre Jerome ed Emrik avrebbero fatto una ricognizione fino in cima alla Piramide Nera ovvero al campo 3 a 7… del K2.

Marco e Mattia hanno deciso di dormire al BC del Broad la sera del 17 luglio per poi proseguire il 18 fino al campo 3 e poi tentare la vetta il 19 luglio, scendendo nuovamente al BC del Broad. Pietro li avrebbe raggiunti al campo base la mattina del 18 luglio per poi scalare con loro i giorni seguenti. Io invece mi ero fissato un obiettivo molto ambizioso ovvero quello di tentare a vista una montagna di 8000 m portando con me tutto il materiale necessario salendolo nella maniera più veloce possibile, quindi partendo dal campo base e facendoci ritorno senza sostare nei campi intermedi. Avevo già scalato con questo stile “one push” il Manaslu e il Nanga ma su entrambe le montagne conoscevo parzialmente la via. Qui sarebbe stato diverso: non conoscevo nulla, quindi avrei dovuto dosare bene le mie energie ed essere preparato a tutto per non rischiare di essere troppo presto senza forze. Al campo base del Broad i giorni prima trovai il mio amico Benjamin Vedrines. Benj è un alpinista fortissimo con un fisico fuori dal comune. Aveva già salito i giorni prima il Broad e adesso voleva fare il record di salita e lanciarsi dalla punta con il parapendio. Decidemmo di partire assieme e fin dove era possibile farci compagnia. Avevamo due stili molto diversi: lui aveva già tutto il materiale sulla via depositati i giorni precedenti nei punti dove gli sarebbe servito mentre io avevo tutto con me per un totale di 10 kg di zaino.

Il 18 luglio alle 22:00 in punto lasciai il campo base del K2 e dopo un’ora di cammino, in compagnia della mia frontale, incontrai Benj al campo base del Broad. Facemmo un break nella sua tenda mensa, una tazza di caffè, due biscotti e via. Alle 23:55 eravamo alla fine del campo base a 4.900 m dove Benjamin aveva costruito un enorme kern dal quale, di comune accordo, decidemmo di far partire il tempo. Da quel punto alla vetta c’era un dislivello di circa 3.147m. A mezzanotte in punto partimmo!! Benj si mise a fare il ritmo e io mi misi dietro in scia come un ciclista. In quell’istante ho rivissuto le stesse sensazioni delle partenze delle mie 10 Pierra Menta. La Pierra Menta è il Tour de France dello sci alpinismo, si svolge ogni anno ad Areches Beaufort e in 4 giorni di gara gli atleti coprono un dislivello positivo di 10.000 m tra creste, canali, migliaia di inversioni e discese vertiginose. Benjamin aveva un ritmo incredibile, era molto più leggero di me. Nei giorni prima aveva depositato tutto il suo materiale nei campi in quota così da permettersi di partire con un piccolo zaino da trail per di più vuoto. Onestamente però c’era anche un’importante differenza di ritmo, fossi stato leggero come lui non avrei tenuto il suo ritmo, quindi poche scuse era più veloce di me. Dopo circa mezz’ora al crampon point lo salutai e decisi di salire al mio ritmo. In 1 ora e 21 minuti raggiunsi il campo uno a circa 5.600 m. Stavo bene e avevo già percorso 700 m. Continuai e in 3 ore 40 minuti ero al campo 2 a 6.212 m. Qui incontrai Mattia che mi raccontò di non essere riuscito a tenere il ritmo di Marco e Pietro e di essersi fermato al campo 2 per non compromettere la sua scalata. Mi invitò nella sua tenda dove con il mio fornello mi feci acqua e mangiai qualcosina. Mi cambiai, misi gli scarponi pesanti e i piumini d’alta quota. Salutai Mattia e ripartii, stavo bene ero in sintonia con me stesso e con l’ambiente circostante. Stava sorgendo l’alba ed era stupendo! Scattai un sacco di foto al K2, al Masherbrum e a tutte le altre vette. Era veramente uno spettacolo magnifico.

Dopo 6 ore e 30 minuti arrivai al campo 3 a 6.850 m dove trovai il mio amico Themba Sherpa con il quale avevo condiviso anni prima la vetta del Manaslu. Themba mi conosce bene e sa benissimo lo sforzo al quale mi stavo sottoponendo! Mi preparò del caffè, mi offrì dei biscotti e mi riempì di acqua calda la borraccia. A queste quote questi gesti non hanno prezzo!! Ripartii di buon passo verso il Broad col che si trova tra la punta centrale 8.011 m e quella principale 8.047 m. Purtroppo tra i 7.300 m e i 7.700 m il vento aveva ricoperto la traccia costringendomi a ritracciare tutto. Questo mi costò molte energie ma comunque arrivai al colle in forma. Appena prima del colle incontrai Pietro, ci abbracciammo, mi raccontò di aver raggiunto la vetta e fui veramente contento per lui. Mi diede forza e mi disse che stavo andando bene e che non dovevo mollare. Iniziai a percorrere la cresta, il terreno era finalmente più tecnico e mi divertivo un sacco ad affrontare i facili passaggi di misto che mi trovavo davanti. A circa 7.900 m. incontrai Cama che mi disse felice di aver raggiunto la vetta del suo dodicesimo ottomila. Non volevamo più lasciarci, piangevamo entrambi, eravamo contenti per l’importante risultato di Marco. Alla fine Marco mi diede coraggio e ripartii. Guardare un compagno voltarsi e scendere è sempre un momento difficile. Un po’ perché c’è invidia, lui ha finito e sta scendendo e tu devi ancora tribolare ma in realtà sentirci soli a 8.000 m ci rende fragili ed è una cosa che mentalmente ci fa paura. Dopo qualche metro mi si presentò davanti Dennis Urubko “la leggenda” che io conoscevo solo di vista. Sapevo che anche lui aveva salito il Broad in giornata. Gli feci i complimenti per la cima e gli chiesi un selfie. Lui mi rispose: “Va bene ma poi tu scendi con me ! A quest’ora è tardi per continuare” Scattai la foto e gli risposi che da lì al campo base avevo impiegato 10 ore e mezza, vidi cambiare l’espressione sul suo volto e di colpo mi disse: “Allora fila su!  Ci vediamo dopo campione”.

Mi gasai a più non posso: ero a 8.000 m, tutto stava andando in maniera perfetta e ho pure ricevuto i complimenti da Urubko, cosa potevo chiedere di più? Purtroppo non potevo immaginare che da lì a poco tutto sarebbe cambiato. Dopo qualche istante vidi volarmi sopra la testa il parapendio di Benjamin, ero felicissimo per lui, aveva realizzato il suo sogno facendo veramente qualcosa di incredibile! Quante emozioni in poco meno di un’ora: Pietro, Marco, Dennis e Benjamin. Ormai mancavo solo io e questa giornata sarebbe stata perfetta! Arrivai alla Rocky summit ma lì mi capitò qualcosa che mi avrebbe segnato per sempre. Appena prima della cima mi trovai davanti una cresta affilata e un piccolo diedro con una corda fissa che porta sulla “Rock”.

In quell’istante si presentò davanti a me, esattamente in piedi sulla punta, un uomo con una tuta arancione e degli scarponi della ditta SCARPA. Ci osservammo, lui aveva l’ossigeno, ci scambiammo uno sguardo e a seguire un gesto di normale routine. Con le mani gesticolammo per metterci d’accordo su chi avrebbe affrontato per primo quel pezzo dove si poteva passare uno alla volta. Cedetti il passo e mi sedetti tranquillo su una roccia dalla quale osservavo attentamente l’uomo scendere faccia a valle. A un tratto vidi questa figura inciampare e in una manciata di secondi sparire nell’abisso della parete sud. Restai impietrito per qualche secondo, poi di colpo mi sbloccai, guardai l’orologio: erano le 11:00 ed era da 11 ore che camminavo e mi trovavo a 8.035 m. Alcune domande mi assalirono. Perché non si è assicurato alla corda? Perché non la prese manco in mano per aiutarsi a scendere?  Mi misi subito a chiamarlo usando tutto il fiato che avevo in corpo, andai in qua e in là per la cresta continuando ad urlare, ma senza risposta. Ad un tratto presi coraggio e scesi lungo la parete.

Scesi per circa 60-70 m affrontando alcune rocce, avevo i ramponi leggeri con la talloniera di alluminio e la picca da sci alpinismo sempre in alluminio e il luogo era molto ripido. Capii poco dopo che stavo facendo una cavolata, avevo attrezzatura al limite per fare ciò che stavo facendo, ero stanco e spossato quindi decisi di risalire e tornare in cresta. Mi sedetti in cima alla Rocky Summit, era passata un’ora da quando avevo guardato l’ora l’ultima volta.

Ero solo, non sapevo cosa fare e decisi di prendere la radio e chiamare Emrik al campo base. Chiamai più volte e nessuno mi rispose, allora accesi il satellitare e chiamai a casa Barbara, la moglie di Marco. Quando siamo in spedizione lei è disponibile h24 e sicuramente mi avrebbe aiutato. Il telefono squillò due volte e di colpo sentii la voce di Barby che disse: “Allora? Sei su?” “No! Ti devo dire una cosa…non volevo chiamarti per questo ma non ho altra scelta”.

Le raccontai tutto per filo e per segno e le dissi che dovevo assolutamente parlare con il campo base. Chiusi la telefonata e dopo un tempo non definito sentii la voce di Emrik per radio. Risposi subito e lui mi chiese immediatamente come stavo e cosa fosse successo. Gli raccontai tutto e di colpo calò un silenzio devastante, dopo qualche secondo sentii la voce di Emrik che mi diceva: “Che cosa ci fai ancora lì? Scendi subito!” Non ci pensai nemmeno un istante e come una marionetta cominciai a scendere. Non ho avuto nemmeno un istante un dubbio o un ripensamento, Emrik aveva ragione: avevo fatto ciò che potevo e adesso dovevo pensare a me stesso e scendere.  Mi accorsi subito di non essere lucido come prima, ero tranquillo ma dovevo prestare più attenzione a ciò che facevo. Arrivai al Broad Col e trovai altri alpinisti ai quali mi unii per affrontare le doppie che scendono dal colle sul ghiacciaio. Sotto il colle mi ripresi un po’e aumentai il passo. Superai tutti e persi parecchia quota. Avevo ormai il campo in vista ed ero a circa 7000 m. A un tratto qualcosa attiro la mia attenzione. Sulla traccia iniziai a trovare degli strani oggetti: una giacca in Gore, dei guanti e uno scarpone SCARPA!!

Guardai meglio e vidi davanti a me un solco nella neve che attraversava la traccia. Nel solco ogni tanto c’erano delle macchioline rosse, come di sangue, questa specie di trincea spariva dietro a un dosso e non potevo vedere dove finiva.

Guardai la parete sopra di me e finalmente capii…era la traccia lasciata dall’uomo che avevo visto precipitare. Era per forza la sua perché lo scarpone era identico al suo della ditta SCARPA e inoltre la direzione era quella della Rocky Summit. Dalla mia esperienza come soccorritore sapevo che ogni tanto i corpi quando prendono degli urti importanti diventano come dei sacchi dove la pelle trattiene tutto mentre all’interno si frantuma tutto. Ecco il perché lo scarpone era li da solo, più in alto vidi il secondo scarpone e a quel punto non ebbi più dubbi. Non fu necessario seguire la traccia: ero sicuro che seguendola avrei trovato il corpo. Arrivai al campo verso le 16:00 dove Pietro con un grandissimo gesto di altruismo mi aspettò! Ci abbracciammo, ero felicissimo di vederlo. Si è sacrificato per me e questo non lo dimenticherò mai. Di comune accordo decidemmo di fermarci lì. Eravamo entrambi esausti e non aveva senso continuare. Avevamo però un problema… entrambi non avevamo il sacco a pelo figuriamoci cibo, fornello e tenda. Fortunatamente si avvicinarono a noi Galjen e Nurbu Sherpa, due amici con i quali avevamo condiviso il campo base al Nanga. Ci proposero di usare la loro roba perché alle 21:00 sarebbero partiti con le loro rispettive clienti per la vetta. Alle 20:30 ci lanciammo nella loro tende, senza mangiare e bere e crollammo in un sonno profondo. La mattina dopo, ad un orario che non ricordo, sentii Pietr che mi chiamava: “Cazza, dobbiamo scendere!”. Prima che mi alzassi passarono un paio d’ore, Pietro mi chiamò almeno 100 volte. Entrambi eravamo stanchi e avevamo la vista appannata. Iniziammo a scendere molto lentamente. Io era da più di 40 ore che non facevo un pasto! Lentamente perdevamo quota e pian pianino stavamo meglio! Sapevo che quel giorno Alessia avrebbe raggiunto il campo base del K2 e saperla lì era la mia più grande motivazione. Finalmente nel primo pomeriggio arrivammo sul ghiacciaio Godwin Austen! Decidemmo di non passare dal BC del Broad ma di usare un sentiero fatto dallo Sherpa per arrivare direttamente al BC del K2. Raramente ricordo uno sforzo ma quell’ora e mezza per raggiungere il base la ricordo benissimo. Non salivamo più, ogni 10 passi ci sedevamo sugli zaini. Quasi all’altezza del campo base trovammo un torrente da attraversare, per assicurarsi c’era una corda fissa ancorata a delle viti da ghiaccio ormai praticamente fuori dal ghiaccio. Cadere nel fiume sarebbe stato un suicidio anche nel pieno delle nostre forze, quindi che fare? Presi coraggio e con la picozza in mano feci un balzo dal lato opposto. Senza usare la corda e con l’aiuto della picca feci degli scalini per i piedi e degli scalini per le mani. Riposizionai le viti da ghiaccio e Pietro riuscì a passare in sicurezza! Questo gesto mi costò le ultime energie e ci volle parecchio prima di riprendermi. Alle 16:00 arrivammo al campo base del K2 totalmente esausti. Abbracciai fortissimo Alessia, Sergio e tutti gli altri. In quel momento capii di essere ritornato al mondo! Mangiammo e bevemmo a più non posso e alle 20:00 crollai in tenda abbracciato da Alessia. Non ringrazierò mai abbastanza Pietro per il suo grandissimo gesto di altruismo! Senza di lui le cose avrebbero potuto andare molto peggio. In situazioni come queste che si vede l’unione e l’amicizia che lega la nostra squadra.

Onestamente non ho nessun rimorso per quello che ho fatto, doveva andare così. Dal momento che sono una Guida Alpina e un Soccorritore del Soccorso Alpino Valdostano era giusto che provassi a fare qualcosa per aiutare questa persona, da quel momento in poi tutto il resto non contava più. Il giorno seguente, seguendo le mie indicazioni gli Sherpa trovarono il corpo e mi portarono alcune foto per il riconoscimento. Arrivarono da me anche due ragazze inglesi, compagne di spedizione del ragazzo e scoprii che era un inglese, si chiamava Gordon, aveva 40 anni e due figli piccoli. Era un militare e faceva parte di una spedizione dell’Esercito Inglese composta da soli militari. Nei mesi seguenti scrissi una dichiarazione sull’accaduto di modo che i figli e la moglie potessero avere accesso all’eredità e ai premi delle assicurazioni. Inoltre fui incluso in alcune riunioni via “meet” dell’Esercito Inglese che voleva capire come evitare in futuro questi incidenti. Onestamente credo che questa sia stata la strada giusta da percorrere! Analizzare gli incidenti o i mancanti incidenti sta alla base di ogni attività esposta a dei rischi. A volte, questa strada, può essere dolorosa e non piacevole però è uno dei modi migliori per evolvere e migliorarsi.

Questo evento compromise parecchio il seguito della spedizione dove ad attenderci c’era un signore chiamato K2….

Nanga Parbat

Non è facile mettere nero su bianco l’estate appena trascorsa… successi, felicità, sofferenza, delusione, gioie e paure si sono alternate vorticosamente. Ormai è arrivato il momento di riordinare il tutto e tirare un bilancio di quelli che sono stati sicuramente due mesi tra i più intensi di tutta la mia vita. Siamo partiti l’otto giugno per il Pakistan con i seguenti obiettivi : la salita del Nanga Parbat 8.126 m, del Broad Peak 8.046 m. e del K2 8.611 m.

La nostra squadra è composta da sei amici, tutti Guide Alpine Valdostane : Roger Bovard, Marco Camandona, Emrik Favre, Jerome Perruquet, Pietro Picco e io. Quando abbiamo presentato il nostro progetto, tanta gente ci ha presi per pazzi. Tra i tanti, il mio amico Francesco Ratti, scherzando, ci ha detto che volevamo fare il “Triplete” come la magica Inter di Mourinho nel 2010. Senza lasciarci scoraggiare, a inizio giugno siamo atterrati a Islamabad dove abbiamo dovuto districarci nella burocrazia Pakistana per riuscire a sdoganare il nostro materiale. Fortunatamente dopo due giorni di lotta abbiamo ottenuto il nostro materiale e abbiamo iniziato a muoverci verso le montagne.
Il viaggio fino al campo base è filato liscio: dopo un giorno di jeep e due di trekking siamo giunti ai piedi della montagna. Le valli del Nanga sono luoghi culturalmente molto duri, i Talebani e il fondamentalismo sono molto radicati. Questo purtroppo complica parecchio lo sviluppo di queste regioni che a mio avviso sono tra le più belle al mondo. Abbiamo posizionato il nostro campo base a 4.300 m ai piedi della parete Diamir su un bellissimo prato pieno di fiori e immediatamente abbiamo mosso i primi passi sulla montagna. Assieme a Jerome, ho compiuto una rapida ricognizione fino a 5.500 m; eravamo i primi a toccare quella quota senza corde fisse e battendoci la traccia. È stato subito chiaro che sul Nanga faceva caldo e bisognava dare il tempo alla neve di assestarsi, così per continuare il nostro acclimatamento abbiamo optato per il Genalo Peak, una montagna di circa 6.500 m sul lato opposto della valle. Nel mirino avevamo una bella cresta che a occhio poteva essere fattibile ma non semplicissima. Il primo giorno, senza particolari difficoltà abbiamo raggiunto i 6.100 m dove abbiamo montato le nostre tende in un piccolo ripiano sulla cresta. Il giorno seguente la musica cambia decisamente, la cresta si rivela affilata e a tratti intervallata da alcuni pilastri non sempre facili da salire. Raggiunti i 6.300 m, abbiamo deciso di scendere perché le condizioni stavano peggiorando drasticamente. Non abbiamo raggiunto la vetta ma un importante tassello per il nostro acclimatamento era stato raggiunto. La cosa per noi più importante è stata quella di poterci acclimatare su una montagna vergine dove c’eravamo solo noi. Vero alpinismo a pochi passi dalle folle: una cosa bellissima!

Purtroppo la meteo è cambiata drasticamente e il giorno seguente ha iniziato a nevicare. Per 7 giorni siamo stati bloccati al campo base sotto una fitta nevicata. In totale sono caduti più di 2 metri di neve che hanno messo a dura prova le nostre tende, la nostra pazienza e tenacia. Di giorno palavamo e ripulivamo il campo di continuo mentre le notti erano interminabili! Finalmente la sera del 22 giugno sono ricomparse le stelle e così abbiamo potuto iniziare a organizzarci per ripartire verso la montagna.
Dopo due giorni di attesa, per permettere alla neve di assestarsi, abbiamo ritracciato da soli tutta la via fino al campo uno. La neve ci aveva rallentati ma era chiaro che i centimetri appena caduti non erano solo una cosa negativa.

Ho subito notato che la parete a destra dello sperone che delinea il muro Kinshofer era in ottime condizioni. Quello spicchio di parete era vergine e così la mia idea era di provare a farci una via nuova. Anche Pietro si è mostrato motivatissimo e quindi il 26 giugno siamo partiti noi due dal campo base con tutto il materiale. Oltre all’attrezzatura da scalata avevamo tutto l’occorrente per bivaccare due notti! Arrivati sotto la parete abbiamo salito un enorme seracco che in seguito abbiamo scoperto dall’amico Tarcisio Bellò che era il seracco che tolse la vita a Ghunter Messner, il fratello di Reinhold, scomparso nel 1970 dopo aver conquistato la parete Rupal. Con due tiri verticali siamo entrati in un immenso canalone che alternava tratti di ghiaccio a pendii di neve. Alle 9 avevamo percorso già un ottimo dislivello dal campo base, circa 1.000 m e quindi ci siamo presi una piccola pausa per bere e mangiare. Siamo ripartiti motivatissimi ma le condizioni stavano cambiando velocemente. Il caldo degradava la neve e procedere diventava sempre più faticoso, inoltre anche la parete diventava sempre più ripida. Abbiamo optato per raggiungere una fascia di rocce che delimitava la cresta dov’è situato il campo due. In quel momento ero io davanti e ho scalato 3 tiri non semplici soprattutto perché sulle rocce c’era un fastidiosissimo strato di neve marcia. Al culmine dell’ultimo tiro dopo aver superato la cresta, mi sono trovato al campo 2. Recuperato Pietro, entrambi ci siamo rilassati, in quel momento un mix di sentimenti e di pensieri mi ha invaso la mente. Ero contentissimo, finalmente realizzavo un sogno ma allo stesso tempo mi era chiaro che la nostra avventura sul Nanga non era finita. Ci hanno raggiunti i nostri compagni che avevano percorso la via normale per terminare l’acclimamento.

Dopo tanti complimenti e abbracci, tutti assieme siamo scesi per riposare e fare il tentativo di vetta pochi giorni dopo. La nostra fretta nel voler scendere fu un grosso errore! Dentro al muro Kinshofer abbiamo subito capito di aver totalmente sbagliato gli orari: infatti nel pomeriggio questo tratto di parete esposto a sud diventava pericolosissimo con continue valanghe e scariche di sassi. Ci siamo divisi in due gruppi per cercare di non affrontare tutti assieme i tratti più esposti. Questa tattica ha dato buoni frutti: siamo riusciti a scendere tutti senza nessun incidente! Vi confesso che non è stato semplice scendere dalla montagna, le condizioni erano oggettivamente molto pericolose e siamo stati fortunati ad arrivare a valle sani e salvi. Arrivati al campo base, ci siamo riposati un paio di giorni ma purtroppo il meteo era cambiato ancora una volta e di conseguenza abbiamo cambiato i nostri piani. Abbiamo tutti optato per una salita in velocità per sfruttare la brevissima finestra che ci è stata concessa. Solo il nostro team al quale si aggiunse Cesar Rosales, un alpinista e guida alpina Boliviano, aveva deciso di tentare la salita. Personalmente volevo scalare in “one push” la via Kinshofer, in totale autonomia e senza mai fermarmi! Alle 11:30 del 3 luglio ho lasciato il campo base scalando da solo fino al campo 3 a 6.850 m. Qui ho raggiunto i miei compagni e ho riposato 4 ore nella loro tenda di modo da mangiare e bere qualcosa. Da qui in avanti la musica è cambiata: la montagna non era più attrezzata e quindi potevamo contare solo su noi stessi. Questo mi dava moltissimi stimoli! Mi trovavo a mio agio lassù, l’assenza di corde fisse mi gasava e inoltre stavo benissimo.

Alle 7:50 io, Jerome e Cesar abbiamo raggiunto la vetta!! Fu un momento splendido condiviso con due carissimi amici entrambi alla loro prima esperienza su un 8.000. Siamo rimasti in vetta quasi un’ora dove poco dopo ci ha raggiunti anche Pietro!

Eravamo contentissimi ma ben conosci che non era finita. La discesa, senza corde fisse, si è rivelata molto insidiosa ed esposta! A circa 7.800 abbiamo incontrato Emrik, Roger e Marco! Abbiamo iniziato a incitarli il più possibile perché il tempo era ottimo e ormai mancava veramente pochissimo alla vetta. Quando noi eravamo al campo tre ci hanno chiamato per radio dalla vetta! Fu per tutti una gioia immensa: tutti e 7 eravamo arrivati in cima. Io e Cesar ci siamo riposati qualche ora per poi ripartire in direzione campo base, invece tutti gli altri decisero di fermarsi nuovamente al campo 3. Con le ultime luci del giorno siamo usciti dal ghiacciaio dove ad attenderci c’era il nostro amico Marco Confortola con due bottigliette di coca cola. Assieme a Marco in mezzora abbiamo raggiunto il campo base dove ci hanno accolti tutti con un grande fuoco e un sacco cibo. La mattina del giorno seguente anche gli altri hanno raggiunto il campo base e per tutti fu festa!! Eravamo ben consci di aver portato a casa un importante risultato ma anche che la nostra spedizione non era che all’inizio!

Sul Nanga abbiamo imparato che una delle doti più importanti per un alpinista è l’adattamento. Abbiamo vissuto condizioni e situazioni molto diverse ma siamo sempre riusciti a trovare una soluzione, trovando una via anche quando tutto sembrava perso!

L’Amitié – Pilastro Roberto Ferraris

Era da tempo che volevo aprire una via con difficoltà sostenute su roccia nella parete sud del Cervino. Tutti gli alpinisti, quando pensano al Cervino, hanno subito in mente roccia brutta che si presta poco ad essere scalata. In realtà sul versante sud esistono alcuni pilastri che sembrano creati apposta per essere scalati. Se pensiamo alle montagne simbolo delle Alpi (Eiger e Grandes Jorasses) si è cercato di spingere in alto il grado delle difficoltà su roccia, invece sul Cervino una via di arrampicata sostenuta ancora manca e scovarla era l’obiettivo mio e di Francesco Ratti. Durante il corso per Istruttori Nazionali delle Guide Alpine abbiamo parlato di questo progetto a Marco Farina, con il quale da tempo avevamo pensato di dedicare proprio sul Cervino una via al nostro amico Roberto Ferraris scomparso tragicamente sotto una valanga. Marco non rifiuta mai un’avventura sul Cervino quindi il copione era scritto. Non ci restava che aprire le danze.

Abbiamo individuato una possibile via sul margine sinistro del Pilastro dei Fiori, dove la roccia è bella e si intuisce che le difficoltà sarebbero state alte. Purtroppo come ogni estate per noi guide è difficile trovare il tempo per tentare un grande progetto ma grazie alla nostra tenacia abbiamo individuato le date.

I primi di agosto io e Francesco riusciamo a fare una prima ricognizione e in una sola mattinata riusciamo ad aprire 5 tiri portando gran parte del materiale alla base della parete. Passata la festa delle guide, nella seconda metà di agosto troviamo una giornata dove siamo tutti e tre liberi e decidiamo di continuare il progetto. Ripercorriamo i primi tiri e ci lanciamo verso l’ignoto! Tocca a me aprire e mi lancio in un diedro avaro di fessure ma ricco di splendide tacche per scalare. Il tempo si guasta e quando recupero i miei compagni in sosta siamo avvolti dalle nuvole e ci tocca scendere. Siamo comunque soddisfatti: con questo tiro che valuteremo 7a abbiamo aperto le danze nella parte più difficile della parete. Infreddoliti e abbacchiati scendiamo ma lasciamo tutto il nostro materiale in parete, ormai ci è chiaro che per concludere la via dobbiamo bivaccare in parete così da sfruttare a pieno due intere giornate. Arrivati ai piedi del Cervino io e Marco salutiamo Francesco che sconsolato si avvia verso il rifugio Duca d’Abruzzi per poi proseguire verso la capanna Carrel dove lo aspetta un cliente per salire il Cervino il giorno seguente.

Anche io e Marco il giorno seguente lavoriamo ma fortunatamente abbiamo entrambi gite in giornata. Arriva settembre e finalmente troviamo due giorni di meteo stabile per finire la nostra via. Ripercorriamo velocemente i 10 tiri già aperti e con un tiro di 6B, arriviamo sotto uno strapiombo che intuiamo subito essere il croux della via. La parete sopra di noi è strapiombante, nella prima parte è visibile un’evidente fessura poi più nulla solo lisce placche strapiombanti. Parte Francesco, sale velocemente la fessura ma poi si incastra subito quando questa finisce. Il “Boss” urla e strizza due minuscoli rovesci e con grande fatica piazza uno spit che vale oro. Stretto il dado si gira e con la faccia di chi ha dato tutto ci dice “Ragazzi sono finito, datemi il cambio”. Detto fatto, Francesco scende e parto io! Risalgo le corde fino all’ultimo spit e mi è subito chiaro che non sarebbe stato facile continuare. Utilizzo ogni trucco in mio possesso: Cliff, staffe, peaker ecc..le prese ci sono ma chi cazzo riesce a tenerle con un trapano attaccato all’imbrago. Piazzo due spit e finalmente vedo sopra di me una sbarra, ci devo arrivare! Dopo un paio di voli finalmente afferro la prima presa decente del tiro, d'istinto rilancio ad una tacca e butto un tallone sulla sbarra e inizio a bucare. Fatto il foro mollo il trapano e inizio a martellare. Appena butto dentro il tassello, moschetto la corda e grido “blocca!!”. Passano un paio di minuti e capisco che da quel punto devo attraversare verso sinistra per raggiungere un evidente diedro. Mi concentro e attraverso 3 metri a sinistra, piazzo un friend, lo testo: è buono ora posso appendermi e piazzare un altro spit! Ormai ho raggiunto il diedro, capisco che le difficoltà calano leggermente e decido ad allungare la chiodatura. Parto concentratissimo, salgo 3 metri e le mani si aprono e cado giù come un sasso. Faccio 4-5 voli e capisco che devo arrendermi, sono finito. Chiedo a Francesco il cambio, intanto sulla parete era salita una fitta nebbia e le temperature erano scese parecchio. Dopo anni di peripezie sul Cervino so per certo che il pomeriggio arriva la nebbia e in parete ci si gela il culo. Passo la palla a Francesco che ha potuto recuperare le energie stando in sosta avvolto da un caldo piumino e rifocillandosi. Francesco risale le corde si prende alcuni minuti per studiare attentamente il diedro sopra di lui e poi rompe gli indugi :”Ragazzi occhio che vado”.
Il Boss è anche chiamato il “Il muto della Valtournenche” e vi assicuro che se parla non c’è da stare sereni! Ratti tira fuori un numero dei suoi: piazza qualche micro friends, inserisce due spit belli lunghi ed esce su un terrazzo, il tiro duro è fatto!! Ormai è tardi e decidiamo di scendere, fissando le corde per risalirle agilmente il giorno seguente. Esattamente 200 m più in basso ci aspetta il nostro bivacco! Abbiamo individuato un fantastico grottino perfettamente pianeggiante, che chiamiamo subito Hotel Cervino (come il celebre “Hotel Qualido” in val di Mello). Avvolti dalle nebbie prepariamo cena e le nostre cuccette per la notte. Quando è ora di infilarsi nei sacchi a pelo il cielo si libera e sotto di noi possiamo ammirare Cervinia con tutte le sue luci! Posso tranquillamente affermare che fino ad ora questo è il più bel bivacco che ho fatto sul Cervino. Il mattino seguente risaliamo le corde fino in cima al tiro duro. Sopra di noi ci aspetta una placca solcata da un micro fessura. Il tempo purtroppo non è dei migliori, sin dal mattino le nebbie ci avvolgono e fa molto freddo. Parto io, trovo subito un buon feeling con questa lunghezza! Subito salgo la placca seguendo il fessurino poi arrivato sotto un tetto la fessura si allarga fino, superato il tetto una serie di fessure mi porta in una grande fenditura e decido di fare sosta! I miei compagni salgono e adesso è Marco a prendere il comando! Scala uno strepitoso diedro solcato da alcune perfette fessure. Dopo una quarantina di metri sentiamo la voce di Marco che urla:”Ragazzi è fatta siamo fuori”.

Io e il Boss raggiungiamo Marco, siamo euforici, ci abbracciamo e gridiamo! Alla nostra sinistra c’è l’evidente pendio della parete sud del Cervino, siamo su un pulpito che fa da contrafforte al “Pilastro dei Fiori” che si ricongiunge con la montagna con un'esile cresta. Capiamo con grande stupore che si tratta di una struttura a sé stante e senza nessun indugio lo ribattezziamo “Pilastro Roberto Ferraris”. Iniziamo a scendere e ad ogni sosta l’argomento è sempre lo stesso…come chiamiamo la via? Durante tutta la discesa ognuno di noi tira fuori le idee più svariate ma quando finalmente arriviamo alla macchina abbiamo un’lluminazione: la chiameremo “La Voie de l’Amitié”. Siamo tutti d’accordo, questo nome è perfetto perché ha un doppio valore, l’Amitié rappresenta perfettamente l’amicizia che ci lega e che ci ha spinti a lanciarci in quest’avventura e soprattutto è la parola perfetta per ricordare il legame che tutti avevamo con Roby! Purtroppo non riusciamo a festeggiare nemmeno questa volta, Francesco deve partire per Alleghe perché il giorno dopo deve fare l’affiancamento come Istruttore al corso Nazionale delle Guide Alpine durante il modulo “dolomitico”, invece io e Marco abbiamo delle gite in giornata fissate da parecchio tempo. Ci rifaremo, questa è la dura vita della Guida che tanto amiamo ma che tanto ci fa correre… Passano alcuni giorni e la voglia di provare a scalare la nostra creazione aumenta, a fine settembre assieme ad Enrico Turnaturi e Francesco ci rimettiamo in marcia verso il Cervino. Bac (alias Enrico Turnaturi) oltre ad essere un super scalatore è una guida alpina piemontese che sta affrontando il corso Istruttori assieme a noi, si è offerto volontario per farci alcuni scatti spinto dalla curiosità di mettere le mani sulla misteriosa roccia del Cervino. Scaliamo rapidi fino al tiro chiave che tanto ci ha fatto penare in apertura, ci lanciamo subito alla ricerca della “méthode” ideale per risolvere il tiro. Anche questa volta non siamo fortunati, le nebbie salgono e ci congelano all’istante le dita, un giro a testa e capiamo subito di non avere chance intuiamo però che le difficolta sono sicuramente dal 8° in su…una gran bella “challenge”. Passiamo al tiro dopo, parto io che fortunatamente sono riuscito a scaldarmi un pochino. Salgo divertendomi, avendo aperto il tiro ho chiaro come muovermi e lo scalo al primo colpo in libera. Francesco e Bac arrivano in sosta e siamo tutti d’accordo: il grado è 7B. Lasciamo a Bac l’ultimo tiro che scala facilmente complimentandosi per la bellezza (cosa sempre molto gradita per gli apritori). Ci stringiamo le mani e ci scambiamo i complimenti e subito dopo iniziamo la discesa in doppia sempre avvolti dalla nebbia.

Questo progetto non possiamo definirlo concluso definitivamente fino a quando non riusciremo a liberare il tiro chiave. Indipendentemente dalle sottigliezze da “climber” ci portiamo a casa l’ennesima avventura sul Cervino, vissuta proprio come piace a me con alcuni tra i miei migliori amici!

Ringrazio con tutto il cuore Francesco, Marco e Bac per le bellissime giornate vissute in montagna.

 

 

Express Dream

Era da tempo che sognavo di concatenare le due più belle e rinomate vie di roccia di stampo classico sul Cervino e sulla Dent D’Herens e finalmente ci sono riuscito…
Da diversi mesi cercavo un obiettivo da condividere con Nadir Maguet e questa folle corsa sembrava fatta apposta per noi. Ci preparammo assieme tutta l’estate. L’obiettivo era quello di scambiarci le competenze: io avrei permesso al Mago di fare esperienza in montagna e lui mi avrebbe aiutato a migliorare le mie prestazioni aerobiche.

Il nostro piano  era elegante e molto impegnativo: partire dalla chiesa di Cervinia, scalare in “one push” la cresta di Furggen  al Cervino, scendere dalla cresta del Leone, portarci di corsa alla base delle cresta Albertini, salirla tutta fino in vetta alla Dent D’Herens, scendere dalla cresta Tiefenmatten fino ad arrivare a valle al rifugio Prarayer.

Finalmente a fine agosto riuscimmo a trovare il giorno perfetto: eravamo entrambi liberi e la meteo annunciava sole e caldo. Con noi in questa avventura Damiano Levati e Luca Rolli avevano il compito di documentare la nostra folle corsa con il sostegno di “Mordor” alias Michele Cazzanelli, mio cugino che gentilmente si è dato disponibile ad aiutarli.

Alle 02:15 esatte partimmo dalla chiesa di Cervinia, dentro ai nostri zaini avevamo tutto il nostro materiale perché volevamo essere totalmente autonomi. I primi 1.500 m.di dislivello fino al colle del Breuil per me furono un vero incendio, Nadir aveva un ritmo impressionante e per stargli dietro ho dovuto sputare sangue. Come se non bastasse fino a circa 3.000 m. c’erano le nuvole che oltre a non farci vedere ad un metro creavano un clima umidissimo che mi faceva faticare il triplo.

Fortunatamente alla base della Furggen ritrovai il mio ambiente naturale e da lì la mia giornata prese un’altra piega: ripresi le energie e la fiducia sui primi tiri della cresta, che avevo già percorso svariate volte. Arrivammo velocissimi agli strapiombi di Furggen, Ormai conosco questa via come le mie tasche e potrei scalarla ad occhi chiusi. Con le prime luci del giorno esattamente in 5 ore e 20 minuti  arrivammo in vetta al Cervino, In cima incontrai svariati amici e colleghi guide che ci spronavano e fu un momento splendido. Fatti i primi 2.500 m. bisognava scendere veloci in sicurezza e senza perdere tempo.
Arrivati in capanna Carrel prendemmo una coca e togliemmo la corda e poi giù tutto d’un fiato fino al rifugio Duca D’Abruzzi dove ci concedemmo una meritata colazione con torta e cappuccino. Finita la pausa ripartimmo spediti in direzione Albertini, sul sentiero faceva caldissimo e ci mettemmo a torso nudo.
Arrivati all’attacco prepariamo nuovamente il materiale, ci legammo e su! Stessa storia della Furggen, conosco l’Albertini come le mie tasche! Mi misi davanti e Mago dietro come un ciclista, seguiva senza fiatare. Raggiunto il colle delle Grandes Murailles a 4.000 incontrammo di nuovo Damiano, Luca e Michi. Ci scattarono un po’ di foto e ci fecero un tifo da stadio che ci diede coraggio per affrontare l’ultimo step, ovvero la parte finale della cresta est della Dent D’Herens.
Dopo 5 ore finalmente eravamo in vetta, il drone di Luca ci svolazzava attorno e io Mago ci abbracciavamo e saltavamo come due bocia. Avevamo appena scalato 4…m di dislivello ma eravamo ben consci che non era finita, ci aspettava ancora una discesa eterna in quello che viene definito il Tibet d’Europa. Riuscimmo a percorrere la cresta Tiefenmatten senza problemi e finalmente ci trovammo alla base del ghiacciaio dove potemmo slegarci. Da lì fu una vera impresa mentale, entrambi eravamo cotti ma non volevamo mollare, Mago aveva male ai piedi, io avevo le gambe ormai finite, sembravamo due zoppi che cercavano di correre con le gambe ingessate. A circa 20 minuti dal rifugio ci venne incontro Roby il mitico papà di Nadir. Fu lui a tirarci il passo per gli ultimi metri e stargli dietro vi assicuro che è stato faticosissimo! 

Alle ore 18:12 dopo esattamente 15 ore e 57 min e dopo aver percorso un dislivello positivo di 4300 m e 35 Km. Ci siamo accasciati davanti al rifugio Prarayer! Arrivarono subito le nostre fidanzate Alessia, Sharon e la mamma di Nadir che ci misero subito al tavolo con ogni ben di Dio a nostra disposizione e la festa poté cominciare. Mangiammo e bevemmo tantissimo, Patrizio e Chicca sono dei carissimi amici e ci trattarono come principi e a fine serata ci concessero il lusso di accompagnarci in fondo alla diga di Prarayer in macchina evitandoci 5 km in piano che sarebbero stati un duro colpo. 

In futuro spero di legarmi ancora col Mago, indipendentemente dall’obiettivo. Scalare con lui o semplicemente condividere un allenamento è sempre un enorme piacere. Da quest’avventura porto a casa tantissimo: in primis un bellissimo viaggio condiviso con un amico di sempre e poi la consapevolezza di poterci muovere velocemente su terreni difficili ed esposti che in futuro ci porteranno a spingere ancora un po’ più su l’asticella dei nostri traguardi.

Tenganpoche e Amadablam

Dopo due anni di pandemia la voglia di ripartire era tanta e nonostante l’ennesimo rinvio a inizio estate della nostra spedizione al K2 non ci siamo arresi. Riguardando alcune vecchie foto mi sono ricordato del Tenganpoche, una montagna impressionante che spicca sopra Thame, un piccolo villaggio ad un’ora da Nanche Bazar.

Non è stato difficile comporre una squadra affiatata, dopo un paio di telefonate il team era pronto:

Io, Francesco, Emrik, Roger, Jerome e la new entry Leonardo Gheza.

I miei compagni di scalata, tranne Leo, erano tutti super rodati. Leo si è dimostrato una bellissima sorpresa, perché si è adattato perfettamente al nostro gruppo portando nuove idee e nuovi stimoli, spero che in futuro ci sia ancora occasione di legarsi assieme per nuove avventure.

Risolti alcuni problemi legati alla situazione covid, finalmente siamo in viaggio verso il nostro campo base che raggiungiamo velocemente, forse troppo velocemente perché al nostro arrivo siamo senza le tende. Fortunatamente troviamo riparo nel vicino lodge. Sul momento però, le tende passano in secondo piano: la meteo ha previsto in due giorni l’arrivo di una grossa perturbazione. Decidiamo perciò di non perdere tempo e cominciare subito la fase di acclimamento. Ho sempre odiato questa fase perché essendo un tipo poco paziente non sono capace di dare il tempo al mio corpo di adattarsi all’alta quota. Durante i due giorni seguenti abbiamo fatto un gran lavoro dormendo a 5.400 m. e rientrando sotto una fitta nevicata al campo base. Passata la bufera, le montagne erano ricoperte da un buon metro di neve fresca che partiva già da 4500 m. Dopo alcuni giorni decidiamo di completare il nostro acclimamento esplorando una cima poco conosciuta chiamata Yasa Tak alta  circa 6.000 m. Abbiamo deciso di dividerci, io Leo ed Emrik abbiamo scelto di esplorare un’evidente cresta rocciosa mentre Francesco, Je e Roger hanno deciso di partire verso la cresta est più nevosa.

L’indomani siamo partiti dal campo base ed a circa 4.500 m. abbiamo iniziato a scalare su ottima roccia. Dopo una prima parte di cresta molto affilata abbiamo scalato un evidente gendarme con due tiri di V° sostenuto, al termine del pilastro abbiamo deciso di bivaccare su una bella terrazza a  circa 5.300 m, da cui ci siamo goduti un bellissimo tramonto su Everest, Lhotse, Nuptse e Makalu. 

Fino in cima al pilastro abbiamo trovato alcuni chiodi di un vecchio tentativo mentre da lì in avanti ci siamo mossi su terreno vergine. Il giorno seguente ci siamo spostati in piena parete seguendone i punti deboli. Le condizioni della neve non erano perfette e quindi il nostro obiettivo era quello di uscire velocemente per non prendere rischi. Mentre attraversavamo un evidente nevaio, una scarica di sassi ci è passata sopra la testa. Pericolo scampato! Ma quello era il segnale che dovevamo uscire velocemente. Dalla radio sentiamo che i nostri amici erano in vetta sull’anticima dello Yasa Tak e di conseguenza la discesa era tracciata. Abbiamo scoperto in seguito di essere arrivati sull’anticima di questa montagna e non sulla cima vera e proprio, anche se è veramente difficile dire che fosse un anticipa o meno. Alle 12:00 finalmente usciamo anche noi in vetta e la nebbia inizia ad avvolgerci, di colpo Roger ci chiama per radio : “Ragazzi state attenti, abbiamo appena staccato una valanga le condizioni sono delicate, a noi è andata bene”. Cominciamo a scendere prendendo tutte le precauzioni del caso e alle 5 di pomeriggio siamo tutti al campo base a berci una birra. La nostra nuova via abbiamo deciso di chiamarla *Himalayanos Desperados* e la abbiamo valutata 1200 m. V+ M5 80° ed è stato un bel modo di rompere il ghiaccio. Il nome rappresenta la sensazione che provavamo salendo gli ultimi tiri avvolti nella nebbia alla ricerca della via più facile e veloce.

Recuperate le forze è arrivato il momento di andare ad esplorare il nostro obiettivo: il Tengkanpoche 6490 m. Abbiamo deciso di tentare una linea sul lato sinistro dell’evidente pilastro nord già tentata da una spedizione francese. Oltre a noi erano già impegnati nell’impresa due ragazzi inglesi: Tom Livingston e Matt Glenn che volevano risolvere in stile alpino il problema più evidente ed elegante della montagna ovvero il pilastro nord. Sono rimasto colpito dalla motivazione e dalla bravura di questi due fuoriclasse per i quali provo grande ammirazione e stima.

I primi due giorni in parete passano lisci, le difficoltà più grandi erano date dalla difficoltà di piazzare delle protezioni solide nei tiri più difficili e nell’aprirsi la strada nella neve fonda nei tratti più appoggiati. Abbiamo dovuto impegnarci a fondo per superare alcuni tiri impegnativi, in particolare una placca molto liscia che sono riuscito a superare con non poche difficoltà. Onestamente mi è difficile dare un grado, la difficoltà potrebbe aggirarsi sul M6 ma i due tiri sono stati veramente impegnativi a livello mentale perché in 50 m. ho piazzato 5-6 protezioni.

Il giorno seguente eravamo motivati a mettere un campo oltre la parte di roccia per poi fare nei prossimi giorni un tentativo di vetta scalando in un solo colpo gli ultimi 1.000 m. di parete.

Quando stavamo per attraversare un grosso canale che ci avrebbe portato su una spalla è partita una grossa valanga, scatenata dal crollo di uno dei seracchi posto sotto la vetta. Onestamente avevamo valutato che saremmo stati esposti per 20 metri alle scariche dei seracchi però ci sbagliavamo. Queste scariche quando partono prendono l’intera parete e continuare in quella direzione sarebbe stata una follia.  Fortunatamente la valanga è passata a circa 20 metri dai noi però era chiaro che dovevamo scendere. Roger ed Emrik che si trovavano al campo base quando è partita la valanga hanno temuto il peggio per noi. Fortunatamente appena abbiamo iniziato la discesa, li abbiamo chiamati via radio rassicurandoli. Finalmente la sera ci riunimmo tutti al campo base ma il morale era a terra, eravamo demotivati e senza troppe idee su cosa fare nei giorni seguenti.

Ci prendemmo un paio di giorni di relax poi io Jerome e Francesco decidemmo di muoverci  per valutare la vicina parete nord del Kondge RI 6100 m. Arrivando sotto la parete abbiamo avuto una bella sorpresa: le condizioni erano radicalmente diverse infatti la neve portava e si vedeva del ghiaccio solido da scalare. Rientrati al campo base il piano era fatto! Avremmo tentato di aprire una via nuova sulla parete nord del Konge Ri e poi avremmo attraversato in cresta fino al Tegkanpoche. Il giorno seguente preparammo il materiale, io mi sarei legato con Leo invece Emrik Jerome e Francesco avrebbero formato un’altra cordata. Roger invece ha deciso di non venire con noi, i giorni precedenti non era in forma e non se la sentiva di salire in parete. Sono molto orgoglioso della scelta di Roger, ha dimostrato di essere una persona matura, responsabile ed estremamente generosa. Per ripagare almeno in parte il gesto di Roger prima di partire gli promisi che sarei salito assieme a lui sull’Amadablam 6812 m. appena rientrato dal Tegkanpoche.

Nel frattempo ci arriva una notizia stupenda che ci carica tantissimo: Mat e Tom sono riusciti a scalare il pilastro nord, a raggiungere la vetta e ad arrivare a valle sani e salvi. Sono veramente colpito da questa salita, li abbiamo seguiti durante i loro 6 giorni in parete e sono rimasto veramente impressionato. Rifaccio tutti i miei complimenti a questi due fuoriclasse. Grandi ragazzi, chapeau! 

Il giorno seguente, all’alba finalmente partimmo! Arrivati sotto la parete notammo due evidenti linee parallele che portavano entrambe ad un piccolo colletto dove avevamo intenzione di bivaccare.

Decidemmo di dividerci in modo da non tirarci ghiaccio sulle corna a vicenda. La linea mia e di Leo era una bella goulotte interrotta a metà da un salto di roccia verticale. Già dai primi tiri capimmo che non sarebbe stato semplice. Scalate alcune lunghezze su ghiaccio molto fine, ci trovammo alla base del salto verticale. Leo attacca il salto in corrispondenza di un’evidente fessura. Con grande abilità e tenacia, Leo riesce ad arrivarne a capo! Chapeau. Da lì in avanti ricominciano dei nastri di ghiaccio verticali sui quali potevamo muoverci più velocemente. Le ore passano in fretta e arrivati all’ultimo tiro ci tocca accendere le frontali. Alle 18:00 di sera siamo al colle e i nostri amici sono appena dietro di noi, cominciamo a rompere il ghiaccio per creare due piazzole per le tende. Finalmente alle 22: 00 siamo tutti al caldo dopo una giornata molto dura sia per il freddo che per le difficoltà della parete. Il giorno seguente aspettammo il sole per muoverci. Verso le 9:00 tutti e 5 siamo in marcia sulla bella ed affilata cresta che porta al Kondge Ri. Al Tenganpoche le difficoltà non sono mai estreme ma neanche semplici è un po’ come muoversi su una classica via di misto delle Alpi. La giornata passa senza intoppi e a metà pomeriggio piazziamo le nostre tende alla base della cresta est del Tenganpoche. Qui troviamo alcuni pezzi di corde fisse che aveva lasciato una spedizione francese che aveva tentato la vetta qualche giorno prima di noi.

Il giorno seguente con le prime luci abbiamo attaccato la cresta est. Nel primo pezzo siamo avanzati molto velocemente, avvantaggiati anche dalle corde fisse dei francesi, poi di colpo verso i 6.500 m. la cresta impenna e diventa estremamente affilata e le corde spariscono. Solo in quel momento scoprimmo che la spedizione francese non aveva mai raggiunto la vetta. Muovendoci molto lentamente su un terreno non estremo ma molto esposto spuntiamo a 6.700 m . dove la cresta si abbatte e abbiamo ormai la vetta in vista. Finalmente ci separa dalla vetta solo un’esile cresta di neve, io e Emrik come due bambini ci mettiamo a correre per arrivare per primi in cima! Finalmente siamo tutti e cinque in vetta, siamo euforici dopo tanta fatica! Siamo in cima a questo bestione Himalayano. Sulla vetta la felicità è immensa, sono molto orgoglioso di Jerome che al suo primo assaggio d’alta quota ha dimostrato delle qualità notevoli. Io sicuramente alla sua età non avevo la sua prestanza fisica a queste quote, chapeau!

Chiamiamo velocemente Roger per radio e iniziamo la discesa, che si rivelerà lunga e tortuosa. 

Ripercorriamo in retromarcia l’affilata cresta est, arrivati alla base della cresta decidiamo di scendere per la via aperta qualche anno prima in solitaria da Nik Bullock in solitaria. Fatte le prime due doppie per entrare nel grande pendio che scende a picco sul campo base decidiamo di scendere descalando. Ognuno scende col suo ritmo, non c’è fretta e soprattutto non bisogna sbagliare perché il pendio è molto ripido ed esposto. Prima di sera siamo tutti riuniti al campo base dove il nostro mitico cuoco Santos ci ha preparato un’ottima torta per festeggiare. Le due vie aperte sul Kondge Ri abbiamo deciso di chiamarle :

*Santarai* Cazzanelli – Gheza  450 m. AI5 R M7/A2 

*Settebello* Favre – Perruquet – Ratti  AI5 450 m. R M7/A2

La prima via è stata dedicata al nostro cuoco Santos Rai che ci ha coccolati per più di un mese, la seconda invece ci ricorda le lunghe serate trascorse a giocare a carte al gioco della scopa.

Siamo molto felici e soddisfatti di questa salita ma come tutte le volte capiremo meglio ciò che abbiamo fatto qualche giorno dopo. Nella mia mente però sento che non è ancora finita, ormai mi sono convinto di scalare l’Amadablam 6.812 m. in velocità. Questa cima mi ha sempre attirato: infatti lo chiamano il Cervino dell’Himalaya 😉 ed era da parecchio tempo che volevo esplorarla.

Nei giorni seguenti smontiamo il campo base e ci ritiriamo a Namche per qualche giorno di meritato riposo. Salutiamo Francesco e Leo che hanno deciso di rientrare a casa e ci mettiamo in viaggio verso l’Ama. Il piano è semplice: Roger e Jerome salgono a dormire al campo 2 per tentare la vetta il giorno seguente mentre  io e Emrik partiamo dal campo base 4300 m., l’obiettivo è mettere il minor tempo possibile a salire e scendere. Mentre Roger e Je salgono al campo 2 io e Emrik ci godiamo una splendida giornata di riposo in uno dei posti più belli e soleggiati di tutta l’Himalaya. Il giorno seguente decidiamo di dividerci: Emrik partirà alle 3:30 io alle 5:30.

Suona la sveglia, balzo fuori dal letto ed il mitico Ganesh mi stava aspettando con la colazione pronta. Senza fretta mangio, mi preparo e alle 5:30 sono pronto per partire. Fino al campo uno non ho delle belle sensazioni, ho caldo perché mi sono vestito troppo e sudo parecchio, finalmente con l’arrivo del sole mi spoglio e sento che il fisico inizia a girare. Come in tutte le mie salite in velocità  ho con me tutto il mio materiale che porterò su e giù senza sconti. Dopo 1 ora e 50 minuti sono al campo uno. Da quel punto comincio a carburare, il terreno mi è congeniale ed è un piacere scalare velocemente in questo ambiente. Al campo due cambio scarpe e calzo i ramponi (2 ore e 50 minuti), poi arrivato al campo tre mi accoglie un forte vento da nord quindi mi infilo in una tenda e mi copro, piumino, pantalone in Gore e guanti pesanti e si continua (3 ore e 50 minuti). Sopra i 6.500 sento che la quota non mi disturba, allora vedendo i miei amici che scendono e mi incoraggiano decido di aprire a tutta ed esattamente dopo 5 ore, 32 minuti e 6 secondi sono accasciato in vetta al Amadablam. Sono felicissimo, mai avrei pensato di poter metterci così poco tempo. Faccio un po’ di foto, mangio e bevo e via si riparte! Voglio arrivare al campo base in meno di 8 ore. Scendo velocemente fino al campo 3 dove incontro i miei amici che mi fermano e mi dico che c’è una persona in difficoltà. Una cliente di Mingma David è in evidente stato di edema cerebrale. Conosco Mingma da anni e senza dire una parola ci mettiamo a disposizione per il soccorso, mettiamo la ragazza al sicuro e le diamo l’ossigeno che ci fornisce Mingma. Però è evidente che serve un’evacuazione veloce in elicottero. Io e Emrik organizziamo l’operazione e finalmente dopo un paio di ore l’elicottero della Kailash guidato dal pilota svizzero Claudio Mitter trasporta a valle la ragazza con una long line a regola d’arte. Finito tutto, rientriamo al base felici di aver collaborato a questa operazione e soprattutto per aver aiutato una persona in difficoltà. Ancora una volta la bravura e la professionalità dei piloti Kailash ha fatto la differenza.

Ovviamente non ho potuto segnare un tempo della mia discesa dall’Amadablam ma poco importa, mi porto a casa il crono più veloce di salita sulla montagna di 5 ore 32 minuti e 6 secondi  che mi sono serviti per scalare 2.500 m di cresta affilata che a tratti mi hanno ricordano il Cervino.

La nostra spedizione dopo 37 giorni volge al termine. Il rientro fino a Kathmandu e poi in Italia avviene senza intoppi. Personalmente questo viaggio è stato uno dei più belli ed importanti di sempre, condiviso con amici fantastici in luoghi stupendi. Dopo due anni di stop mi porto a casa due vie nuove su due imponenti vette Himalayane e un bellissimo crono sull’Amadablam che mi fa ben sperare per i progetti futuri.

Via Bonatti sul Cervino

Quando sogni da parecchi anni una cosa, ti aspetti che sia perfetta. In montagna difficilmente le cose vanno come te le immagini, anzi spesso è tutto il contrario. Però è proprio questo il bello, no? Se potessimo calcolare tutto al millimetro l’avventura non esisterebbe. Sarò onesto, l’idea che mi ero fatto di questa via non si è rivelata molto distante dalla realtà.

La Bonatti è una via stupenda con difficoltà che in termini moderni possiamo definire quasi classiche. Questa via però dev’essere ben contestualizzata perché non siamo sul Gran Flambeau o sulla Nord dell’Aguilles du Midi, bensì nel cuore della nord del Cervino, e chi conosce questa montagna sa che quando tocchi la croce di vetta sei solo a meta dell’opera. La cosa che ancora mi lascia senza parole è immaginare Walter in pieno inverno ben 56 anni fa che apre questa via IN SOLITARIA. I giorni dopo la nostra ripetizione mille domande mi sono passate per la mente: Cos’avrà provato Bonatti? Chissà cos’avrà visto? Come si sarà mosso? Purtroppo non potendogliele più fare ho elaborato a fondo la nostra salita e l’unica cosa che mi sento di dire è: grazie Walter! Ci hai regalato l’ennesimo capolavoro, sarà nostro compito valorizzare e far conoscere agli alpinisti del futuro la bellezza di questa via. 

Era da quando abbiamo aperto la via sul Pilastro Rosso del Brouillard che io, Matteo e Francesco parlavamo della Bonatti. Finalmente a fine marzo del 2021 la meteo sembrava dalla nostra ed eravamo tutti e tre liberi però la parete era bella secca. Che fare? Due elementi su tre erano dalla nostra, proviamo!! 

Il 30 marzo, zaino in spalla, partiamo da Plateau Rosà in direzione rifugio Hornli. Martin il gestore è un mio caro amico e ci ha lasciato le chiavi dello splendido rifugio che si trova ai piedi dell’omonima cresta. Arrivati in rifugio lasciamo il materiale e andiamo subito a fare la traccia fino all’attacco della via. Decidiamo di lasciare una delle nostre mezze corde fissa sui primi 60 m. di parete di modo da essere più rapidi il mattino seguente. Rientrati al rifugio ci aspetta una notte a 5 stelle dentro il nuovissimo e modernissimo rifugio. Il locale è bello caldo e cenare bevendo acqua gasata e Rivella non ha prezzo. Ci appisoliamo felici e rilassati sotto a dei morbidi piumoni. Alle 4 suona la sveglia e alle 5 si parte. Tutto fila liscio e in poco tempo siamo in cima alla corda fissata il giorno prima. Tocca a me partire, come dice la relazione di Valter mi tocca subito un camino corto ma non facile dove trovo alcuni vecchi chiodi.

Superato il camino le difficoltà non sono estreme e velocemente scaliamo 300m. di parete che ci portano alla partenza del famigerato traverso degli Angeli. Qui tocca a Francesco che velocemente percorre due lunghezze divertenti su roccia sana. Arriviamo così nella zona del famigerato pendolo e qui prende il comando Matteo che senza pensarci troppo inizia ad attraversare! Arrivato a metà tiro ci urla “Possiamo passare senza pendolare, ci provo.” Io e Francesco ci guardiamo e non diciamo nulla, la nostra fiducia è totale se dice che si passa si passa. Matteo arriva in fondo al traverso e ci dice che ci sono dei chiodi, collega tutto, rinforza la sosta e ci urla di partire. Siamo un pelo distanziati essendo in traverso è bene non stare troppo vicini. Raggiungo Matteo in sosta mi assicuro e Matteo mi dice di assicurare Francesco così gli fa un video con la GoPro. Francesco toglie l’ultima protezione e in quel momento il sottile strato di ghiaccio sotto i suoi piedi si rompe. Francesco vola e pendola sotto la sosta, non lo vediamo più per alcuni secondi fino a quando ci urla che sta bene e che sta iniziando a risalire le corde. Tutto bene pericolo scampato, qualche secondo per riordinare le idee e si ricomincia. Matteo riparte. Adesso gli tocca il tiro di 6°da fuori classe qual è lo sale rapidamente. Il tiro è strapiombante con tanto vuoto sotto ai piedi ma la roccia è splendida e le difficoltà durano pochi metri.

Ci troviamo finalmente nel grande anfiteatro dove purtroppo le condizioni sono molto secche e saliamo lentamente. A metà dell’anfiteatro Francesco trova un guanto di lana inglobato nel ghiaccio e i pensieri vanno subito a Bonatti. Sarà suo? Forse abbiamo lavorato troppo di fantasia ma in quel momento pensare che quel guanto fosse di Walter ci ha emozionato tantissimo.

Le difficoltà però non sono finite. Ci aspetta ancora un muro compatto di roccia rossa poco solida solcato a metà da una grande fessura. Parte Matteo e con grande classe risolve il problema probabilmente con più ghiaccio sarebbe stato più semplice ma non fa niente. Superata la fessura, Francesco, con un paio di tiri più semplici ci porta in cima alla rampa della via Schmidt. Siamo a circa 4000 m. e ci aspettano ancora 500 m. di parete. Tocca di nuovo a me, conosco bene questa parte e dentro di me sono ben conscio che se vogliamo uscire con la luce bisogna accelerare. Scaliamo veloci, non dobbiamo più cercare la via e questo è già un grande vantaggio ma purtroppo è tutto molto secco, i canali e le goulotte che tanto rendono semplice questa parte sono solo un ricordo. Finalmente alle 21.00 con gli ultimi raggi di luce tocchiamo la punta del Cervino.

Siamo felici, finalmente abbiamo ripetuto la Bonatti!!! Siamo la seconda cordata ad uscire in giornata ed onestamente con le condizioni così secche non è stato semplice! 

Foto di rito e si comincia a scendere sulla cresta del Leone, Francesco è davanti, Matteo in mezzo e io chiudo. In questa parte giochiamo in casa, il copione lo conosciamo bene! Alle 23:30 siamo in capanna Carrel. Ci cuciniamo una meritata pasta e ci buttiamo a letto! La mattina seguente in 2 ore siamo a Cervinia e ci concediamo un meritato pranzo al ristorante di mia mamma Les Skieurs d’Atan cucinato da mio cugino Teto Stradelli! 

Che dire, è stata un’avventura fantastica. L’ennesima sulla montagna di casa! Ci tengo a ringraziare i miei compagni di cordata per aver condiviso assieme questa salita! 

Un ringraziamento speciale va anche alla Società Guide del Cervino, a Martin Lehner gestore del rifugio Hornli, Nicola Corradi direttore dell’Heliski Cervinia, Giuliano Trucco, Anjan Truffer e a mio cugino Teto Stradelli.

Qui sotto potrete trovare una piccola relazione della via, questo è il nostro omaggio a Walter Bonatti sperando che in futuro altre cordate possano ripetere questo splendido itinerario!

Trittico del Freney

La scorsa estate, Francesco Ratti ed io siamo stati attirati dalle stupende guglie della parete sud del Monte Bianco. Dopo aver aperto Incroyables con Matteo della Bordella, avevamo pronto un altro colpo in canna…volevamo tentare di ripetere il mitico trittico del Freney, anche conosciuto come Super Integrale, uno tra i concatenamenti più spettacolari ed affascinanti della storia dell’alpinismo.

Dal 1 al 15 febbraio 1982 Renato Casarotto ha concatenato in pieno inverno e in totale autonomia la via Ratti-Vitali sulla parete ovest dell’Aiguille Noire de Peutèrey, la via Gervasutti-Boccalatte al Picco Gugliermina e il Pilone Centrale del Freney per la via Bonnington, raggiungendo la vetta del Monte Bianco per poi ridiscendere fino a Chamonix. Tutto questo in solitaria e durante la stagione più fredda. A mio parere uno degli exploit più duri ed estremi della storia dell’alpinismo.

Il nostro obiettivo era semplice: volevamo seguire le orme di Casarotto, il più velocemente possibile e in piena estate ovvero quando le vie si trovano nelle condizioni più favorevoli, omaggiando il grande alpinista vicentino con il nostro stile leggero e pulito.

Il 29 e 30 luglio la meteo sembra buona, le condizioni sono ottime e miracolosamente entrambi non dobbiamo lavorare come guide. Quindi non ci resta che provare.
Il 28 pomeriggio ci troviamo da Matteo Pellin al campeggio Monte Bianco La Sorgente ormai il mio campo base fisso per le salite sulla sud del Bianco!
Cena presto e ci buttiamo in branda il giorno dopo finalmente si scala!

Alle una di notte io e Francesco imbocchiamo il sentiero che sale al rifugio Monzino e dopo un’ora circa entriamo nel rifugio dove Mauro ci ha preparato una colazione da re.
Ci fermiamo circa mezz’ora e poi ripartiamo verso il colle dell’Innominata. Passato il colle siamo catapultati sul ghiacciaio del Freney dove ci accolgono in lontananza rumori di crolli di ghiaccio e scariche di pietre. Ci dirigiamo velocemente all’attacco della Ratti – Vitali dove lasciamo giù tutto il materiale e ancora al buio attacchiamo ad arrampicare. Tocca a me partire ed inizio ad inanellare diversi tiri sempre seguito a ruota da Francesco. Ci muoviamo in conserva lunga di modo da poter arrampicare simultaneamente risparmiando tempo. La tattica e semplice: scaliamo contemporaneamente con tutte le corde distese e quando arriviamo alle soste piazziamo un bloccante sull’ancoraggio e continuiamo a salire. Quando finiamo le protezioni, facciamo sosta, ci scambiamo il materiale e ripartiamo. Questa tattica è molto redditizia. Infatti siamo riusciti ad inanellare anche 7 tiri senza fermarci. Arriviamo velocemente alla base dei diedri sommitali dove ci sono le difficoltà più sostenute della via. Anche in questa parte saliamo rapidi e in appena 4 ore dall’attacco della via siamo in vetta abbracciati alla Madonnina. Foto di rito e poi iniziamo le doppie.
Due ore e siamo nuovamente alla base della Noire, ma in quel momento ci arriva un messaggio da Umberto il nostro “Guru” della meteo: “Ragazzi, meteo cambiata. Questa sera sulla sud del Bianco potrebbero esserci dei forti temporali. Avete il 50 % di possibilità”. Questa notizia ci sega le gambe. Che fare? Rinunciare?
Ci consultiamo e decidiamo di continuare. Troveremo un posto per ripararci, no?
Prendiamo tutto il materiale e ci spostiamo alla base del Gugliermina. Questa volta ci tocca scalare con gli zaini sulle spalle ma riusciamo comunque a muoverci velocemente percorrendo i tratti più facili in conserva lunga. Accompagnati da un piacevole sole estivo scaliamo i tiri più sostenuti sull’evidente spigolo del pilastro. Ho un ricordo bellissimo di quelle lunghezze che a mio parere sono un capolavoro e solamente il pensiero che Gervasutti e Boccalatte li hanno aperti in scarponi mi mette i brividi.
Arriviamo alla terrazza e quindi inevitabilmente al pendolo che sfortunatamente troviamo completamente fradicio. Infatti una gigantesca colata d’acqua cade proprio sulla sosta che dobbiamo raggiungere per pendolare verso destra. Ci mettiamo il guscio e senza perdere tempo saliamo e pendoliamo. Finito questo tratto ci troviamo di fronte ad un ultimo tiro impegnativo anche questo in parte bagnato. Finalmente arriviamo sul filo di cresta che rapidamente ci porta in vetta al pilastro. Sono le 20:00 e dietro di noi ci accorgiamo che il temporale sta arrivando. Non c’è tempo da perdere, dobbiamo ripararci. Troviamo fortunatamente una grossa fessura coperta da un grosso masso. Stendiamo le corde e ci accovacciamo sopra. Sulle nostre teste stendiamo il telo termico e aspettiamo. Arriva il temporale ma dentro il nostro riparo siamo all’asciutto, tipo in una piccola tenda. Purtroppo però siamo scomodissimi, accovacciati con le ginocchia in gola e i crampi non tardano ad arrivare. Fuori si scatena il finimondo ma dentro al nostro riparo stiamo bene e riusciamo a bere qualcosina e a sonnecchiare. Per mangiare qualcosa di caldo dobbiamo aspettare che finisca di piovere. Accendere il fornello in quel momento è impossibile. Alle due vediamo le stelle e decidiamo di uscire. Abbiamo fame ma intorno a noi non c’è neve da fondere, una vera beffa pensando a tutta l’acqua che è caduta durante la notte. Decidiamo di ripartire per raggiungere la calotta nevosa dell’Aguille Blanche dove sicuramente troveremo neve da fondere. Dopo due ore finalmente siamo sulla Blanche. Ci infiliamo nei sacchi a pelo e iniziamo a fondere acqua per cucinare tutto il cibo che abbiamo nello zaino. Il temporale e lo scomodo bivacco ci hanno provato parecchio ma fortunatamente con un’ora di sosta e buttando sotto i denti qualcosa di caldo riusciamo a recuperare le energie. Sono le 4 passate quando ripartiamo in direzione del Pilone Centrale. L’affilatissima cresta della Blanche non ci crea problemi e nemmeno la discesa in doppia al colle del Freney. Con l’arrivo del sole arriviamo alla base del pilone dove ci cambiamo e iniziamo a scalare. Nel frattempo altre cordate arrivano alla base del pilone e inizia un po’ di “bagarre”. Per noi è fondamentale non perdere tempo, non possiamo assolutamente permetterci un altro bivacco.
I primi tiri del pilone sono stupendi, un granito rosso di una qualità spaziale! Arrivati alla base della Chandelle siamo i primi seguiti a ruota da due guide polacche che scalano molto forte.
Francesco apre le danze. La stanchezza inizia a farsi sentire ma ormai la cima si avvicina.
Francesco sale i tre tiri della Chandelle, io lo seguo e dietro di noi, i due ragazzi Polacchi scalano in libera, chapeau! Siamo fuori dalle difficoltà ma ci restano ancora 3 tiri. Passo io al comando e baciati dall’ultimo raggio di sole pomeridiano arriviamo in vetta al pilone!
Ci cambiamo e ci caliamo dietro alla cuspide del pilone per raggiungere l’ultima parte di misto prima della cresta del Brouillard!
La neve è marcia e a tratti affondiamo alla vita. Finalmente sulla cresta le cose vanno meglio e alle 18:00 arriviamo in vetta al Monte Bianco!
Siamo esausti ma allo stesso tempo contentissimi. In vetta incontriamo anche il mio amico, Filip Babicz, che arriva da una salita in velocità sulla sud del Bianco. Foto di rito, un rapido saluto a Filip e giù. Non è ancora finita bisogna arrivare al Combal!!
Fino al Gonnella scendiamo velocemente, li ci aspetta il nostro amico Luca Truchet che è salito per fare alcune foto!
Ci beviamo una coca e mangiamo un pezzo di torta, poi ripartiamo.
Sul Miage la notte ci avvolge, siamo stanchissimi ma non possiamo mollare. Ci inciampiamo sovente sui sassi però non ci fermiamo mai! Alle 23.00 spaccate siamo al Combal esattamente 46 ore dopo la nostra partenza!
Siamo stanchissimi. Al campeggio ci aspettano Alessia, Matteo e Dominique. Beviamo una birra e ci addormentiamo sul tavolo! Le nostre compagne ci caricano in macchina e ci riportano a casa, il giorno seguente alle 9 ci tocca recuperare i clienti e partire nuovamente in montagna.

Sono veramente soddisfatto di questo concatenamento in velocità! A mio parere il più duro che ho fatto fino ad oggi. Lo dico perché in questa salita ci sono tutte le caratteristiche del grande alpinismo: arrampicata ad alto livello, neve, ghiaccio, terreno misto, quota, ambiente selvaggio e nessuna certezza di finire ciò che abbiamo programmato!

Pe dare alcuni numeri: in 46 ore abbiamo scalato 2150 m. di roccia verticale (calcolando lo sviluppo delle 3 vie percorse), e in totale abbiamo percorso un dislivello totale di circa 4300 m.

Una bella avventura condivisa come al solito con un grande compagno, Francesco Ratti.
Ci tengo a ringraziare tutte le persone che ci hanno aiutato e sostenuto: Matteo Pellin, Luca Rolli, Mauro Opezzo, lo staff del rifugio Monzino, Luca Truchet, Alessia e Dominique.

Incroyable

Era da diverso tempo che sognavo di lasciare una firma sulla parete sud del Monte Bianco, ma onestamente non avevo ben chiaro né come né dove. Anzi, ad essere sincero, non era neanche un obiettivo che avevo per l’estate 2020. Ma a volte arrivano occasioni irripetibili e bisogna prenderle al volo.
Il lato sud del Monte Bianco mi ha sempre fatto vivere emozioni uniche, avere avuto la possibilità di aprirci una via in compagnia di due cari amici è stata una grande soddisfazione.

Francesco ed io, di ritorno da un allenamento sul Pic Adolphe Rey, riceviamo una telefonata di Matteo Della Bordella: “Ciao François, siete liberi per aprire con me una via al Pilastro Rosso?”
Sono bastate queste semplici parole per far partire una grande avventura.
Avevo già scalato due volte sul Pilastro Rosso nel 2010 e nel 2011. Assieme a Marco Farina avevo ripetuto *Les Anneaux Magiques* e la *Diretta Gabarrou-Long*.

Il 30 giugno partiamo per la nostra avventura: il primo giorno abbiamo programmato di dormire al rifugio Monzino dove ci aspetta con una stupenda accoglienza il nostro caro amico Mauro. Durante tutte le notti trascorse al Monzino Mauro si è preso cura di noi con un’accoglienza a 5 stelle!!
Matteo era appena stato a ripetere la Direttissima Gabarrou-Long e oltre ad aver notato la linea, aveva ben chiara la tattica e la logistica.
La sveglia suona alle tre e mezza, colazione veloce e partenza verso il pilastro. Nonostante gli zaini pesanti riusciamo a salire veloci e con l’arrivo del sole attacchiamo a scalare.
Ci giochiamo i primi tiri e la sorte vuole che tocchi a me aprire le danze. Si parte subito con una bella placca compatta di granito grigio. Mi devo impegnare subito a fondo per venirne fuori e raggiungere la base dell’evidente diedro dove alla base faccio sosta.
Il tiro dopo tocca a Matteo. Si comincia nell’evidente diedro per poi buttarsi in un bel muro di granito rosso tutto da scalare.
Il terzo tiro è di Francesco, che se la sbriga velocemente apprendo una lunghezza di trasferimento sempre su roccia stupenda.
Sul quarto tiro è nuovamente il mio turno e per superare un muro verticale molto compatto devo ingegnarmi alla“Piola”. Superato il muro verticale arrivo facilmente ad una grossa cengia orizzontale che sarà la nostra casa per la notte.
Alzando la testa dalla cengia su cui ci troviamo, tutti e tre capiamo di essere davanti alla sezione chiave.
Tocca nuovamente a Matteo che parte motivatissimo. Un primo blocco lo impegna parecchio ma lo risolve velocemente e guadagna una fessura ad arco stupenda. Al termine della fessura le cose cambiano e inizia un muro verticale compattissimo.
Matteo parte agguerrito e dopo diversi tentativi e svariati voli, riesce a venire a capo della sezione chiave arrivando a fare sosta alla base di un bellissimo diedro. Io e Francesco restiamo di stucco nel vedere Matteo ingaggiarsi nell’apertura di questa lunghezza dove dimostra veramente un livello eccezionale ed una grinta fuori dal comune. Chapeau!!
Il sole è ormai tramontato ed inizia a fare freddo, Matteo ci propone di seguirlo e aprire ancora un tiro. Tocca a Francesco, ci consultiamo e la cosa migliore è quella di dividerci.
Francesco avrebbe raggiunto Matteo per aprire il tiro seguente invece io avrei preparo la nostra suite per il bivacco.
Francesco, con una grande forza di volontà, apre una lunghezza strepitosa che parte in un diedro per poi ributtarsi in un mare di granito rosso con dei knob giganteschi. Con questo tiro abbiamo aperto 6 lunghezze ed iniziamo ad intravedere la strada verso la vetta.
Alle 19:00 siamo tutti e tre nei nostri sacchi a pelo che ci gustiamo una calda e meritata cenetta.
Il giorno seguente alle 6 siamo in piedi ma la meteo non è delle migliori e siamo avvolti dalle nuvole. Facciamo il punto e decidiamo di provare ugualmente a finire la via.
Risaliamo velocemente le corde fissate il giorno prima fino a raggiunger l’apice del 6 tiro dove sarebbe toccato a me aprire le danze. Arrivati tutti e tre in sosta incredibilmente il sole buca le nuvole regalandoci un po’ di calore che scalda le ossa per ricominciare a scalare.
Settimo tiro, parto deciso e concentrato: la prima parte segue una splendida fessura di mano che muore sotto un muro di roccia rossa molto liscio e compatto. Piazzo uno spit così da collegarmi ad una altra fessura che mi porta ad una terrazza dove faccio sosta.
Il tempo inizia nuovamente a guastarsi ma ormai manca solo un tiro! Tocca a Matteo che parte velocissimo. Per qualche metro segue la fessura dell’ultimo tiro de *Les Anneaux Magiques* poi arrivato alla base di un grande tetto Matteo si sposta verso destra e lo supera. All’uscita del tetto affronta ancora un passo in placca delicato che finalmente ci porta a raggiungere una facile fessura che ci conduce in vetta al pilastro.
Io e Francesco raggiungiamo Matteo in vetta e ci abbracciamo. Inizia a nevischiare ma non ci preoccupiamo: è un momento fantastico e siamo tutti e tre contentissimi.
Verso le 11 iniziamo la discesa e senza problemi in circa 4 ore raggiungiamo il rifugio Monzino dove Mauro ci prepara una pasta strepitosa e ci stappa una meritata birra. Con la pancia piena iniziamo a pensare come chiamare la nostra via. Quasi come una cantilena in parete tiro dopo tiro ci ripetevamo “Ici c’est Incroyable” quindi ci è venuto naturale chiamare la via Incroyable, nonostante le premesse di Matteo fossero quelle di non dare un nome francese alla via :-))).
Lasciamo quasi tutto il nostro materiale al Monzino perché la nostra avventura non è finita: ci tocca ancora liberare la nostra bella creazione.

Il 7 luglio 2020 saliamo nuovamente a dormire al Monzino: questa volta con noi c’è anche Isaie Maquignaz, un caro amico e guida del Cervino. Io e Francesco saliamo al mattino presto per fare una ricognizione all’Aguille Noire per un altro progetto che abbiamo in mente, Matteo e Isa ci raggiungono al rifugio per cena.
La mattina dopo partiamo alle 5.00 con l’obiettivo di ripetere Incroyable arrampicando in libera tutti i tiri.
Matteo ha studiato la tattica nei minimi dettagli, il piano è semplice: per liberare la via tutti i tiri devono esser scalati senza appendersi da primi di cordata da un membro del team.
Matteo e Isa si occuperanno del 5 tiro, il più duro e ostico da liberare invece io e Francesco ci saremmo occupati degli altri.
Arriviamo alla base del pilastro e tocca a me attaccare il primo tiro. Dopo un paio di cadute sui primi metri capisco come risolvere il passaggio e riesco a scalare pulito tutto il tiro che valuto come un solido 7a.
Fino al 6 tiro riusciamo a scalare tutti i tiri al primo colpo (tranne ovviamente il 5 che lasciamo a Matteo e Isa).
Il 6 tiro tocca a Francesco che sale una prima volta per studiare i movimenti per poi scendere di nuovo e riprovare. Nel frattempo sotto di noi, Matteo e Isa iniziano a provare il tiro. Francesco al secondo giro libera il tiro che valuta 7b e da lì procediamo spediti, riuscendo a libera gli ultimi due tiri al primo colpo che valutiamo entrambi 7a.
Iniziamo a scendere e appena incrociamo i nostri compagni Matteo ci comunica che è riuscito a liberare il 5 tiro che valuta 8a. Siamo tutti e 4 esaltati: abbiamo firmato uno dei più bei pilastri del Monte Bianco con una linea stupenda e con difficoltà sostenute.
La discesa non ci crea problemi e arriviamo al Monzino dove Mauro ci apre un paio di birre per festeggiare. Dopo una breve pausa, ripartiamo e la sera siamo a mangiare una meritata pizza assieme al mio caro Amico Arnaud Clavel.

Questa avventura è stata un’esperienza straordinaria! Ci tengo a ringraziare Matteo per averci coinvolti in questo splendido progetto dove il nostro team ha funzionato alla perfezione. Spero vivamente che in futuro ci sarà l’opportunità di legarci ancora tutti e tre assieme per un nuovo stimolante progetto!!

Petit Lumignon : un saluto ad un caro amico

Quando una salita riesce…arrivati in cima già si sogna quella dopo. Essere in alto ci fa vedere le cose diversamente: cambiano le prospettive e non sempre in maniera negativa, alcune cose che ci sembrano insormontabili o addirittura impossibili diventano fattibili e così ricominciamo sognare.
Certo non avrei mai detto che quel giorno sarebbe stato l’ultimo passato assieme….

Io e Roby ne abbiamo passate tante assieme: abbiamo rischiato la pelle, abbiamo gioito, abbiamo sofferto, e ci siamo anche mandati a stendere tante volte.
Lui è stato uno dei miei maestri quando ancora ero un ragazzino, mi ha insegnato tanto e mi ha messo alla prova. Mi ha trasmesso un alpinismo fuori dalle rotte comuni ma estremamente legato al nostro territorio, alla nostra valle e alle nostre montagne.
Aneddoti e storie ne avrei così tanti che potrei scrivere un libro! Adesso però voglio raccontarvi la nostra ultima avventura. Ovviamente anche questa salita è stata vissuta sulle montagne della Valtournenche e non sono mancate le sorprese e i rischi.

Era anni che io e Roby puntavamo a ripetere Petit Lumignon, un’estetica ed esile via di ghiaccio che nasce sotto la cresta Albertini. Questa linea è stata aperta il 22 febbraio 2003 da Ezio Marlier, Massimo Farina e Hervé Barmasse. La via prende parecchio sole soprattutto nella parte bassa, quindi difficilmente si consolida tutta e bisogna saperla cogliere al momento giusto.
Il 7 dicembre dopo svariate ricognizioni decidiamo di provare.
Erano un po’ di mesi che non combinavamo niente in montagna quindi tutti eravamo motivati e la squadra con un paio di messaggi è diventata subito una comitiva.
Decidiamo di fare due cordate, una da due io e Roby e una da tre con Francesco, Emrik e Roger.
Appuntamento ore 6 al Cretaz ci aspettano 1000 m. con sci e pelli per arrivare all’attacco e dopo ancora 600 m di parete.
Nell’avvicinamento non si parla molto ma un po’ di sana competizione parte sempre, quindi pronti via e sembra già una gara con la differenza che gli zaini pesano un po’ di più.
Con le prime luci del giorno siamo alla base: ci cambiamo e con i primi raggi di sole cominciamo a scalare. Le condizioni sono perfette: scaliamo facilmente la prima parte e ci troviamo sotto il primo muro verticale di circa venti metri.
Qui le cose cambiano: il ghiaccio non è molto bello, è di colore bianco e poco rassicurante. Mi avvicino, do’ qualche picozzata e si crepa tutto, il ghiaccio per 15 metri è tutto scollato e sento l’acqua correre sulla roccia. Decido di tornare in sosta e consultarmi con Roby, ci guardiamo attorno e a destra ci sembra che si salga bene su roccia.

Non perdiamo tempo, attacco su per un diedro facile ma con la roccia molto friabile salgo 30 m e mi ritrovo la strada sbarrata da un tetto sormontato da una placca liscia. Faccio sosta e inizio a recuperare Roby. Nel frattempo noto che molto più a sinistra c’è un risalto di ghiaccio sicuro che permette di aggirare il tratto marcio. Grido subito a Francesco che comincia ad attraversare invece per me e Roby è tardi ci tocca il tetto con la placca liscia in uscita. Roby non è molto convinto e mi chiede più volte se sono sicuro. Gli rispondono di stare tranquillo che in qualche modo sarei passato.
Tolgo i guanti aggancio le picche all’imbrago e parto, la cosa buffa è che siamo partiti per fare una via di ghiaccio e stiamo scalando su roccia a mani nude. metto un friend buono e con un paio di movimenti esco dal tetto e sono sulla placca. Ovviamente ho i ramponi e non c’è alcuna possibilità di proteggersi. Salgo delicatamente verso sinistra, piazzo un chiodo a lama che entra per metà, faccio altri due movimenti e rientro nella goulotte, finalmente il duro è fatto. Faccio sosta e dico a Roby di partire. Dopo qualche minuto lo vedo spuntare e da buon maestro inizia ad insultarmi, “Balu non si fanno questi passaggi!! Devi cercare il facile”.
Accuso in silenzio ma sotto i baffi me la rido e penso “il vecchietto ha tribolato ad uscire dal tetto”, gli passo il materiale e ripartiamo. Arrivano anche gli altri e dopo due tiri semplici siamo sotto un altro risalto verticale. In quel momento inizia a cadere un sacco di spindrift che rende veramente complicato scalare. Ci guadiamo ed era ovvio che non avremmo mollato. Prendo il materiale e parto. Fatico, mi riempio di neve, piazzo una sola vite e salgo. Il terreno spiana, faccio ancora 30/40 m e faccio sosta. Inizia a salire anche Roby, io sono 50 m più sopra e lo sento imprecare per il freddo e perché la neve gli entra ovunque. Finalmente siamo fuori dalle difficoltà, ci mancano solo 200 m di canale facile. Non c’è bisogno di parlare partiamo a razzo abbiamo distanziato un po’ gli altri. Spuntiamo sul ghiacciaio del Montabel è un momento bellissimo! Ci abbracciamo e non diciamo niente, contempliamo solo la bellezza che c’è attorno a noi.
Roby manda un messaggio vocale a Chantal dicendole che siamo in cima e va tutto bene, poi mi dice una cosa: “Oggi alle 18.00 devo essere a Chatillon per un evento della scuola di Luca. Dici che riesco?”
Come prima non dico niente e rido sotto i baffi perché la vedo dura, sono già le 15.30. Partiamo giù veloci, nel canale incontriamo gli altri. Parlo con Francesco ci organizziamo velocemente per la discesa noi avremmo attrezzato le soste e loro nel frattempo avrebbero raggiunto la vetta.
Iniziamo ad attrezzare le soste per le discese a corda doppia, ad un certo punto Roby fa un ancoraggio abalakov con una porzione di ghiaccio molto bagnato. Non ci penso neanche e scendo e lui mi segue. Quando iniziamo a recuperare le corde ci accorgiamo che con il freddo si erano ghiacciate e non c’è verso di muoverle. Niente, dobbiamo aspettare gli altri perché senza corde non possiamo scendere. Vedo Roby agitarsi per i tempi che si allungano e io sempre di più rido sotto i baffi, mi immagino la sgridata che si sarebbe preso dalla Chanty. Noi alpinisti siamo egoisti quando c’è la possibilità di una grande salita non capiamo più nulla. Fa parte della nostra natura quando la montagna chiama il resto conta poco.
Finalmente arriva Emrik che ci lancia la corda e ovviamente ci prende per i fondelli : “Ho dovuto picozzare la vostra corda…era un blocco di ghiaccio”.
Ridiamo tutti e noi incassiamo la pompata e ripartiamo.
Arriviamo finalmente agli sci, sono le 17.00, ci cambiamo e dividiamo il materiale.
In quel momento Roby mi chiede: “Ti scoccia se inizio a scendere ? Magari arrivo a Chatillon prima della fine dell’evento”.
Gli rispondo: “Figurati vai, io aspetto gli altri e mi metto sulla morena in alto così ti guardo scendere.”
Lui mi risponde : “Perfetto grazie Balu, ci sentiamo dopo” e parte giù.

Non avrei mai pensato che quello sarebbe stato l’ultimo momento passato assieme in montagna, l’ultimo saluto che ci facevamo tra i ghiacciai. Ho guardato il Balu scendere giù, nella neve crostosa con il tramonto davanti a me. Lo vedevo faticare e come al solito ridevo sotto i baffi perché sapevo che a breve sarebbe toccato a me.
Il nostro alpinismo è sempre stato ricco di grandi sogni che abbiamo vissuto scanzonatamente sulle montagne della nostra valle.

Aspetto gli altri e iniziamo la discesa arrivando a valle prima del buio.
Ci beviamo un paio di birre e brindiamo ad un’altra giornata passata in montagna.

Primo concatenamento invernale delle Catene Furggen, Cervino, Grandes Murailles e Petites Murailles

Un sogno che si realizza un’avventura incredibile vissuta sopra i cieli di casa! Ci sono voluti ben tre tentativi, dal 2017 fino ad oggi, per realizzare questo progetto, ma alla fine costanza e tenacia ci hanno premiato.

Dal 20 al 23 gennaio 2020 Francesco Ratti ed io, abbiamo concatenato la lunga cresta continua che unisce alcuni dei principali massicci montuosi della Valtournenche. La nostra idea era di partire dal rifugio Theodulo attraversare la catena del Furggen, il Cervino (salendo la via Piacenza), le Grandes Murailles e le Petites Murailles; e di affrontare questa infinità cresta il più veloce possibile e nella stagione più fredda.

Rispetto ai tentativi precedenti abbiamo deciso di cambiare itinerario sul Cervino, preferendo la via Piacenza rispetto agli Strapiombi del Furggen e abbiamo deciso di saltare la vetta della Dent D’Herens che non confina con il comune di Valtournenche.

Rispetto agli altri tentativi abbiamo aspettato con pazienza le giornate più fredde dell’inverno per avere la certezza che la neve sarebbe stata stabile per tutto il percorso.

La cresta, di dimensioni Himalayane, è visibile dalla conca del Breuil, dove affascina e stupisce le migliaia di persone che frequentano Cervinia. E comprende in totale 20 vette: la più alta, è quella del Cervino con i suoi 4478 m mentre la meno elevata è quella del Mont Blanc du Créton 3406 m. Per le sue dimensioni, per le altezze e per i suoi passaggi vertiginosi, la cresta è sicuramente una delle più spettacolari delle Alpi. Basti pensare, che in totale misura circa 51 km di cresta ininterrotta con 4800 m di dislivello positivo.

 

Partiamo il 20 gennaio dal rifugio Theodulo con una temperatura di -23 gradi e raggiungiamo il bivacco Bossi attraversando completamente la cresta del Furggen che comprende 4 vette: il Corno del Theodulo (3469 m), la Cima del Breuil (3462 m), il Furggen (3492 m) e la Cima della Forca (3349 m). Proseguiamo sulla cresta del Furggen fino alla spalla di Furggen per poi deviare sulla via Piacenza.

Sulla Piacenza ci troviamo ad affrontare alcune lunghezze non banali che ci impegnano parecchio. Finalmente alle 16.00 in punto siamo in vetta al Cervino (4478 m). Da qui discendiamo per la cresta del Leone e pernottiamo alla Capanna Carrel (3830 m) raggiunta alle 17.30 in punto. Nella serata si alzerà il vento forte che ci accompagnerà per tutta la notte.

Una prima giornata perfetta dove abbiamo scalato benissimo: veloci e precisi come volevamo!

 

Alle 4 suona la sveglia e alle 6 ripartiamo!

Il secondo giorno scendiamo fino al Colle del Leone, e attraversiamo il traverso del Leone fino al Colle del Breuil. Da qui scaliamo in sequenza: Punta Maria Cristina (3708 m), Punta Maquignaz (3841 m), Punta Carrel (3841 m), Punta Bianca (3918 m).

Finalmente alle 17.30 raggiungiamo il bivacco Perelli (3831 m) che però è completamente invaso di neve. Lo ripuliamo e isoliamo la porta con svariate coperte per impedire al vento di penetrare. Dentro il bivacco, la temperatura è gelida attorno ai -20°, facciamo acqua mangiamo e ci imbustiamo subito nei sacchi a pelo.

Questa giornata nel complesso è stata veramente dura le cose già dall’inizio non sono andate come avevamo previsto. Sulla Punta Bianca le condizioni erano pessime, la neve ci arrivava alla vita; mentre sul pendio per uscire al colle delle Grandes Murailles i 50 m di ghiaccio nero, ci hanno fatto letteralmente vedere le stelle.

Terzo giorno. Alle 4 suona nuovamente la sveglia ma perdiamo volontariamente tempo, fuori il vento tira forte e la temperatura è fissa sui – 20°. Alle 6 decidiamo di partire. Ci aspetta una lunga giornata dobbiamo arrivare al bivacco Paoluccio!
Cominciamo con le Punte Margherite (3905 m), poi la Cors (3849 m) e finalmente arriviamo al bivacco Ratti.
Qui ci concediamo una piccola pausa per un pezzo di pane e un salamino.
Ripartiamo, attraversiamo la punta Ester che come l’anno prima ci fa penare con neve fino alla vita. Finalmente siamo alla Lioy (3816 m), la punta dove ci siamo fermati nell’ultimo tentativo. Ci guardiamo e senza pensarci troppo lanciamo le corde per la prima doppia e cosi entriamo nella fossa dei leoni.
“La fossa dei leoni” è così che abbiamo soprannominato il baratro che separa la Lioy dai Jumeaux. In questo esile colletto l’ambiente è veramente tetro e opprimente e le prospettive vengono totalmente capovolte ed è difficile valutare il passo seguente.
Arrivati al colletto, iniziamo a salire i Jumeaux. La neve è perfetta e il freddo blocca in maniera impeccabile la roccia purtroppo poco solida. Dopo 4 tiri finalmente arriviamo sulla punta Giordano (3872 m) ma li non è finita.
La cresta è affilatissima e per arrivare al colletto tra le due putte abbiamo attrezzato due doppie. A questo punto con due tiri molto aerei arriviamo sulla punta Sella 3872 m. Sono le 17 e finalmente vediamo che la cresta davanti a noi inizia a scendere e ci rendiamo conto che adesso siamo veramente vicini a realizzare il nostro sogno!Non c’è tempo da perdere, il bivacco è ancora lontano.
Ripartiamo spediti ma, dopo poco, il buio ci avvolge, la cresta è affilatissima e con la luce delle frontali ci sembra tutto ancora più ripido.
Alle 20 finalmente apriamo la porta del Bivacco siamo stanchi ma ormai sentiamo che domani ci sono buone chance di arrivare a valle. Entrati nel bivacco, ci sembra un altro mondo, le temperature si sono alzate e il Paoluccio a differenza del Perelli è asciutto e senza neve. Da valle ci arriva un messaggio da Damiano che la meteo sta cambiando e quindi non possiamo rilassarci. Alle 21 siamo nel sacco a pelo e puntiamo la sveglia alle 5 domani dovremo a tutti i costi arrivare a valle perché il 24 la meteo cambierà.

Quarto giorno. 23 gennaio 2020, ore 5 del mattino la sveglia suona presto per il 4 giorno consecutivo. Questa volta fa meno freddo e ci attiviamo più rapidamente. Alle 7 siamo fuori e alle 7.30 spegniamo le frontali. Sulle Petites Murailles la neve è perfetta e la temperatura è piacevole. In 3 ore siamo in vetta al Mont Blanc du Creton (3406 m).  Cambiamo versante e scendiamo dentro uno stretto canale sul versante nord poi con due doppie raggiungiamo il traverso che ci riporterà a sud. Un tiro lungo ed è fatta: vediamo il bivacco Florio. Ci sleghiamo togliamo il casco e raggiungiamo il col Des Dames. Da lì iniziamo la picchiata nel Vallone di Vofrède. La neve è perfetta e scendiamo velocemente. Arrivati nell’anfiteatro delle cascate, vediamo molta cordata scalare. Sul Camello riconosco i miei due cugini Teto  Stradelli e Michele Cazzanelli che ci sono venuti incontro e hanno approfittato per fare una picozzata. Li chiamo e loro ci salutano, buttano le doppie e ci raggiungono con gli sci. Ormai siamo a valle e ci viene incontro Nicola Corradi assieme allo staff dell’heliski con due bottiglie di prosecco! Arrivano anche Dominique, la moglie di Francesco, Damiano Levati e Daniele Molineris. Apriamo le bottiglie e con due colate siamo subito brilli. Sono le 12:30 e decidiamo di andare a mangiare una pizza da Lucio Trucco. Ci accoglie Giuliano Trucco (padre di Lucio) che ci trova subito un tavolo! Ordino due pizze e brindiamo al nostro viaggio è un momento bellissimo!

Mettersi in gioco per provare a superare i propri limiti è uno dei punti fondamentali del nostro alpinismo. Cercare di concatenare un gran numero di vette il più velocemente possibile nella stagione più fredda è una grande sfida. Questo progetto è un passo in avanti importante nel nostro alpinismo. Ci ha fatto capire che possiamo spingerci ancora un po’ oltre e che la determinazione non ci manca!

Ci tengo a ringraziare particolarmente il mio socio Francesco, tutta la mia famiglia e la mia fidanzata Alessia. Un ringraziamento speciale va a tutti gli amici che ci hanno sostenuto e hanno tifato per noi. Un ringraziamento speciale va a Damiano Levati e Teto Stradelli che ci hanno motivato, sostenuto sempre e controllato con il binocolo!

Ringrazio tutti i miei sponsor e in particolar modo Salewa che ha sostenuto sin dall’inizio questo progetto.

La Storia

La prima attraversata completa Grandes e Petites Murailles è stata compiuta da Alfredo Perino con le Guide Alpine Luigi Carrel “Carrellino” e Marcello Carrel il 2-3-4 agosto 1940. Questa cordata effettuò due bivacchi: uno al colle delle Grandes Murailles e l’altro al col Budden. Il primo concatenamento del Cervino e delle Grandes Murailles è stato compiuto dalle guide Ferdinando Gaspard e Bruno Bich assieme alla signora Carla Durando di Biella il 7-8 agosto 1947. Questa straordinaria cordata compì l’intero percorso con solo due bivacchi (all’epoca non era presente alcuna struttura sulla cresta). Partiti dal rifugio dell’Hornli, (dove è stato loro vietato di entrare, hanno bivaccato all’esterno, perché in Italia era l’anno dell’epidemia dell’afta epizootica) raggiunsero la vetta del Cervino alle sei del mattino per poi proseguire e bivaccare al colle delle Grandes Murailles. La sera le due guide raggiunsero la vetta della Dent D’Heren (senza la signora Durando che li aspettò al colle) per poi rientrare al colle e bivaccare. L’indomani ripartirono e arrivarono allo Chateau des Dames, dove bivaccarono nuovamente per poi ridiscendere a valle il giorno seguente. Nel dicembre del 1985 Valter Cazzanelli (padre di François) e Marco Barmasse compiono la prima attraversata invernale delle Grandes e Petites Murailles. Purtroppo a causa delle condizioni poco favorevoli dovettero rinunciare sin dalla partenza alle vette del Cervino e della Dent D’Herens. Il 16 agosto 2018 François Cazzanelli e Kilian Jornet Burgada hanno compiuto la prima attraversata Grandes e Petites Murailles in giornata. I due alpinisti sono partiti e ritornati a Cervinia in 10 ore e 59 minuti compiendo un giro ad anello di 23 km con 3300 mt di dislivello.

20, 21, 22, 23 gennaio 2020 Cazzanelli François e Francesco Ratti compiono il primo concatenamento invernale: catena del Furggen, Cervino (via Piacenza 2 salita invernale), Grandes Murailles e Petites Murailles scalando in 4 giorni 51 km di cresta con 4800 mt di dislivello.

MANASLU M.8163 e Pangpoche M.6620 …Una spedizione Himalayan fuori dagli schemi

Periodo : 2 settembre – 9 ottobre

Partecipanti : François Cazzanelli, Emrik Favre, Francesco Ratti, Marco Camandona, Maurizio Folini e Andreas Steindl.

L’autunno 2019 è stato anomalo per la catena Himalayana. In Nepal le stagioni migliori per scalare sono quella post e pre monsoniche ovvero l’autunno e la primavera. Quest’anno purtroppo il monsone si è trattenuto su tutta la catena fino ad autunno inoltrato creando svariati problemi a tutte le spedizioni e non solo a noi.

Su 37 giorni di spedizione abbiamo avuto solamente 3 giorni di tempo bello e stabile ovvero solo 72 ore senza precipitazioni. Oltre a questi 3 giorni le giornate migliori erano quelle dove dalla sera fino a tarda mattinata avevamo un’interruzione delle precipitazioni e alcune schiarite parziali del cielo. Tutto questo non è stato del tutto negativo infatti questa situazione di tempo perturbato a fatto sì che anche in alta quota le temperature non siano mai state troppo rigidi e il vento mai eccessivamente forte.

La nostra spedizione aveva due obbiettivi:

  • Il primo, era quello di tentare la vetta del Pagpoche aprendo una via nuova sul versante nord-ovest in stile alpino utilizzando come campo base il villaggio di Samagoan che si trova a una quota di 3500 mt.
  • Il secondo (ma solo in ordine di tempo) era il Manaslu, l’ottava montagna più alta della terra, con i suoi 8161 m. Questa montagna mi ha da subito stimolato l’idea di provare una salita in velocità che a mio parere era una logica evoluzione di ciò che ho fatto sulle alpi negli ultimi anni. Prima di me questa salita era già riuscita ad Andrzej Bargiel che il 25 settembre 2014 ha salito e sceso (discesa fatta parzialmente con gli sci) il Manaslu in 21 ore e 14 minuti.

La nostra spedizione inizia con un meteo veramente pessimo che ci accompagnerà per tutto il trekking. Per l’avvicinamento scegliamo la via più breve che con 1 giorno di jeep e 4 a piedi ci porta direttamente al villaggio di Samagoan che sarà il nostro campo base per il Pangpoche. La nostra idea è quella di salire prima il Pangpoche di modo da sfruttare in seguito l’acclimatamento sul Manaslu. Iniziamo subito a esplorare il Pangpoche la nostra idea è quella aprire una via sul versante nord ovvero quello verso il Manaslu. Dopo vari giri decidiamo che la cresta nord ovest ci offre un avvicinamento più sicuro e quindi diventa subito il nostro obbiettivo.

Ci muoviamo subito e in una giornata di pioggia portiamo una parte di materiale alla base della cresta a circa 5100 m. Dopodiché scendiamo al villaggio per riposarci un paio di giorni e aspettare il bel tempo. Purtroppo passano i giorni il meteo non migliora e le tempistiche iniziano a remarci contro. Prendiamo una decisione rischiosa: decidiamo di invertire il programma e quindi di salire direttamente al campo base del Manaslu e cominciare ad acclimatarci sulla via normale. Non perdiamo altro tempo, prepariamo il materiale e il 13 settembre siamo al base, il giorno seguente siamo già operativi e saliamo subito al campo 2 a 6400 m. Il 15 settembre tocchiamo i 6600 m e discendiamo al base a riposarci. Sulla montagna c’è molta neve ma fortunatamente sulla via normale le condizioni sono buone ma è assolutamente impensabile tentare altre vie. Nel giro di una settimana finiamo il nostro acclimamento toccando i 7200 m e dormendo a 6800 m. adesso non ci resta che riposarci e aspettare una finestra anche minima di tempo asciutto. Finalmente la meteo gira dalla nostra e sembra darci una chance per il 26 settembre. La finestra sarà breve ma sembra darci delle ottime condizioni meteo: assenza di vento, cielo abbastanza sereno e temperature buone dal 26 notte fino alle 12.00. Quindi si può fare adesso tocca a noi!

Marco, Francesco e Emrik hanno in programma di partire il 25 mattina salire al campo 3 riposare alcune ore e a mezzanotte partire direttamente per la vetta.

Io e Andy invece partiremo alle 21.00 dal campo base per arrivare in vetta la mattina del 26.

Finalmente arriva il 25 settembre è stato un grosso sforzo mentale vedere i nostri soci partire e noi rimanere al campo base ad aspettare. Durante la giornata mille pensieri mi tormentano. Ce la farò? Avrò fatto la scelta giusta?

Poi finalmente arriva la sera ceniamo con il mio amico Mario Casanova che ci incoraggia il più possibile, finiamo di prepararci. Ricontrolliamo per l’ennesima volta di aver preso tutto, usciamo dalla tenda e andiamo al Chorten. Prendiamo un po’ di riso e lo lanciamo in aria come segno di buon auspicio per la scalata e in quel momento ci rendiamo conto che sopra di noi ci sono le stelle. Salutiamo Mario e ci dirigiamo verso la lapide dell’alpinista Iraniano Jafar Naseri che si trova nella parte alta del campo base: abbiamo deciso di far partire e di stoppare da li il tempo perché è l’unico punto fisso del campo.

Ci stringiamo la mano facciamo partire l’orologio e…… via si parte!
Andy si mette a fare il passo e io lo seguo a ruota, Mario ci insegue per fare qualche foto e video ma dopo un po’ non vedo più la sua frontale dietro. Partiamo forte e in un’ora raggiungiamo il campo 1: si stava bene non faceva freddo e tutto sommato essere soli su quella montagna era molto piacevole. Arriviamo sotto la seraccata chiamata “Occhio”, calziamo i ramponi, beviamo qualcosa e ripartiamo. In circa 2 ore e 15 raggiungiamo il campo 2; il freddo inizia a farsi sentire e decidiamo di vestircii:mettiamo i pantaloni in piuma e gli scarponi da 8000 e lasciamo li le scarpe più leggere. Andy allunga il passo e arriva circa 5 minuti prima di me al campo 3; fin qui siamo saliti bene rispetto alla nostra tabella di marcia sulla quale abbiamo circa 1 ora e 30 minuti di vantaggio; ci mettiamo il piumino d’alta quota e lasciamo nella tenda dei nostri compagni un po’ di cibo e una coccola per la discesa. Rapidamente arriviamo a 7000 mt e lì le cose si complicano: improvvisamente si alza il vento e, poichè sulla montagna c’è molta neve, ad ogni folata sembra di essere dentro una bufera; ma la cosa peggiore è che la traccia si riempie di neve. Fino a quel momento la traccia era perfetta, ma da li in poi ci tocca rifarla tutta. Ogni tanto ci sono 20 cm ogni tanto 30 cm e la progressione diventa molto più faticosa. Tracciamo un po’ per uno ma comunque rallentiamo molto, arriviamo al campo 4 a 7400 m. e  ci rendiamo conto che tutto il vantaggio che avevamo è svanito e quindi adesso siamo in linea con la nostra tabella. Decidiamo di fare l’ultimo pezzo scarichi e lasciamo gli zaini al campo. Saliamo una prima rampa e ci rendiamo conto che ormai sta albeggiando; é un momento bellissimo: finalmente vediamo la punta e in lontananza anche i nostri amici. In quel momento mi carico tantissimo, come se fossi in trans agonistica, aumento il passo e raggiungo prima Emrik e Francesco, scambio con loro due parole, beviamo assieme e riparto: voglio raggiungere Marco che è circa 100 m più avanti. Raggiungo Marco, che nel frattempo mi ha fatto alcune foto, mi fermo davanti a lui e in quel momento mi accorgo che Andy ha rallentato il passo.
Riparto con Marco ma continuo a voltarmi per cercare Andy, un paio di volte gli urlo per incoraggiarlo ma la distanza tra noi aumenta…. Nella mia testa mi dico che sta rallentando perché è la prima volta che sale a quote così alte. Finalmente Andy raggiunge Francesco e Emrik e in quel momento tutto mi diventa più chiaro e mi tranquillizzo.

Io farò gli ultimi 500 mt con Marco, mentre Andy proseguirà con Emrik e Francesco: adesso anche lui non è più solo e la cosa mi solleva. Mi riconcentro e cerco di pensare per me: non è stato facile lasciare indietro Andy, prima eravamo in due mentre adesso ognuno deve pensare per se stesso e il gioco cambia.

Mi metto dietro a Marco che ha un ottimo passo: lo seguo perché è molto regolare e riusciamo a fare anche 30/40 passi consecutivamente, un ottima cosa a quelle quote. Arriviamo sotto l’ultima rampa, dove passo davanti perché mi sento bene e forzo un pelino per superare un gruppetto di alpinisti e Sherpa.
Marco rimane un pochettino indietro ma segue senza grossi problemi. Di colpo arrivo sulla cresta finale e davanti a me trovo il mio amico Pemba con due clienti: appena mi vede apre la tuta e mi da un goccio di coca, assicura i clienti e mi lascia passare.

E’ uno dei momenti più intensi che ho vissuto in montagna perché il gesto di Pemba a 8000 ha un valore immenso; vedo la vetta vicina, Pemba mi incoraggia mentre Marco arriva in cresta e scatta alcune foto: ormai ci sono!

Nella mia testa conto ogni passo mentre vedo la cresta che pian piano finisce e di colpo mi ritrovo su un mucchio di bandierine tibetane: ce l’ho fatta, sono in vetta! Guardo l’orologio: sono le 10 in punto. Ho impiegato 13 ore dal campo base alla punta. Mi giro,  guardo verso il basso e anche io inizio a scattare delle foto a Marco e Pemba. Prima arriva Marco con cui ci abbracciamo: è un momento bellissimo è il nostro secondo 8000 assieme. Arriva anche Pemba e iniziamo a scattare un sacco di foto. Siamo euforici, beviamo, mangiamo e ci godiamo il momento: in totale restiamo più di mezz’ora in vetta. Ad un certo punto Marco mi guarda e mi dice: “adesso muovi il culo e scendi”!

Ci salutiamo e riparto: ripercorro la cresta e ritorno sul pendio finale dove, per risparmiare le energie, scendo un po’ con il sedere tipo un bob. Circa 300 m sotto la vetta trovo Andy Francesco e Emrik: li incito e dicendo loro che ormai manca poco e che devono stringere i denti. Chiedo a Andreas come sta e mi risponde: “ça va maintenant je susi avec le copain; descend tranquille”. Lo guardo ci abbracciamo e riparto!

Scendo deciso fino al campo 4 e poi da lì inizio ad avere male ai piedi. Mi sembra di scendere piano al campo 3, entro nella tenda degli altri, prendo la mia roba bevo un po’ di coca; Riparto subito…. I piedi mi fanno male e mi sembra che il tempo non passi più, ma finalmente arrivo al campo 2. Cambio le scarpe, mangio qualcosa e mi accorgo che i piedi vanno meglio e che tutto sommato sto scendendo bene. Riparto, nella mia testa continuo a ripetermi che manca poco e che devo tener duro, ogni tanto riesco anche a correre: allora prendo coraggio e scendo ancora più forte. Inizia a piovere, sono fradicio ma devo scendere. Arrivo al C1 dove non mi fermo e continuo fino alla fine del ghiacciaio dove tolgo i ramponi: ormai ci sono! Cammino veloce ma tanto attento, non mi va di cadere e prendere colpi. Vedo le prime tend, accelero e finalmente arrivo alla lapide fermando il cronometro dopo 17 ore e 43 minuti.

Riparto subito, sono bagnato e ho freddo; arrivo al nostro campo e mi tuffo nella tenda cucina, perché quella è la tenda più calda di tutto il campo! Entro e tutti mi guardano con aria stupita; penseranno: “cosa ci fa già qui”? Mi danno un caffè e inizio a scaldarmi; in quel momento entra Mario che inizia ad abbracciarmi e dirmi : “ma ti rendi conto di cosa hai fatto?”. Gli rispondo di non aver chiaro….ho freddo e fame. Intanto il cuoco mette su delle patate e arriva Tashi il capo della nostra agenzia con un cassa di birre:inizia la festa.

Mi sento meglio; arrivano un sacco di sherpa e tutti mi abbracciano. Restiamo circa tre ore lì e poi di colpo arriva anche Marco. Ci abbracciamo e poi ancora birra. Verso le 18.30 arriva anche Andy: ci cambiamo e mangiamo poi aspettiamo Emrik e Francesco per fare ancora un brindisi e mangiare una bellissima torta con la scritta Manaslu summit. La cosa più bella di questa avventura è che l’ho condivisa con un gruppo speciale di amici con i quali ho sempre affrontato tutto con il sorriso!

Siamo felici ma allo stesso tempo consapevoli che non è ancora finita perché ci aspetta il Pangpoche.

To be continued…..

Pangpoche 2019

Il 29 settembre scendiamo a Samagoan per riposarci. Il tempo, dopo la breve finestra che ci ha permesso di fare il Manaslu è sempre rimasto brutto. Nonostante la fatica fatta sull’ottava montagna della terra non abbiamo mai smesso di sognare il Pangpoche che sin da subito ci ha stregati.

Il Pangpoche è una montagna di 6620 metri situata di fronte al Manaslu, sopra il villaggio di Samagoan. Durante le ricognizioni fatte prima di arrivare al campo base del Manaslu riusciamo ad individuare tre possibili vie di salita. Dando le spalle al Manaslu si possono facilmente notare 3 evidenti speroni la nostra decisione è stata di puntare a quello di sinistra: il più lungo, il più evidente ed il più difficile.

In questi giorni uggiosi passati al villaggio, capiamo dagli abitanti che è da parecchi decenni che non si manifestava un monsone così duraturo, in effetti siamo a fine settembre e non ha ancora fatto una giornata intera di sole, inoltre la neve si abbassa sempre di più col passare dei giorni.

Una speranza da casa ci arriva il primo di ottobre, quando i nostri meteorologi ci avvertono di una possibile finestra di bel tempo dal 3 al 5 ottobre. Per noi sarebbe la prima scalata dell’autunno col sole, non vediamo l’ora di muoverci!

Il 3 ottobre alle 5 del mattino partiamo per il Pangpoche! Il tempo è ancora un po’ umido ma confidiamo nella meteo e partiamo. Gli zaini non sono leggeri perché nonostante il deposito a 5100m (organizzato e trasportato nei giorni precedenti) abbiamo ancora da portare diverso materiale. In più non siamo convinti che quello che abbiamo portato su 15 giorni prima sia ancora buono quindi prendiamo del cibo extra.

Arriviamo senza intoppi al deposito e quindi all’attacco della cresta. Con una buona dose di fortuna ritroviamo il nostro materiale sepolto sotto mezzo metro di neve compatta e assestata. Ci leghiamo in due cordate: Io e Marco; e Francesco, Emrik e Andy. Le condizioni non sono semplici, la roccia è marcia e c’è parecchia neve da tracciare. La cresta presenta tratti tecnici talvolta verticali, alternati a tratti esposti ed aerei.

Verso le 5 del pomeriggio raggiungiamo quota 5500m, dove, su una sella di neve pianeggiante decidiamo di piazzare le tende per la prima notte. Spianiamo la cresta il più possibile, con le piccozze, fino a ricavare una piazzola grande appena meno della larghezza della tenda. Mettiamo in fila le nostre tendine e fissiamo una corda per poterci legare e dormire un po’ più tranquilli.

La prima notte passa bene e al mattino ci alziamo con un tempo splendido! Finalmente dopo tanti giorni riusciamo ad ammirare le montagne intorno a noi. Uno spettacolo incredibile!

Colazione al volo e riattacchiamo la nostra cresta! Siamo sempre belli pesanti, ma riceviamo un piccolo aiuto dalla neve che per un bel tratto è trasformata e ci permette di andare più veloci. Superiamo un tratto verticale e tecnico, raggiungendo una parte di cresta lunga e pianeggiante. Qui il terreno diventa molto esposto con lunghi tratti di cresta aerea. Avevamo già notato questo tratto ma pensavamo fosse più facile!

Superato il lungo tratto pianeggiante, quasi in leggera discesa, la via riprende a salire. Davanti a noi si alternano tratti verticali di roccia intervallati a lunghi canali di neve.

Questa parte non è banale ma ci offre una scalata divertente nonostante richieda molte energie.

Io e Marco prendiamo un pelo di vantaggio sugli altri. Vediamo ancora un paio di torri e pensiamo che dietro finalmente la cresta diventi facile.

Superiamo un torrione e arriviamo a 5800 m di quota ormai per la vetta ci mancano meno di 600 m. Siamo fermi su una selletta nevosa molto stretta. Riusciamo a malapena starci in due, in quel momento guardando verso l’alto ci rendiamo conto che per raggiungere la cima non ci basta un’altra giornata.

Accendiamo il nostro Inreach per avere l’aggiornamento meteo, ormai sono le 16 e bisogna iniziare a pensare dove bivaccare.

Acceso il satellitare ci arriva subito la mazzata, la meteo andrà a peggiorare nei prossimi giorni. Che facciamo? Aspettiamo gli altri e ci consultiamo tutti assieme. Spostandoci di circa 20 metri in parete notiamo che per altri 200 m. le difficoltà aumentano.

La cresta diventa molto affilata e ancora più marcia, e in alternativa dovremmo attraversare dei pendii molto ripidi ed esposti a scariche di rocce e neve per poi raggiungere dei canali più facili. Viste le condizioni generali, decidiamo di scendere. La meteo ci ha confermato che resta una sola giornata buona e ci serve per trovare la via di discesa.

Rinunciamo quindi a un bel sogno, quello del Pangpoche. Nei giorni successivi verremmo a sapere che nel frattempo è già stato salito da una spedizione Georgiana ma dall’altro versante per una via decisamente più semplice.

Rinunciare è sempre la cosa più difficile per un alpinista, ma talvolta è necessario se le condizioni non lo permettono o la meteo è incerta. D’altronde le montagne non scappano e le occasioni per tornarci ci sono sempre. Con questo pensiero in testa e una punta di rammarico piazziamo le tende in un punto accettabile della cresta. Sempre assicurati a una corda passante nella tenda consumiamo la nostra cena, fatta di mezza insalatissima Rio mare e una Simmenthal.

Chiusi nel sacco a pelo ci ricordiamo che oggi è il compleanno di Emrik allora tutti assieme gli facciamo glia auguri e lui ci promette che arrivati al villaggio ci pagherà un po’ di birre.

Il mattino del 5 ottobre cominciamo a scendere. Dopo 150m di cresta in discesa vediamo una serie di speroni e canali che ci portano su pendii che dovremmo poter scendere a piedi. Ce la caviamo facilmente con 600 metri di doppie a chiodi e con un po’ di desescalade che ci  riporta alla morena alla base della cresta. Alle 14:00 finalmente siamo a Samagoan a festeggiare il compleanno di Emrik fuori comincia piovere la meteo neanche questa volta ci ha perdonati.

Solo con una squadra così affiatata poteva tentare con condizioni difficili una montagna come il Pangpoche. La nostra cresta nonostante accurate analisi si è rivelata più complicata e lunga del previsto.

Un grazie di cuore va ancora ai miei compagni di avventure. Tutto questo se condiviso con le persone giuste diventa un’esperienza di vita che rimarrà nel cuore per sempre.

Non è sempre la cima a darti la felicità e la soddisfazione di una salita, spesso basta il cammino e le fatiche che intraprendiamo per arrivare dove riusciamo.

 

Integrale alla Peuterey… in giornata!

Un grande sogno che si realizza. Era da parecchi anni che sognavo di fare questa immensa cresta, senza bivaccare, salendo leggero e veloce. Non sapevo se ci sarei riuscito ma volevo provarci.

L’Integrale di Peuterey è quella lunga cresta che partendo dalla Val Veny, sale sulla vetta dell’Aiguille Noire de Peuterey (3.773 mt), scende dalla sua parete Nord fino nel canale che porta alla Brèche sud delle Dames Anglaises e le attraversa. Prosegue salendo all’Aiguille Blanche de Peuterey (4.112 mt), scende al Col de Peuterey, sale Pilier d’Angle (4.234 mt), per poi  raggiungere la vetta del Monte Bianco di Courmayeur (4.765 mt) prima e di Chamonix (4.810 mt), poi. Tutto è nato quando, da piccolo, ho visto il video di Arnaud Clavel e Matteo Pellin in cui, 19 anni fa, partendo dalla chiesa di Notre-Dame de Guérison, hanno salito l’Integrale di Peuterey e sono tornati al punto di partenza scendendo dalla via normale Italiana che passa dal rifugio Gonnella.

Arnaud è stato mio istruttore ai corsi guida e quando ero piccolino avevo appeso in camera il poster della sua salita su Divine Providence assieme a Mario Ravello e Maurizio Rossetto. Mi sono sempre ispirato a lui e alla sua immensa attività. Matteo Pellin, invece, ho avuto il piacere di conoscerlo bene durante la permanenza nel suo campeggio Peuterey “La Sorgente”, durante il nostro progetto. Ne è nata una bella amicizia; Matteo è una guida alpina e un alpinista di grande esperienza e quando ti parla del Monte Bianco gli si illuminano gli occhi. Lo scorso inverno proposi il progetto ad Andreas Steindl, – forte alpinista svizzero – che subito accettò con entusiasmo, così prima della mia partenza per l’Alaska programmammo tutto nei minimi dettagli. Con Andy c’è una grande amicizia che si è creata condividendo tantissimi progetti in montagna, tra cui il record di concatenamento delle 4 creste del Cervino (Hörnli, Furgen, Zmutt e Leone) in 16 ore e 4 minuti del  12 settembre 2018 (migliorando di ben 7 ore il record precedente del ’92 di Hans Kammerlander e Diego Wellig di 23 ore).

Finita la parte di preparazione, finalmente, giovedì 18 luglio ci siamo trovati in campeggio da Matteo, per preparare il materiale e portare nel pomeriggio i nostri zaini alla base della cresta sud dell’Aguille Noire di Peuterey. Questo per permetterci di correre i 1000 mt di sentiero fino all’attacco della cresta leggeri, senza affaticarci troppo. Nei nostri zaino abbiamo deciso di mettere;

Materiale Alpinistico: 1 mezza corda da 60 mt, una serie di friend dal 0.2# al 2#, 4 rinvii, 4 fettucce lunghe, 2 fettucce corte, 2 picozze (a testa), ramponi Grivel Air tech Hibryd, casco, 3 moschettoni a ghiera (a testa), un secchiello (a testa), un prusick , un chiodo da ghiaccio corto (a testa) e le scarpette da arrampicata. Cibo e liquidi: 0,7 lt di sali, 0,7 lt di coca, 6 gel, 3 barrette, 3 Kit Kat, frutta secca e 4 albicocche. Vestiti: 1 piumino leggero, 1 giacca in Gore Tex, 2 paia di guanti, buff e fascetta.

Tutto il materiale lo abbiamo portato sulle nostre spalle durante tutto il progetto su e giù. La notte si dorme poco, nella mia testa ci sono mille pensieri, il più insistente: “Sarò capace? ce la farò?” Poi finalmente alle 2 e 45 suona la sveglia, schizzo subito in piedi. Matteo ci aspetta nel bar del campeggio per la colazione. Arriva anche Luca Rolli, un caro amico e Guida Alpina di Courmayeur, che gentilmente, assieme a Marco Camandona, ha deciso di seguirci per scattare un po’ di foto e video.

Alle 3 e 30 spaccate partiamo, un’ora e cinque minuti dopo siamo alla base della sud della Noire. Iniziamo a cercare i nostri zaini, (che abbiamo portato su il giorno prima) sembra impossibile ma col buio facciamo fatica a trovarli, passano alcuni minuti prima di riuscire finalmente a prenderli. Ci cambiamo e iniziamo a scalare!

Siamo coordinati e precisi: scalare la Noire è un piacere e in appena 5 ore siamo alla madonnina. Beviamo qualcosa ci cambiamo e iniziamo la lunga discesa sulla parete nord. Per scendere la Noire ci vogliono ben 17 doppie, lunghe circa 25 metri: bisogna fare molta attenzione perché non sono ammessi errori. Tutto fila liscio e in poco più di un’ora e mezza iniziamo ad aggirare le Dames Anglaises. Questo tratto si è rivelato molto delicato perché abbiamo trovato alcune cordate e la roccia qui è molto friabile. Sono stati momenti non facili perché avevamo paura di essere colpiti da qualche sasso e a nostra volta di colpire qualcun altro. Fortunatamente tutto è filato liscio e arrivati sul versante est della Blanche abbiamo potuto tirare un po’ il fiato. Riprendiamo a salire spediti e in poco tempo siamo sulla splendida cresta della Blanche e in un batter d’occhio siamo in vetta. Da qui con altre 7 doppie raggiungiamo il colle di Peuterey avvolti da una nebbia teatrale. Ci sono molte scariche di sassi e con la nebbia non riusciamo ad individuarle, pensiamo un attimo ma non c’è altra soluzione: dobbiamo andare a naso cercando il facile ed essere veloci.

Arriviamo sulla vetta del Pillier d’Angle e finalmente usciamo dalla nebbia. Le condizioni della cresta non sono buone c’è molto ghiaccio e tanta neve marcia. Non ci diamo per vinti e ripartiamo, diverse pietre ci passano vicine. Nonostante ciò rimaniamo concentrati e con la massima attenzione continuiamo a salire. Finalmente dopo 11 ore e 50 minuti passiamo la cornice e ci ritroviamo sulla vetta del Monte Bianco di Courmayeur, la tensione cala, non sentiamo più il rumore delle pietre. Appena dietro la cornice incontriamo Teto e Jerome: è un momento bellissimo, ci abbracciamo!  Teto e Jerome erano partiti due giorni prima  scalando anche loro l’Integrale: sono stati bravissimi. Ripartiamo subito e dopo 12 ore e 12 minuti siamo sulla vetta del Monte Bianco.

Scattiamo un po’ di foto, ci mettiamo la giacca, beviamo e mangiamo: passano circa dieci minuti. Ci mettiamo in assetto da discesa e ci lanciamo verso il Gonnella. Arriviamo al rifugio senza più nulla da bere, così ci compriamo una lattina a testa e una bottiglia di acqua gasata. Le beviamo tutte in un sorso e ripartiamo. Arriviamo sul Miage e la stanchezza si fa sentire. Finalmente usciamo dal ghiacciaio e Andreas inizia a correre con un ritmo incredibile, fatico a stargli dietro, guardo solo dove mettere i piedi e finalmente in lontananza vedo il campeggio. Stringo i denti gli ultimi cento metri: finalmente è finita stoppiamo il cronometro e cadiamo a terra.

Matteo arriva con una bottiglia  di vino bianco, la stappiamo e la beviamo tutta! Siamo felicissimi, è un momento fantastico: guardiamo l’orologio 15 ore e 55 minuti, non ci possiamo credere!!! Ci lanciamo in piscina, beviamo due birre e la tensione finalmente passa. Prendo la macchina e vado a recuperare Teto e Je al Combal per andare tutti a cena in campeggio con Matteo, dove stappiamo un paio di bottiglie, ci rilassiamo e parliamo di montagna. Il momento è stato bellissimo, condiviso con grandi amici.

Adesso è il momento di tirare le somme…è difficile confrontare tempi e performance dei vari alpinisti, soprattutto su un itinerario così. Ognuno lo interpreta a suo modo: in solitaria, in cordata, scendendo in Francia, in Italia e così via…
Quello che rimane è che abbiamo vissuto un’avventura splendida condivisa con degli amici speciali e che in 15 ore e 55 minuti abbiamo scalato l’Integrale e siamo scesi dal Gonella facendo ritorno al punto di partenza. Salendo e scendendo un totale di 4.276 mt con uno sviluppo di 45,37 km. Tutto questo in totale autonomia, portandoci sulla nostra schiena tutto il materiale su e giù.

Questa performance sicuramente è un importante passo avanti perché abbiamo alzato notevolmente l’asticella delle nostre salite in velocità. In futuro potremmo sfruttare questa esperienza per i nostri prossimi progetti sulle Alpi ma sopratutto in Himalaya.

Ci tengo a ringraziare tutte le persone che hanno contribuito a questa folle salita, in particolare Marco e Luca per aver scattato e girato le splendide immagini che potete ammirare, Matteo e la sua famiglia per l’ospitalità nel campeggio. Inoltre un ringraziamento speciale come sempre va ai miei sponsor che mi permettono di poter inseguire i miei sogni.

Spedizione al Denali in Alaska

Talkeetna 2 giugno 2019. Finalmente dopo 20 notti passate sul ghiacciaio possiamo finalmente goderci un comodo letto. Francesco e Teto stanno imprecando al piano di sotto con le compagnie aeree per cambiare i voli, Roger dorme e io mi rilasso nel letto e ripenso a questi ultimi 20 giorni….

Quando siamo arrivati sul Kahiltna Glacier, il 15 maggio 2019, il meteo non era eccezionale, sembrava di essere in inverno, c’era parecchia neve fresca e faceva freddo.

Nei primi giorni della spedizione abbiamo esplorato la zona prendendo confidenza con il nostro nuovo “parco giochi”. Durante i due pomeriggi successivi al nostro arrivo, io e Roger abbiamo costruito un enorme igloo (alto 2 metri e largo 4×4 metri) che si è rivelato fondamentale: all’interno infatti c’erano zero gradi e si poteva mangiare e cucinare con qualsiasi condizione meteo soprattutto risparmiando molto carburante.

L’obbiettivo della nostra spedizione – ora lo posso dichiarare apertamente – era raggiungere la vetta del Denali, ripetendo la “Cassin”. Una via aperta da una cordata italiana nel luglio del 1961 guidata da Riccardo Cassin assieme ai “Ragni di Lecco”. La via è molto lunga, circa 2.500 m di dislivello dalla terminale fino in cima. L’arrampicata è varia, su granito solido di alta qualità, tra goulotte, tiri di misto ed una cresta  di neve molto aerea. Si segnalano solo poche ripetizioni della “Cassin” da parte di nostri connazionali: la prima nel 1993 da Franco Dobetti, Bruno Dossi e Bruno Rota; la seconda ripetizione italiana, nel giugno 2009, organizzata dal gruppo Gamma e composta da Giacomo Bianchi Bazzi, Roberto Chiappa, Massimiliano Gerosa, Eugenio Manni, Fabio Valseschini.

La nostra strategia prevedeva di allestire un campo base vicino all’aeroporto, sul “Kahiltna Glacier” ad una quota di 2170 m; e di allestire poi un campo avanzato sulla via normale Denali a 4327m (nello stesso luogo dove viene allestito il campo 4 di chi fa la via normale), così da consentirci di muoverci più velocemente verso i nostri obbiettivi.

Allestito quindi il campo base, il 17 maggio, abbiamo caricato le slitte e siamo partiti alla volta del campo 4 del Denali (a 4327m). Per arrivarci abbiamo dovuto risalire 2500 m di dislivello spalmati su 24 km. Quel giorno, carichi come muli, ci abbiamo impiegato ben 8 ore e 46 minuti.

Me la ricordo come una giornata durissima: montate le tende e sbranato qualcosa siamo crollati nei sacchi a pelo!

Al risveglio, il giorno seguente, abbiamo iniziato il nostro acclimatamento. Faceva brutto ma siamo riusciti a muoverci agevolmente sulla via normale la “West Buttres” arrivando ad una quota di 5500 m. Il 19 maggio siamo rientrati al campo base, dopo aver dormito per due notti a 4.327m. A questo punto l’acclimatamento era completato: non ci restava che scalare.

Finalmente il 22 maggio, sopraggiunsero le condizioni meteo ottimali per ripartire verso il campo avanzato a 4.327 m. La nostra forma fisica era decisamente migliorata, impiegammo solamente 6 ore e 30, contro le quasi 9 ore della volta precedente e sempre con zaini in spalla decisamente pesanti.

Purtroppo, arrivati al campo, ci comunicarono che la finestra di bel tempo si era ridotta a sole 24 ore. Che fare? Io e Francesco abbiamo così deciso che il giorno seguente avremmo fatto un giro di perlustrazione sulla “West Rib” per vedere l’attacco della “Cassin”; mentre Teto e Roger avrebbero continuato il loro acclimatamento sulla via normale, la “West Buttres”.

Il 23 maggio, alle 11, io e Francesco ci incamminammo. Arrivati al colle non riuscivamo a veder più nulla sotto di noi, ma intuivamo che sopra, il cielo era sereno, così decidemmo di proseguire.

La via davanti a noi non era banale, però allo stesso tempo era divertente e le condizioni discrete. Ogni tanto bisognava tracciare e ogni tanto si trovavano delle placche di ghiaccio, il tutto alternato a simpatici passaggi di roccia!

Step by step, stavamo arrivando al passaggio chiave della via: la cornice finale. Superata anche questa, non ci restava che correre in vetta!!

Dopo 9 ore di scalata, alle 20 di sera, eravamo in cima al Denali. Stupendo! Le nuvole si erano diradate e non c’era nemmeno vento. Giusto il tempo di qualche foto e poi giù di corsa dalla via normale e in appena 11 ore e 56 eravamo di nuovo al campo 4.

Ad aspettarci c’erano Teto e Roger che ci raccontarono che a 5.500 m avevano dovuto rinunciare alla vetta e tornare indietro a causa della nebbia che gli impediva di trovare la via.

La West Rib è valutata Alsaka Grade 4, può essere paragonato alla cresta Triftjigrat sulla parete nord del Breithorn. Dal Campo 4 del Denali presenta un dislivello di 1900 m. Le difficoltà terminano al così detto “Football camp” a 5900 m. Da lì la via si ricongiunge alla via normale la “West Butres”.

Ripensandoci, la cosa incredibile di questa cima inaspettata ma voluta, è che esattamente lo stesso giorno di un anno fa, il 23 maggio 2018, ero in vetta al Lhotse, in Nepal, assieme a Marco Camandona!!

Il 24 maggio facemmo ritorno al campo base ordinammo 4 pizze e 4 birre alla compagnia aerea e ci mettemmo in tenda a festeggiare. La meteo restò brutta per svariati giorni, nevicò parecchio e l’attesa iniziò ad essere snervante!

Finalmente con il 28 maggio arrivò il bel tempo e partimmo per il campo 4, obbiettivo per me e Francesco era la cresta “Cassin”; per Teto e Roger la “West Rib”. Il nostro stato di forma era decisamente migliorato infatti impiegammo solamente 4 ore e 20 minuti per salire al campo 4 contro le quasi 9 ore della prima volta.

Quella sera al campo 4 faceva veramente freddo, mangiato di corsa, ci siamo immediatamente chiusi nei nostri sacchi a pelo!

L’indomani la sveglia era puntata presto, bevuto un caffè  e mangiato qualcosa, eravamo pronti a partire.

Abbiamo percorso tutti e quattro assieme i primi 600 m fino al colletto, a questo punto  ci siamo divisi in due cordate e salutato Teto e Roger che avrebbero proseguito per la “West Rib”. Io e Francesco abbiamo iniziato la discesa della “Seattle ramp”. In 4 ore e 20 minuti eravamo già alla base della via; ci sono serviti 10 minuti per preparare il materiale e rifocillarci e via. Di nuovo in movimento per attaccare il “Japanese Couloir”: le condizioni non erano delle migliori, c’era parecchio ghiaccio, ma siamo riusciti a cavarcela velocemente. Un paio di tiri di roccia ed eravamo in breve tempo, a cavallo della “Cowboy ridge”. L traccia delle due cordate davanti a noi ci aiutava parecchio e in poche ore eravamo al ghiacciaio pensile a rifocillarci!

Fermati solo per pochi minuti, eravamo di nuovo pronti per partire verso la “prima rock band”, che presenta un’arrampicata splendida, mai difficile e molto divertente.

Arrivati in cima abbiamo superato le altre due cordate: una stretta di mano, un po’ di incoraggiamenti reciproci e poi su verso la “seconda rock band”. Trovato agilmente il couloir nascosto, lo abbiamo superato agevolmente. In cima a questo tratto a circa 5.000 m ci siamo fermati a mangiare qualcosa.

Accesa la radio ci travolse la voce euforica di Roger che ci dava la bella notizia che lui e Teto erano in vetta al Denali per la “West Rib”. Questa notizia ci diede una grande carica. In totale avevamo già scalato per più di 2000 mt e la stanchezza iniziava a farsi sentire. Eravamo super felici per i due “bocia”: fu una vera e propria iniezione di carburante, ripartimmo più motivati che mai.

Il passaggio successivo era superare la “terza rock band”, ma i giochi si complicarono: per i successivi 400 m avremmo dovuto tracciare la via con la neve alle ginocchia. Eravamo a 5.400 m e la notte stava arrivando. Si decise di fermarci due ore a riposare e bere, così da passare al coperto le ore più fredde. Infilati dentro la tenda monotelo ed acceso il fornello, le ore passarono veloci e alle 2 fu il momento di ripartire.

Faceva molto freddo circa -36 con vento a 45 km/h. Gli ultimi 700 mt furono difficilissimi. Un passo alla volta, stringendo i denti, finalmente alle 7 del mattino eravamo al sole e in vetta.

Faceva freddissimo le palpebre degli occhi si congelavano.

Avevamo impiegato esattamente 18 ore e 58 minuti dalla terminale alla punta.

Due scatti veloci, qualche video e giù di corsa per scaldarci. Senza sosta abbiamo continuato a scendere fino al campo 4, dove siamo arrivati alle 8:45, esattamente 26 ore e 45 minuti dalla nostra partenza.

Al Campo 4, ad aspettarci c’erano i nostri amici con un buon the caldo. Dopo qualche ora di sosta, assieme a Roger e Teto, abbiamo impacchettato tutto il materiale sulle slitte e ci siamo rimessi in marcia verso il campo base, raggiunto in tre ore.Solo all’arrivo abbiamo realizzato cosa fosse realmente successo nelle ultime ore.

Io e Francesco siamo molto soddisfatti delle nostre due salite al Denali, in una sola settimana e soprattutto della “Cassin”. Affrontare così velocemente al primo colpo una via così difficile trovando condizioni non sempre favorevoli per noi ha un enorme valore e ci sprona per i nostri progetti futuri.

Eravamo venuti in Alaska con l’idea di scalare velocemente vie tecniche che non avevamo mai affrontato prima e questo risultato ci ripaga in pieno degli sforzi fatti durante la preparazione, meticolosa e continua per tutto l’inverno. Nulla arriva per caso.

Sono molto orgoglioso anche del risultato ottenuto dai due “bocia”, Teto e Roger, che si portano a casa, alla loro prima spedizione internazionale, una via importante con uno stile pulito e leggero. Bravissimi!

Una cresta Himalayana sopra il cielo di casa – secondo tentativo concatenamento Furggen- Cervino – Cervino – Grandes Murailles- Petites Murailles

Dal 14 al 17 febbraio 2019 io e Francesco Ratti, abbiamo tentato di concatenare tutte le vette della cresta continua che unisce alcuni dei principali massicci montuosi della Valtournenche la nostra idea era quella di partire dal rifugio: Theodulo attraversare il Furggen il Cervino (salendo la via degli Strapiombi di Furggen), salire la  Dent D’Hérens, le Grandes Murailles e le Petites Murailles. L’avremmo voluto fare in velocità e nella stagione più fredda. Prima di affrontare il percorso abbiamo preso in considerazioni tutte le variabili compreso la meteo che per tre lunghi giorni ci è stata favorevole. Siamo arrivati quasi in fondo, abbiamo percorso un buon 80% del tragitto ma ad un certo punto abbiamo dovuto “tirare il freno”. Ma non è un addio ma solo un arrivederci.

Abbiamo sfruttato una finestra di bel tempo di oltre 3 giorni. Ci eravamo allenati parecchio già da diversi mesi. La cresta, di dimensioni Himalayane, è visibile dalla conca del Breuil, dove affascina e stupisce le migliaia di persone che frequentano Cervinia. E Comprende in totale 20 vette: la più alta, è quella del Cervino con i suoi 4478 mt. mentre la meno elevata è quella del Mont Blanc du Créton 3406 mt. Per le sue dimensioni, per le altezze e per i suoi passaggi vertiginosi, la cresta è sicuramente una delle più spettacolari ed estetiche delle Alpi. Basti pensare, che solo l’attraversata Grandes e Petites Murailles misura circa 16 km di cresta ininterrotta.

Partiti giovedì 14 febbraio dal rifugio  Theodulo 3317 mt., con Francesco Ratti abbiamo raggiunto il bivacco Bossi attraversando completamente la cresta del Furggen che comprende 4 vette: il Corno del Theodulo 3469 mt, la Cima del Breuil 3462 mt, il Furggen 3492 mt e la Cima della Forca 3349 mt. Abbiamo poi proseguito sulla cresta del Furggen che ci ha portati alla vetta del Cervino 4478 mt. Da qui siamo discesi per la cresta del Leone e pernottato alla Capanna Jean Antoine Carrel 3830 mt.

Un giornata perfetta abbiamo scalato benissimo: veloci e precisi come volevamo!

Tutto è iniziato per il meglio in appena 10 ore e 21 minuti siamo arrivati in capanna coprendo una distanza di 18,18 km con un dislivello positivo di 1852 mt.

Il secondo giorno siamo discesi fino al Colle del Leone, attraversando il Traverso del Leone fino al Colle del Breuil. Da qui abbiamo scalato in sequenza: Punta Maria Cristina 3708 mt, Punta Maquignaz 3841 mt, Punta Carrel 3841 mt, Punta Bianca 3918 mt, Dent d’Herens 4179 mt. Per poi bivaccare al bivacco Perelli  3831 mt.

Qui le cose non sono andate come prevedevamo e abbiamo già avuto parecchi segnali di come sarebbe stato il proseguimento. Sulla Punta Bianca le condizioni erano pessime, la neve ci arrivava alla vita, invece sul pendio per uscire al colle delle Grandes Murailles 50 mt di ghiaccio, credetemi, ci hanno fatto vedere le stelle.

Comunque nonostante la lunga giornata non ci siamo demoralizzati e alle 18.30 di sera abbiamo raggiunto il bivacco Perelli dopo 14 ore e 44 minuti dove abbiamo percorso ben 11,04 km con un dislivello positivo di 1589 mt.

Il terzo giorno, abbiamo scalato le Punte Margherita 3905 mt, Punta dei Cors 3849 mt. Lioy 3816 mt, ma proseguendo per I due Jumaux 3872 mt, abbiamo dovuto desistere per le condizioni proibitive. Sui Jumeaux c’era una cornice gigantesca e per superarla avremo dovuto rischiare eccessivamente. Fino a quel punto siamo riusciti a gestire i rischi ma da li in avanti sarebbe stato un azzardo eccessivo che non avevamo intenzione di prenderci.

Se le cose fossero andate come avremmo voluto avremmo dovuto proseguire per la Becca di Guin 3805 mt, Punta Budden 3603 mt, Tour du Creton 3579 mt, Mont Blanc du Creton 3406 mt, Chateau des Dames 3488 mt; con discesa a valle per il Vallone di Vofrède.

In totale il terzo giorno abbiamo percorso 5,72 km con un dislivello totale di 1032 mt.

Mettersi in gioco per provare a superare i propri limiti è uno dei punti fondamentali del nostro alpinismo. Cercare di concatenare un gran numero di vette il più velocemente possibile nella stagione più fredda è una grande bella sfida. Non sempre però le cose vanno come le si sono immaginate. E in alpinismo rinunciare non è una sconfitta perché le montagne restano lì e ti concedono sempre una seconda possibilità.

Ammetto che la nostra delusione è stata palpabile e dopo due giorni la stanchezza si sente ancora nei muscoli e nelle ossa, ma un abbraccio con Alessia e un po’ di birre con gli amici sono stati la nostra miglior medicina.

Di queste tre splendide giornate in montagna porto a casa un ricordo stupendo e un grandissimo bagaglio di esperienza. Rimane sempre una cosa da non tutti i giorni poter scale in inverno un totale di 34,94 km di cresta ininterrotta a fil di cielo con un dislivello di 4.473 mt.

La Storia

La prima attraversata completa Grandes e Petites Murailles è stata compiuta da Alfredo Perino con le Guide Alpine Luigi Carrel “Carrellino” e Marcello Carrel il 2-3-4 agosto 1940. Questa cordata effettuò due bivacchi: uno al colle delle Grandes Murailles e l’altro e al col Budden. Il primo concatenamento del Cervino e delle Grandes Murailles è stata compiuto dalle guide Ferdinando Gaspard e Bruno Bich assieme alla signora Carla Durando di Biella il 7-8 agosto 1947. Questa straordinaria cordata compì l’intero percorso con solo 2 bivacchi (all’epoca non era presente alcuna struttura sulla cresta). Partiti dal rifugio dell’Hornli, (dove è stato loro vietato di entrare, hanno bivaccato all’esterno, perché in Italia era l’anno dell’epidemia dell’afta epizootica) raggiunsero la vetta del Cervino alle sei del mattino per poi proseguire e bivaccare al colle delle Grandes Murailles. La sera le due guide raggiunsero la vetta della Dent D’Heren (senza la signora Durando che li aspettò al colle) per poi rientrare al colle e bivaccare. L’indomani ripartirono e arrivarono allo Chateau des Dames dove bivaccarono nuovamente per poi ridiscendere a valle il giorno seguente. Nel dicembre del 1985 Valter Cazzanelli (padre di François) e Marco Barmasse compiono la prima attraversata invernale delle Grandes e Petites Murailles. Purtroppo a causa delle condizioni poco favorevoli dovettero rinunciare sin dalla partenza alle vette del Cervino e della Dent D’Herens. Il 16 agosto 2018 François Cazzanelli e Kilian Jornet Burgada hanno compiuto la prima attraversata Grandes e Petites Murailles in giornata. I due alpinisti sono partiti e ritornati a Cervinia in 10 ore e 59 minuti compiendo un giro ad anello di 23 km con 3300 mt di dislivello.

La “diretta allo scudo” del Cervino

Aprire una nuova via sul Cervino è sempre stato uno dei miei più grandi sogni.

Fin da bambino, il desiderio era quello di mettere la mia firma sulla montagna di casa, lasciando così un segno profondo ed indelebile non solo sul Cervino ma anche dentro di me. Ci sono voluti 6 anni per portare a termine il mio sogno, in un certo senso si può dire che la mia esperienza alpinistica sia maturata di pari passo con i progressi sulla via. La sua apertura è stata una grande avventura, la si può definire quasi un’epopea, che adesso vale veramente la pena raccontare.

Un giorno parlando con mio papà gli chiesi: “Perché manca una via diretta che sale lo Scudo del Pic Tyndall? Secondo me, tra la Casarotto – Grassi e la via Innocenzo Menabreaz c’è ancora spazio per qualcosa di bello ed elegante”. Lo Scudo del Pic Tyndall è quell’enorme parete compresa tra la Cresta De Amicis e la via Casarotto – Grassi. “Ci avevo pensato anche io” rispose mio padre “ho osservato a lungo la parete ma alla fine ho valutato che per me e i miei compagni era una cosa troppo difficile”. Queste parole mi suonarono quasi come una sfida: era il 2012 e stavo terminando il corso da aspirante guida, ero in piena forma e non vedevo l’ora di mettermi in gioco. Avevo già ripetuto diverse vie sulla parete sud del Cervino, (Casarotto – Grassi, Diretta alla Parete Sud e lo Spigolo dei Fiori). Conoscevo discretamente bene questa parete e avevo voglia di mettermi alla prova.

Ne parlai con Roberto Ferraris, guida alpina, soccorritore del SAGF di Cervinia e mio compagno di cordata in tante avventure. Non fu difficile convincerlo: qualche parole ed eravamo già con la testa sulla montagna.

Ovviamente pensammo subito in grande. Ma come si apre una via nuova sul Cervino? Beh come minimo in inverno e totalmente trad. Diciamo che negli anni dovemmo cambiare radicalmente la nostra idea.

Il 24 febbraio 2012, la meteo era dalla nostra e decidemmo di provare. Nei giorni prima avevo già portato su del materiale così da toglierci un po’ di peso dallo zaino.

Alle 5 partimmo con gli sci dalla seggiovia del Pancheron (fin lì i gatti delle nevi che iniziavano il turno di battitura ci diedero un passaggio) e in sole 3 ore eravamo pronti a scalare. Per arrivare alla base della parete utilizzavamo il canalone di accesso della Cresta Deffeyes e della Casarotto – Grassi. Il nostro avvicinamento, dalla base della parete sud fino all’attacco della via, è lungo circa 500 mt e con buone condizioni di neve è molto veloce e pratico. Arrivati a base parete fummo subito stupiti e incantati dalla visione di roccia bella e una linea logica da aprire.

Quel giorno aprimmo ben 5 tiri (totalmente trad) con difficoltà fino al 6b e ridiscendemmo a base parete in doppia, eravamo esaltatissimi e non vedevamo l’ora di riattaccare. Non fu facile costruire sempre delle soste a prova di bomba ma in qualche modo ce la cavammo.

Nei giorni seguenti scoprimmo che c’era stato già un tentativo da parte di Massimo Farina e Hervé Barmasse. Nel tentativo dopo, all’altezza della sosta del nostro secondo tiro, una quindicina di metri più a sinistra, trovammo una sosta a spit e qualche metro più su un altro spit con un maillon piazzati dalla cordata Farina – Barmasse. 

Di fatto i due tentativi seguono linee diverse anche se relativamente vicine.

Il 3 marzo 2012 io e Roby fummo nuovamente pronti a partire, solito cliché: avvicinamento con i gatti, pelli e canale. Alle 10 arrivammo al culmine dei tiri aperti l’ultima volta, eravamo abbondantemente in anticipo e motivati ad uscire. La fortuna però non ci aiutò, subito davanti a me un tiro compatto e poco proteggibile (al momento valutato 6c poi ridimensionato a 6b+) mi porta in una zona compattissima dove è molto complicato far sosta. Recuperai Roby e capimmo subito che da lì senza spit sarebbe stato difficile progredire e anche trovare un posto per fare un buon ancoraggio. Riuscimmo a farne uno molto precario per poter scendere con tre chiodi dietro ad un blocco marcio e iniziammo la ritirata. Arrivati all’ultima doppia nel canale sotto di noi si staccò un’enorme valanga che lasciò un taglio molto alto nel manto nevoso. Quel giorno era molto caldo e la neve in poche ore era diventata marcia. Per sicurezza aspettammo che il sole calasse per ridiscendere in sicurezza il canale. Passammo un paio di ore a prendere il sole su una piccola terrazza nel mezzo della sud Cervino, un posto comodo e pratico per rifarsi la tintarella in vista della primavera.

Quell’anno decidemmo di abbandonare il progetto. Le condizioni non furono mai ottimali e decidemmo di aspettare un momento migliore.

Roby l’anno seguente ebbe un grave incidente sciando, quindi il progetto della nostra via rimase fermo per 3 anni.

Il 20 giugno 2015 io e Roby tornammo alla carica, era il nostro terzo tentativo! Dopo avere binocolato a lungo la parete decidemmo di cambiare tattica passando dal trad ad uno stile più moderno, mettendo gli spit alle soste e dove non era possibile utilizzare delle protezioni veloci. Questo per spingere il più possibile l’arrampicata libera. Partimmo di buon’ora, risalimmo le piste, ormai spoglie di neve con la jeep fino alla seggiovia Pancheron e poi su neve trasformata su per il canale fino all’attacco della via. Il tempo dopo un tiro si guastò costringendoci a scendere. Posizionammo due spit uno per sosta e in mezzo alla bufera ci ritirammo giù per il canale fino alla macchina.

Passò l’estate e le condizioni sembravano permetterci un nuovo tentativo.

Il 22 ottobre io, Emrik Favre e Marco Farina partimmo per il quarto tentativo su questa parete. Decidemmo di adottare uno stile pesante e bivaccare sulla grossa cengia in cima al quarto tiro. Nonostante fossimo molto pesanti, scalammo tutti i tiri aperti nei precedenti tentativi e piazzammo le soste a spit. Arrivati al sesto tiro lasciammo lì chiodi, spit e martello e ci calammo alla cengia per bivaccare. Ci accorgemmo di avere fatto un errore da principianti, non avevamo preso l’accendino per il fornello. Provammo di tutto per far partire una scintilla, ma niente, ci toccò andare a letto senza cena e senza bere! La mattina dopo eravamo distrutti e dovemmo ritirarci. Messo piede nel canale però ci rendemmo conto che la Cresta Deffeyes scaricava parecchie pietre. Cercammo di scendere il più velocemente possibile: diverse scariche ci passarono vicino, un sasso mi colpì la mano e persi la picca. Per pranzo eravamo di ritorno a Cervinia stanchi e molto incazzati.

Questo tentativo fu per il mio morale un brutto colpo; per parecchio tempo non volli più saperne.

Finalmente nell’estate 2018 mi sentì di nuovo pronto per chiudere i conti con il mio progetto. Chiesi di accompagnarmi al mio caro amico guida alpina e compagno di tante avventure Francesco Ratti. Francesco è un’alpinista fortissimo e un rocciatore eccezionale e subito fu entusiasta del progetto.

Il canale però era in pessime condizioni ed era chiaro che non potevamo utilizzarlo per l’avvicinamento. Qualche anno prima avevo ripetuto con un cliente la via Innocenzo Menabreaz che scala una piccola porzione dello scudo. Da quella volta, intuì che attraversando su una cengia verso destra forse sarei riuscito a raggiungere la mia via senza alcun pericolo.

Quindi il 5 agosto io, Francesco e Roby, nuovamente carichi come muli, partimmo per lo scudo. Per me era il quinto tentativo. Percorremmo la prima parte della Cresta De Amicis, fino all’attacco della Via Innocenzo Menabreaz, traversammo ancora a destra per una cengia fino ad una comoda terrazza. Intuimmo che con un tiro avremmo raggiunto la terrazza del quarto tiro dove avevo bivaccato nel 2015. Attaccò Francesco e aprì un tiro stupendo che ci portò alla cengia. Chiamammo questo tiro variante “Ratti” ed è valutato 6b+. Arrivammo alla sosta del sesto tiro in pochissimo tempo. Partì io davanti e riuscì ad aprire 6/7 mt poi ero stanco morto, il freddo e le alte difficoltà mi avevano distrutto. Francesco mi diede il cambio, era in gran forma e con una grande performance aprì altri 20 mt così riuscimmo a concludere il settimo tiro 7a.

Faceva freddo ed eravamo nella nebbia così decidemmo di scendere, ma ormai la strada verso l’alto era aperta.

Eravamo motivati e volevamo chiudere i conti con questa parete ma tra meteo e gite con i clienti non trovammo un giorno libero fino al 22 settembre. Roby iniziò i lavori di casa e non poteva più dedicare tempo al progetto, così si unì a noi Emrik Favre, guida alpina e mio storico compagno di spedizione che aveva già preso parte al quarto tentativo sullo scudo.

Partimmo alle 3 di notte ormai l’avvicinamento era chiaro e logico. Con le prime luci eravamo ai piedi della variante “Ratti”. Velocemente risalimmo fino in cima al settimo tiro dove ci trovammo nuovamente su terreno vergine. Partì Francesco che era veramente in gran forma e con un gran numero risolse un tiro molto impegnativo che risulterà il tiro più obbligato della via. Sopra di noi si trovava un tiro in strapiombo, Francesco era incontenibile e ripartì. Risolse lo strapiombo e disse che aveva raggiunto una zona facile e continua. Dopo 50 mt ci urlò che aveva fatto sosta. Lo raggiungemmo, Francesco era stanco e mi chiese il cambio, sembrava che con un tiro potevamo uscire. Partì, erano le 16.30, un’ora dopo eravamo tutti sulla grande terrazza che taglia l’ultima parte dello scudo. Iniziò a nevicare e tirare vento forte: dovevamo muoverci! Attraversammo la cengia e uscimmo sulla cresta De Amicis, risalendola fino alla Cravatta che attraversammo spuntando sulla Cresta del Leone. Tutto questo in mezzo alla bufera. Scendemmo e alle 20 arrivammo alla Capanna Carrel, dove ci fermammo mezz’ora: bevemmo un tè caldo e mangiammo qualcosa. Alle 22 arrivammo alla nostra jeep parcheggiata al rifugio Duca degli Abruzzi.

Eravamo stanchissimi e non riuscimmo nemmeno a goderci il momento: volevamo solo dormire, la nostra avventura era durata 18 ore no stop!

Il mattino dopo chiamai Francesco e parlammo della via: concordavamo che mancava ancora qualcosa. L’idea di Francesco era di tornare in parete per liberare i tiri, non ci mise molto a convincermi. Io gli spiegai anche che avrei voluto aggiungere qualche tiro per far uscire la via proprio in cima allo scudo e lui fu subito motivatissimo. Gli ultimi tiri dovrebbero essere facili e decidemmo di affrontarli solo con friends e chiodi.

Il 28 settembre alle 5.30 del mattino ripartimmo con il saccone in spalla in direzione della cresta De Amicis. Per me, era il settimo tentativo. La giornata era splendida: neanche una nuvola, sembrava che il tempo si fosse fermato. Arrivammo velocemente all’attacco e iniziammo subito a scalare, per praticità ci dividemmo i tiri equamente. Eravamo in gran forma e in poche ore raggiungemmo la cengia del nono tiro. Entrambi scalammo tutti i tiri in libera: stupendo! Ci ributtammo su terreno inesplorato: la parete era più facile ma la roccia a tratti meno buona. Mi misi davanti a testa bassa, mi sentivo bene e in appena due ore uscimmo in cima al triangolo dello scudo. Eravamo contentissimi ma anche stupiti perché avevamo aggiunto ancora 140 mt alla nostra via e non scontati. Il momento è magico, seduti in cima allo scudo, avevamo finalmente finito la nostra via!

Così si conclude la nostra avventura su questa stupenda parete. Ci tengo a ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato a realizzare questo sogno, in particolare voglio ringraziare Francesco, senza di lui non sarei mai riuscito a chiudere questo importante progetto.

Cervino…. 4×4

Quando sarò vecchio e i miei nipotini mi chiederanno – “ Nonno, perché hai scalato il Cervino 4 volte in un solo giorno?”- spero di poter dare loro una risposta, perché ad oggi non riesco ancora a trovare le parole per descrivere questa incredibile e folle giornata.

Andreas ed io scaliamo da poco tempo assieme ma, sin dalle prime uscite, abbiamo instaurato un buon rapporto. Svariati aspetti delle nostre vite ci uniscono: proveniamo entrambi da importanti famiglie di guide alpine, condividiamo una naturale passione per il Cervino, la nostra montagna di casa che abbiamo salito fin da giovanissimi, prima per passione e poi per lavoro, e infine abbiamo partecipato entrambi a gare di sci alpinismo. 

Andreas vive a Zermatt mentre io abito a Cervinia. Abbiamo un solo anno di differenza, io sono nato nel 1990 e Andreas nel 1989. Ci siamo conosciuti proprio sul Cervino lavorando con i nostri clienti.

Al mio rientro dall’Everest, ci siamo ritrovati per un allenamento sul Monte Rosa: l’idea ha iniziato a prendere forma proprio sulla parete nord dei Breithorn. Mi ha da sempre affascinato il concatenamento del 1993 di Hans Kammerlander e Diego Wellig e così ho deciso di proporre questo progetto ad Andreas. Considerando il Cervino come un’enorme piramide, il pensiero di scalare in un sol giorno i suoi quattro spigoli, per me, è pura magia. 

La preparazione al progetto ci ha richiesto un’intera estate di duri allenamenti. Abbiamo scelto settembre come periodo perché statisticamente è un mese stabile e con giornate ancora parecchio lunghe per scalare. Le precipitazioni di fine agosto ci hanno fatto spostare svariate volte la data e negli ultimi giorni la tensione è stata veramente altissima. Finalmente, il 13 settembre la meteo è perfetta e le condizioni accettabili per permetterci di provare. 

La sera, raggiungo Andreas al rifugio Hornli, prepariamo gli zaini e alle nove siamo nel letto. La nostra idea è di usare l’Hornli come un campo base dove poter cambiare il materiale a seconda della salita che dovevamo affrontare. 

Alle una e mezza suona la sveglia e mezz’ora dopo abbiamo già le mani sulla prima corda fissa della via normale Svizzera. In 2 ore e 40 minuti saliamo e scendiamo i 1200 mt della cresta dell’Hornli. Arrivati alla base, corriamo verso il rifugio e lì incrociamo tutte le guide che in fila, ordinatamente, si avvicinano all’attacco della via. Tutte le circa 20 guide con i loro 20 clienti ci battono il cinque e ci incitano come matti, mi sembrava di essere dentro ad uno stadio dopo aver segnato un goal nella finale dei mondiali, semplicemente stupendo.

Cambiato il materiale e bevuto un caffè, ci ritroviamo a correre sotto la parete est per raggiungere la cresta di Furggen la più difficile delle quattro. In realtà tutte le difficoltà si concentrano nei 3 tiri negli Strapiombi del Furggen. Qui, più che dal grado, il pericolo è dato dall’esposizione e dalla pessima qualità della roccia. Fino alla spalla di Furggen saliamo slegati, dopodiché ci leghiamo e mi metto davanti. I tiri non sono in buone condizioni, c’è parecchio ghiaccio ma riusciamo al salirli velocemente e in appena 4 ore siamo nuovamente in vetta dove mio papà e Marco Camandona ci danno da bere mentre un elicottero gira alcune immagini per documentare la salita. 

Un’ora dopo siamo di nuovo alla base del Cervino. Ci cambiamo, mangiamo una tortina alle mandorle e ripartiamo verso la cresta di Zmutt, la più bella delle quattro. Tutto procede liscio fino ad oltre i denti di Zmutt, dopodiché della neve molto infida ci costringe a rallentare. Il tratto di cresta che dai denti porta ai pendii della parete ovest risulterà il momento più delicato di tutta la giornata. La stanchezza inizia a farsi sentire e la neve brutta ci ha costretto a muoverci in modo più cauto.

Finalmente dopo 3 ore e 40 minuti spuntiamo in vetta: ci aspetta nuovamente Marco con mio cugino Stefano Stradelli. Arrivo qualche metro prima di Andreas e Teto mi urla nelle orecchie: “Ormai è fatta tenete duro!”.  Realizzo che ormai possiamo farcela! Ci buttiamo a capofitto giù per la cresta del Leone. Un’ora dopo siamo al colle del Leone, dove inizia l’omonima cresta, la cresta della via italiana. Da lì, con uno sforzo mentale incredibile, ricominciamo a salire. Ci fermiamo in capanna Carrel per bere una coca e mangiare del cioccolato e ripartiamo. Arriva la nebbia e inizia a nevischiare e noi dopo 15 ore dalla nostra partenza raggiungiamo per la quarta volta la vetta del Cervino. Ci abbracciamo e urliamo di gioia poi giù verso il rifugio. Dopo un’ora e quattro minuti stoppiamo stremati il cronometro davanti all’Hornli.

Non ci possiamo credere: in 16 ore e 4 minuti abbiamo concatenato in salita tutte le quattro creste del Cervino percorrendo un totale di 23 km e 4476 mt di dislivello. Marco e Teto sono al rifugio ad aspettarci, li abbraccio e li ringrazio. Non ho parole sono troppo emozionato. Inizia a nevicare, ci rintaniamo nel rifugio e festeggiamo fino alle 2 del mattino mentre fuori infuria la tempesta. 

Ci tengo a ringraziare tutti gli amici che mi hanno sostenuto in questo folle progetto senza di loro tutto ciò non sarebbe stato possibile!! 

Questa esperienza ci ha fatto crescere parecchio, abbiamo portato ancora una volta i nostri fisici al limite nell’ambiente che più amiamo ovvero l’alta montagna!! Questo risultato ci permette di guardare verso nuovi progetti più lunghi ed impegnativi! Sicuramente ci vedrete nuovamente la prossima estate a correre liberi e spensierati su qualche montagna!!

Everest 8848 m e Lhotse 8516 m

Una spedizione che mi ha cambiato la vita

L’ultima volta che ho dato le spalle ad uno dei 14 ottomila era il 2014 quando, assieme a Emrik, con le ossa rotte e l’umore a terra ci lasciavamo alle spalle il Kanchenjunga, la terza montagna più alta della Terra. Adesso a distanza di anni vedo le cose da un’altra prospettiva e ho iniziato prendere gusto a giocare con l’aria sottile degli 8000.

Tutto nasce per caso: Marco Camandona mi disse di avere un cliente che voleva salire l’Everest e che se mi fossi unito anche io, avremmo successivamente provato a scalare il Lhotse.

Marco era stato ingaggiato come guida alpina da Maurizio Cheli, astronauta italiano, che dopo che nel 1997 aveva visto e fotografato dallo spazio il “Tetto del Mondo”, sognava di raggiungerne la vetta con le proprie gambe. Io avevo, ed ho tuttora un cliente, che ormai è un caro amico e un compagno fidato di molte avventure in montagna che da tempo mi chiedeva di accompagnarlo su un ottomila: Sergio Cirio, noto imprenditore di Canelli, un paese della provincia di Asti. Vado in montagna da anni con Sergio e ormai tra di noi c’è un legame unico. Quando scaliamo Sergio semplicemente si fida di ogni mia decisione, siamo una cordata forte e consolidata e in molte situazioni non c’è neanche bisogno di parlarci. In certi periodi scaliamo assieme quasi tutte le settimane e abbiamo percorso vie molto impegnative tipo la cresta Albertini, la Dent d’Herens e la cresta Young sulla nord dei Breithorn. Tra di noi c’è un feeling unico e quindi dopo averci riflettuto bene decisi di proporgli di partire assieme verso il “tetto del mondo”.

Il giorno in cui gli chiesi di partire per l’Everest, non lo dimenticherò mai. Stavamo affrontando una gita di sci alpinismo nella conca di Cheneil e sotto una fitta nevicata presi coraggio. Sergio mi disse: “Franz non aggiungere altro io ci sono” e da lì tutto ebbe inizio…

Iniziò il conto alla rovescia. Non vedevo l’ora di ripartire. La squadra era stupenda. Con Marco ho un rapporto speciale ed era dal 2014 che si andava in spedizione assieme. In più dentro di me sentivo di essere pronto a confrontarmi nuovamente con una grande montagna. Volevo capire se con più anni di esperienza sarei stato in grado di tenere il passo di Marco, considerato da tempo, uno dei migliori alpinisti Himalayani al mondo. In più il format della spedizione mi motivava tantissimo perché racchiudeva le due cose che più amo: il mio mestiere di guida e il fare alpinismo per me stesso. Il piano era semplice “prima il dovere e poi il piacere”. Ovvero prima avremmo affrontato l’Everest con i nostri clienti utilizzando una bombola di ossigeno a testa. Questo per garantire la massima sicurezza a Sergio e Maurizio che invece avrebbero utilizzato le bombole già dal campo 3 a 7300 m. Con noi ci sarebbero stati anche due sherpa con il compito di aiutare Sergio e Maurizio a trasportare il loro materiale. Scalato l’Everest avremmo potuto scalare in totale autonomia e senza ossigeno il Lhotse mentre Sergio e Maurizio avrebbero cominciato a rientrare a casa.

Il 10 aprile lasciamo l’Italia alla volta del Nepal. Per me e Sergio era la seconda volta che mettevamo piede assieme in questa splendida terra. Infatti in preparazione alla spedizione avevamo già fatto tra novembre e dicembre un raid nel Khumbu . Anche questa volta la nostra agenzia è la Seven Summit ormai una certezza nei miei viaggi Himalayani. Nella prima parte del viaggio tutto si svolge velocemente e, senza intoppi, raggiungiamo Namche Bazar a 3440 m, un posto stupendo con il quale ho un feeling incredibile. Qui è prevista una sosta di due giorni per riposare e favorire il nostro acclimatamento. Io e Sergio decidiamo così di concederci delle stupende camminate sotto un tiepido sole primaverile.

Dopo due giorni ripartiamo spediti in direzione EBC (Everest Base Camp). Arrivati il 22 aprile al campo base e dopo un giorno passato a sistemarci iniziamo il nostro acclimatamento. Nel primo giro abbiamo ispezionato l’Ice Fall, invece nel secondo abbiamo puntato diretti al campo 1. Tra un giro e l’altro ci siamo concessi un paio di giorni di riposo. Il nostro campo base è ben organizzato: abbiamo ognuno una tenda personale, una tenda mensa riscaldata, una tenda toilette e una tenda doccia, tutto a portata di mano.

Io e Marco prima della partenza avevamo preparato a tavolino un acclimatamento specifico e dettagliato per scalare in tutta sicurezza. Per essere pronti Sergio e Maurizio  avrebbero dovuto pernottare una notte al C3 senza ossigeno invece io e Marco avremmo dovuto superare i 7700/7800 m e a quel punto tutti avremmo potuto tentare la vetta.

Tutto si stava svolgendo secondo i piani, le rotazioni ai campi alti filavano lisce e finalmente ci trovavamo tutti e 4 assieme ad uno dei nostri sherpa, Ramhes, al campo 3 a 7300 m. Eravamo già sistemati e stavamo preparando la cena. Io e Marco in una tendina da due, Sergio, Maurizio e Ramhes in una da tre. Il campo 3 è scomodo e posto a metà del muro del Lhotse tra piccoli seracchi che creano dei pianori dove si possono posizionare le tende. Ad un tratto alla radio sentiamo una chiamata di soccorso, balziamo subito fuori dalla tenda: era Themba, il nostro secondo sherpa che si trovava in difficoltà a circa 7700 m. Io e Marco senza perdere tempo, ci prepariamo e partiamo subito in suo soccorso. Ramhes nel frattempo ci aveva informato che una squadra stava partendo dal campo 2 e che in un paio d’ore sarebbe arrivata al campo 3. Io e Marco intanto salivamo in velocità: lo sherpa aveva un edema polmonare e doveva essere aiutato a scendere il più velocemente possibile. Themba era salito al colle sud per aiutare ad attrezzare la via ma purtroppo il suo fisico non aveva retto lo sforzo… e pensare che aveva scalato 17 volte l’Everest. Dopo un’ora io e Marco, a circa 7600 m, individuiamo lo sherpa. Si trovava a circa 100 m sopra di noi appeso ad una corda fissa sfinito dallo sforzo. Feci uno scatto per raggiungerlo, Marco mi seguiva e appena gli fummo vicini capimmo che era grave. Tirai fuori la corda, lo assicurai e con Marco decidemmo di calarlo il più possibile di modo da farlo riposare un po’. Così iniziammo a scendere, la tattica era ottima: io calavo e Marco da sotto lo assicurava. In poco tempo fummo al campo 3, Ramhes schizzò fuori dalla tenda e agganciò una bombola di ossigeno nuova a Themba. Nel frattempo la squadra di soccorso arrivò da noi e tutti insieme decidemmo di far scendere anche Ramhes con loro. Li guardammo partire con le ultime luci del tramonto e poi ci infilammo nei nostri sacchi a pelo. Il giorno seguente rientrammo al campo base. Ormai il nostro acclimatamento era terminato ed eravamo pronti per la cima!

Il 14 maggio 2018 inizia l’attacco vero e proprio al “Tetto del Mondo”.  Siamo diretti al campo 2,  ormai il nostro acclimatamento è ottimo e non abbiamo necessità di fermarci al campo 1. Siamo in gran forma e la meteo è perfetta. Il 15 maggio dormiamo al campo 3 a 7300 m. Sergio, Maurizio e gli sherpa con l’ossigeno io e Marco senza. Il 16 mattina alle sette suona la sveglia…mai avrei pensato che le 27 ore seguenti mi avrebbero cambiato la vita. Alle 9:00 cominciamo a camminare con  l’obiettivo di arrivare al campo 4, al mitico colle sud.Saliamo tutti assieme con un ritmo regolare, io vicino a Sergio per aiutarlo e sostenerlo il più possibile. Superiamo le fasce Gialle senza problemi e finalmente a 7600 m scorgiamo le tende del campo 4 del Lhotse. Da lì inizia il famoso traverso dei Ginevrini, fatta una piccola pausa, ripartiamo. Io e Sergio caliamo un pelo il ritmo e Marco e Maurizio ci distanziano. Con me e Sergio rimane Ramhes, non ci sentiamo male, ma il nostro ritmo è più lento. Sergio non riesce ad usare bene il respiratore di ossigeno e sia io sia Ramhes cerchiamo più volte di regolarglielo. Io invece mi sento bene: ero quasi ad 8000 m senza ossigeno e per me era la prima volta che toccavo quella quota. Onestamente non me ne resi conto, perché cercavo di dare il massimo ed ero concentrato per la sicurezza di Sergio.

Finalmente alle 18:00 anche io e Sergio arriviamo al colle sud, Marco e Maurizio erano arrivati alle 16:00 ed erano già dentro alla tenda. Io e Ramhes sostituiamo la bombola di ossigeno a Sergio che poi si infila subito nella tenda al caldo. Marco, intanto, sta facendo un briefing con i nostri sherpa, noto che ha una brutta tosse e la cosa non mi piace. Ramhes ha una notizia importante da comunicare: lo sherpa che si occupa di rifornire il colle sud di ossigeno per le nostre due squadre non è arrivato. Ci troviamo catapultati davanti una dura realtà. Ormai erano le 19 e alle 21 bisognava partire per la cima… Che fare? Ogni agenzia che organizza spedizioni commerciali oltre ad avere degli sherpa specializzati che attrezzano la via di salita ne impiegano altri per rifornire i campi alti di bombole di ossigeno per meglio gestire la logistica dei clienti.

Decidiamo di entrare in tenda con Sergio e Maurizio per esporre chiaramente la situazione e trovare una soluzione. Prendiamo posto dentro la tenda, era buio, accendiamo le frontali e cominciamo a parlare, non ricordo chiaramente se cominciai io o Marco ma le parole non le dimenticherò mai: “Ragazzi purtroppo le bombole non sono arrivate. Uno sherpa è stato male, c’è poco ossigeno. Solo una squadra può provare a salire in cima. In totale ci sono: 4 bombole per un cliente, 2 per lo sherpa (da programma ne sarebbero servite 3) e 1 per la guida (da programma ne sarebbero servite 2). Poi ne restano 3 per chi resta al colle sud. In quel momento ci fu il gelo. Nessuno osava parlare, nessuno osava affrontare la situazione. Sergio da gran signore in punta di piedi prese la parola: “Ragazzi, se non ci sono i margini di sicurezza, io non me la sento”. Maurizio dal canto suo: “Io sto bene, vorrei provare”. Io sono in silenzio, sono il più giovane e non me la sento di parlare per primo. Marco tossisce, non è al massimo della forma, aspetta qualche secondo e poi esclama: “Sergio, facciamo  provare il nostro bambino?” Io scalpitavo, non sapevo cosa dire, volevo salire non lo nego, ma la decisione non spettava a me. Maurizio ribatté dicendo: “Per me è uguale Marco o François, siete due professionisti esperti e qualificati”.  Sergio rispose: “Marco la penso come te! Facciamo salire il bocia”. Io risposi: “Non so cosa dire…Grazie mille… Io me la sento, vado”. Ci fu un attimo di silenzio poi scoppiammo tutti e tre a piangere come bambini, ci abbracciammo, fu un momento bellissimo, uno dei più intensi della mia vita.

Avevo appena ricevuto una grande chance ma allo stesso tempo una grande responsabilità e dovevo dare il massimo per centrare l’obiettivo. Avvisammo Ramhes del cambio di programma, era assieme ad altri sherpa in un’altra tenda e cominciai a prepararmi. Schizzai fuori dalla tenda e divisi i carichi: Maurizio nello zaino doveva avere solo la bombola che utilizzava e nella tuta il suo cibo e il bere! Io avrei avuto: la mia bombola, una di quelle di Maurizio, una corda da 30 m, un kit medico, radio e telefono satellitare. Ramhes invece portava le due bombole che avrebbe utilizzato e due di quelle di Maurizio. Alle 21:00 eravamo pronti: Marco e Sergio uscirono dalla tenda per salutarci. Ci abbracciammo ancora e Sergio prima di partire mi affidò la sua bandiera della Arol (la sua azienda, leader nel campo dell’enomeccanica) e mi disse: “Mi raccomando portala in vetta”.

Iniziammo a salire con passo regolare, siamo gli ultimi ad avere lasciato il colle sud, io faccio da capocordata, Maurizio mi segue e Ramhes a chiudere. Incalziamo subito il ripido pendio che porta agli 8500 m del Balcony, io non sto usando l’ossigeno, consapevole che avendo solo una bombola devo gestirla al meglio. Davanti a noi vedo le frontali degli altri scalatori. La parte finale dell’Everest dal Nepal non è banale se non fosse attrezzata regolarmente dagli sherpa, ben pochi alpinisti riuscirebbero a salirla soprattutto senza ossigeno. Ad un tratto mi accorgo che Ramhes non riesce a tenere il passo, ha un distacco già di 50 m, non posso permettermi di lasciarlo indietro, ne va del successo di tutta la squadra. Dissi a Maurizio di procedere che io lo avrei aspettato. Ecco Ramhes, è di nuovo al passo, ma provato, siamo a 8300 m, senza pensare oltre decido di  prendergli una bombola, metterla nel mio zaino e di dargli un diamox per la quota. Distribuito il carico, ora entrambi abbiamo sulla schiena 3 bombole ciascuna del peso di 5 kg per un totale di 15 kg a testa. Per precauzione decido di cominciare ad utilizzare al minimo l’ossigeno. Ripartiamo e dopo pochi minuti siamo di nuovo con Maurizio che è in piena forma. Prima del Balcony il nostro passo era ottimo e avevamo recuperato le altre cordate. Ora ci spettava un tratto dove il terreno diviene molto ripido e sulla corda fissa è facile che si possano formare delle file “a tappo”… Decido di staccarmi dalla corda per vedere con i miei occhi il problema. Salito di 50 m mi rendo conto che la progressione è più macchinosa e gli alpinisti tendono a rallentare. Ridiscendo da Maurizio e gli chiedo se se la sente di superare la fila. Maurizio accetta. Ci leghiamo in conserva, aumento l’erogazione del suo ossigeno e via in un attimo raggiungiamo il Balcony a 8500 m: un terrazzino di pochi metri perfettamente orizzontale che dopo 500 m di pendio ripido è ideale per un buon riposo. Di colpo siamo diventati i battistrada. Sostituiamo rapidamente le bombole di Maurizio e Ramhes e le assicuriamo sul terrazzino per recuperarle in discesa. Ripartiamo quindi verso la cima sud posta a 8700 m. Sta albeggiando, è stupendo: tutta la Terra è ai nostri piedi! Incredibile! La cresta prima della cima sud impenna e ci sono alcuni passaggi verticali che superiamo velocemente e poi via verso l’Hillary Step! Quest’ultimo lo superiamo senza intoppi e finalmente siamo sulla cresta sommitale! Vedo la punta, mi giro e incoraggio Maurizio! Ormai ci siamo vedo la statuetta e le bandierine. Eravamo i primi e tra poco saremo stati soli sulla vetta dell’Everest! Aspetto Maurizio, lo invito a passarmi davanti: mi sembra corretto che sia lui il primo a calcare la punta. Giusto il tempo di ripartire e alzando la testa vedo che dal lato tibetano erano appena arrivati in vetta alcuni sherpa con i loro clienti. Peccato, speravo potessimo goderci almeno per un istante la vetta tutta per noi!

Ancora pochi passi e finalmente alle 06:00 del 17 maggio 2018 io, Maurizio e Rhames siamo sulla vetta dell’Everest! Ci abbracciamo, siamo increduli, la meteo è stupenda si vede la curva della Terra! Non perdo tempo e avviso subito Marco e Sergio. Non  nascondo che in quel momento mi è partita una lacrimuccia! Io mi tolgo la bombola che mi inizia ad impicciare e ci prendiamo un attimo per noi. Telefoniamo a casa, siamo felicissimi! Il tempo vola e senza accorgercene restiamo un’ora in vetta!

Alle 07.00 rimetto l’ossigeno, lego la bandiera dell’Arol che  mi ha dato Sergio alle bandierine e iniziamo la discesa.  In montagna quando si raggiunge la cima, si è solo a metà dell’opera e tante volte neanche! Ripartiamo subito concentratissimi, non possiamo commettere errori.  All’Hillary Step incontriamo le prime cordate e dobbiamo fare un po’ di slalom per continuare a scendere regolarmente. Nulla di difficile e soprattutto nulla di nuovo per chi è abituato a muoversi nei giorni di massima affluenza sul Cervino! Siamo molto rapidi e verso le 12 siamo di ritorno al colle sud.  Mezz’ora di stop e ripartiamo, vogliamo arrivare al campo 2. Ramhes è stanco e ci dice di iniziare a scendere perché lui vuole riposarsi di più e comunque ci saremmo tenuti in contatto via radio. Iniziamo a scendere molto spediti siamo concentratissimi. Alle 17:00 siamo al campo 2 a 6400m. Chiamo Rhames via radio e mi dice che è ancora oltre i 7000 m e che avrebbe dormito al campo 3.  Guardo Maurizio e gli dico: “Che facciamo? Rhames non arriva e ha il tuo sacco a pelo… Te la senti di rientrare al campo base?”. Maurizio non è convinto ma accetta. Alle 17:30 partiamo. Iniziamo la lunga discesa nella valle del silenzio.

Decido di lasciare tutto nella mia tenda al campo 2 per esser pronto per il nostro attacco al Lhotse. Prendo tutto il materiale di Maurizio ci leghiamo in maniera classica con la corda che avevo nello zaino e partiamo. Arriviamo al campo 1 e la notte cala di colpo: Maurizio inizia ad essere molto stanco. Nell’ice fall mi chiede di essere calato quindi inizio a calarlo nei tratti verticali un po’ come facciamo sul Cervino. Alle 22:00 mi accorgo che finalmente siamo in piano e vedo una luce che mi viene incontro, illumino con la frontale e vedo Sukra, il nostro cuoco, con due coca cola. Capisco finalmente che è finita e che ce l’abbiamo fatta!  Slego Maurizio, ci abbracciamo e beviamo le coche! Corriamo verso le nostre tende. Entro di corsa nella tenda di Sergio, lo abbraccio e scoppiamo a piangere! Dopo esco e Marco è lì fuori che mi aspetta: ci abbracciamo, siamo felicissimi perché avevo appena scalato il mio primo 8000 e tra due giorni assieme avremmo avuto la chance per il Lhotse e non volevamo sbagliare!

LHOTSE

20 maggio. Dopo due giorni di riposo è il momento di ripartire. Io e Marco abbiamo una tattica semplice e veloce con solo due campi, per sfruttare al meglio la finestra di bel tempo che sembra essere l’ultima della stagione. Il 20 sera siamo al campo 2 abbiamo appena cenato e siamo davanti alle nostre due tende quando all’improvviso sentiamo arrivare due elicotteri: ci avviciniamo e su uno c’era il nostro amico Maurizio Folini. Maurizio scende, facciamo due chiacchiere e ci racconta che stavano evacuando alcune persone con malori d’alta quota. Ad un tratto il primo elicottero parte (e fin qui tutto normale), dopo qualche minuto sentiamo uno sherpa che cerca il suo compagno che stava lavorando nelle operazioni di imbarco degli elicotteri. Ci guardiamo e ci viene subito un dubbio: dietro alla piazzola c’è un crepaccio molto lungo ma largo appena 30/40 cm. Corriamo a guardare e sul bordo troviamo qualche macchia di sangue, lo sherpa allontanandosi dall’elicottero è caduto nel crepaccio. Arrivano molte persone e molto velocemente gli sherpa organizzano assieme ad alcune guide un’operazione di soccorso. Maurizio rimane pronto con l’elicottero per evacuare lo sherpa. La squadra recupera il povero malcapitato che è in condizioni gravissime. Lo imbarcano velocemente sull’elicottero che decolla in pochi secondi. La sera Maurizio via messaggio ci scrive che lo sherpa non ce l’ha fatta, è morto in ospedale a Namche. 
La notte come al solito è lunga e accompagnata da pensieri poco felici. La mattina dopo ci svegliamo e fortunatamente ritroviamo la concentrazione e la giusta motivazione per salire al campo 4. La salita si svolge al meglio, io mi sento in gran forma e verso le 16 siamo al campo 4 a 7600 m. 
Ci infiliamo dentro la nostra tende mentre il sole è ancora alto, cuciniamo e ci sdraiamo sui materassini con le tute d’alta quota ben chiuse. Non abbiamo con noi i sacchi a pelo: Marco ormai è anni che per riposarsi qualche ora nei campi alti ne fa a meno per risparmiare peso ed essere più riposato. Stiamo bene e siamo molto concentrati ma allo stesso tempo riusciamo anche a scherzare e forse grazie anche ad un po’ di ipossia prima di assopirci ci mettiamo a cantare.

Alle 23 suona la sveglia e saltiamo in piedi come delle molle, ci beviamo un caffè mangiamo qualche biscotto e via! Usciamo dalla tenda, calziamo i ramponi e partiamo. Dico a Marco di fare lui il passo: in queste situazioni ha molta più esperienza di me. Entriamo nel lungo canale che porta alla vetta e ci accorgiamo che sotto di noi si sta scatenando un temporale. Era una cosa che non avevo mai visto sopra di noi c’erano le stelle e sotto i 7000 m si scatenava un temporale fortissimo con tuoni e fulmini che illuminavano a giorno tutta la valle del silenzio. Verso le 5, inizia ad albeggiare e chiedo a Marco di poter passare avanti e dare il ritmo, mi sentivo bene e volevo vedere cosa potevo fare a quelle quote. Verso le 7:30 iniziamo a vedere la punta e io non stavo più nella pelle e aumento il ritmo. L’ultima parte prima della vetta è una sorta di pinnacolo roccioso addomesticato dalle corde fisse. Finalmente alle 8.30 sono in vetta: è una giornata splendida, si vedono il Makalu e il Cho Oyuo e sembra di poter toccare l’Everest e il Nuptse. Marco arriva qualche istante dopo di me. Ci abbracciamo, siamo contentissimi: è un  momento stupendo, sono sulla vetta del mio primo 8000 senza ossigeno e vicino a me c’è Marco, un caro amico, un maestro, un’ispirazione…insomma non avrei voluto essere lì con nessun altro al mondo.

Restiamo circa venti minuti in vetta, telefoniamo a casa, beviamo qualcosa e cominciamo la discesa. Alle 16:30 siamo di ritorno al campo base, stanchi ma molto soddisfatti. Il giorno dopo comincia il lungo viaggio verso Kathmandu dove avremmo preso il nostro volo per l’Italia.

Questa spedizione la considero una svolta importante nel mio percorso perché mi ha fatto capire quanto ancora posso spingere oltre il mio corpo in alta quota. Grazie a questa consapevolezza spero di poter realizzare  alcuni, tanti, dei sogni che ho sulle più alte montagne della Terra.
Ci tengo a ringraziare molto tutti i miei compagni di spedizione per aver condiviso con me questi due bellissimi mesi della mia vita. In particolar modo ringrazio Sergio e Marco per aver creduto in me e per avermi dato la possibilità di toccare per un istante il tetto del mondo

Island Peak 6183 m e Lobuche 6119 m

Rientrato dal mio viaggio in Cina, la mia stagione delle spedizioni non era ancora finita. Infatti, a metà novembre, ero pronto a ripartire. Questa volta sarei andato nel Khumbu nel cuore dell’Himalaya nepalese al cospetto del tetto del mondo: sua maestà l’Everest. A metà novembre, assieme al signor Sergio Cirio, ho deciso di recarmi in Nepal per scalare due montagne: l’Island Peack 6183 m e il Lobuche 6119 m.

L’obiettivo di questa spedizione era prepararci a qualcosa di molto più grande, ovvero, la nostra spedizione all’Everest in programma per la primavera successiva. La nostra idea era quella di recarci nel Khumbu per un primo sopralluogo e soprattutto per cominciare ad assaporare, con un po’ di anticipo, la caotica routine di una spedizione Himalayana.

Partimmo con il piede giusto e senza intoppi giungemmo a Lukla dove parte il trekking verso il campo base dell’Everest e quindi anche verso le nostre vette. Oltre a me e Sergio, partecipò anche un amico di vecchia data Sete Tamang, Sherpa della nostra piccola spedizione. Con due giorni di cammino arrivammo a Namche Bazar che con i suoi 3440 m era ideale per un primo stop. Decidemmo di fermarci due notti per favorire il nostro acclimamento. Namche è la provincia della valle del Khumbu ed è anche il mercato storico della valle, infatti il sabato mattina vi ha luogo un tradizionale mercato in cui gli abitanti dell’area vendono le loro mercanzie. Mi innamorai subito di Namche è un luogo fantastico dove ritorno sempre volentieri. Mi stupisce  sempre la tranquillità delle persone e la vista eccezionale sulle montagne circostanti. Inoltre questo paese offre alla popolazione e ai turisti molti servizi fondamentali: scuole, un ospedale, una stazione di polizia, musei (dove si racconta la storia della valle e ovviamente la storia dell’Everest) e molto altro. Qui ci sono diversi sentieri che si prestano benissimo alla corsa e al trekking e quindi perfetti per la prima fase di acclimamento. Dopo due giorni a Namche ripartimmo in direzione Tengboche a 3867 m. Nel villaggio c’è un importante monastero buddista, il più grande di tutta la regione del Khumbu. Da lì, con un paio di giorni di trekking arrivammo a  Chukung a 4730 m. In questo piccolo villaggio, posto ai piedi della parete sud del Lhotse, decidemmo  di fermarci un paio di notti per adattare meglio il nostro fisico allo sbalzo di quota.

Finalmente eravamo pronti e dopo due giorni ci trasferimmo al campo base dell’Island Peak. Con Sete concordammo di fare un attacco diretto dal campo base senza campi intermedi. A mezzanotte suonò la sveglia e sotto il fascio delle frontali ci incamminammo. Faceva molto freddo e fummo costretti a calzare gli scarponi da 8000 m. La prima parte di salita si svolse su terreno roccioso classico, ci legammo e procedemmo in conserva io davanti, Sergio dietro di me e Sete a chiudere il gruppo. Arrivati a ridosso del ghiacciaio, calzammo i ramponi e ripartimmo senza perdere tempo. Sul ghiacciaio dovemmo superare svariati crepacci, alcuni fortunatamente addomesticati dalle scale. Finalmente con i primi raggi di sole eravamo all’attacco dell’ultimo pendio, la quota si faceva sentire e il ritmo inesorabilmente cominciò a calare. Stringemmo i denti e grazie alla nostra determinazione  alle 10: 00 in punto eravamo in cima. Eravamo contentissimi e la vista sulla parete sud del Lhotse ci lasciava senza fiato. Foto di rito e giù perché eravamo solo a metà dell’opera. Nella prima parte, viste le pendenze sostenute, fummo costretti a scendere in doppia, ma appena il terreno divenne più dolce ripartimmo a gambe levate. Con grande stupore la sera riuscimmo addirittura a rientrare a Chuchung e così nel lodge ci concedemmo alcune birre per festeggiare. Il giorno dopo non perdemmo tempo e ripartimmo subito verso Dingboche a 4410 m. Qui riposammo due giorni e poi ci trasferimmo al villaggio di Lobuche situato prima della famosa piramide costruita da CNR a ridosso dei 5000 m.

Avremmo usato il Lodge come campo base e come sull’Island Peak avremmo fatto un attacco diretto alla punta del Lobuche. Come al solito la sveglia suonò a mezzanotte e noi ci incamminammo in silenzio illuminando il sentiero con le frontali. Superammo al buoi la prima parte di facili roccette e finalmente verso le 7:00 uscì il sole. Calzammo i ramponi per procedere in sicurezza sui primi pendii ghiacciati. A circa 200 m. dalla cima la pendenza cambiò e fummo costretti ad affrontare alcuni tiri di ghiaccio con pendenze di circa 45°. Arrivati a 6000 m, intravedemmo la punta dalla quale, ormai, ci separava solo una sottile cresta. Ci rimettemmo in conserva e ripartimmo spediti verso la vetta. Ormai eravamo perfettamente acclimatati e a differenza dell’Island Peak avevamo un ritmo molto superiore. Alle 9:00 del mattino toccammo tutti e tre la punta. Eravamo euforici ci abbracciammo e ci scambiammo i complimenti. Sotto di noi, vedevamo la piramide e il campo base dell’Everest, e proprio di fronte noi, c’era lei, Sagaramāthā il “dio del cielo”. Davanti a noi potevamo contemplare le montagne più possenti della terra: l’Everest, il Lhotse e il Nuptse. Sergio ed io non dicemmo una parola, ma nel profondo sapevamo che presto avremmo dovuto confrontarci con loro.

To be continued….

Free way: spedizione in Cina

Free way…é il titolo del film che abbiamo montato sulla nostra spedizione in Cina.

Un mese stupendo, passato tra amici a scalare liberamente ed esplorare le montagna della regione del Sichuan. Per noi é stato come per un bambino avere davanti un foglio bianco e poter disegnare tutto ciò che gli passava per la mente.

Settembre 2017, partenza in direzione Chendu China. Il nostro gruppo era formato da 6 persone: Io, Emrik Favre, Francesco Ratti, Tomas Franchini, Mateo Faletti e Fabrizio Bicio Delai.

La nostra idea era semplice: andare nel massiccio del Minya Kinka, posizionare un campo base nella valle che scende dalle pendici del Monte Edgar e scalare il più possibile.

Arrivammo veloci a ridosso delle montagne e con due giorni di trekking riuscimmo a piazzare il nostro campo base a circa 3800 m. Spronare i portatori per fare l’ultimo step non fu facile, a differenza di Nepal e Pakistan qui la gente non vive di turismo. I nostri portatori erano dei contadini che hanno accettato di aiutarci per guadagnare qualche soldo extra.

Montammo il nostro campo base fuori dalla morena, c’era un’umidità pazzesca: tutti i giorni pioveva, non avevo mai visto nulla di simile. Il tempo in questa regione è molto strano. Essendo la prima catena montuosa che si innalza sopra le pianure della Cina sud- orientale, sul versante della catena esposto verso la piana, ristagna sempre la nebbia. Questa nebbia svanisce quasi sempre al di sopra dei 4000 m quindi di fatto quando scalavamo il tempo era quasi sempre bello mentre i giorni al campo base erano un inferno. Non riuscivamo a far asciugare nulla, l’acqua penetrava ovunque persino all’interno delle tende.

Iniziammo subito a muoverci e individuammo due obiettivi nelle vicinanze del campo base. Ci dividemmo in tue team i tre valdostani e i tre trentini. Emrik, Francesco ed io ci dirigemmo verso una bella cima rocciosa che stimavamo attorno ai 5000 m. Con una lunga giornata di scalata riuscimmo ad aprire una splendida via di roccia di circa 1000 m con difficoltà fino al V che chiamammo *Welcome to the Jungle*. Rientrammo al campo base e la sera stessa scrivemmo la relazione, aspettammo a dare il nome alla vetta che quotammo però 5030 m. Riposammo un giorno e poi decidemmo di fare squadra per cercare una via per arrivare sul versante ovest del Monte Edgar che anche se non dichiarato, sotto sotto rimaneva il nostro principale obiettivo. Partimmo di buon ora: non c’era sentiero, non c’era mappa, solo una direzione. Dopo svariate ore di cammino la strada ci fu sbarrata da un enorme seraccata. Si vedevano crolli ovunque ma decisi di non mollare: attrezzammo un passaggio nella parte destra della seraccata che ci fece accedere ad una parte rocciosa. Il tratto era breve ma molto pericoloso e non potevamo stare lì sotto a lungo. Proseguimmo per cenge fino ad intravedere un colle che ci avrebbe dato accesso al bacino glaciale sotto la parete ovest dell’Edgar. All’improvviso una placca ci sbarrava la strada. Senza perdere tempo mi infilai le scarpette e la superai. Gli altri con gli zaini pesanti, mi seguirono. Ormai la strada verso l’Edgar era spianata. Piazzammo le tende appena fuori dal ghiaccio a circa 5200 m. Tomas era talmente gasato dal lavoro fatto che decise di chiamare il nostro campo *Campo degli Italiani*.

L’indomani decidemmo di puntare ad una cima ancora vergine situata di fronte all’Edgar di cui non conoscevamo nemmeno  la quota. La via non sembrava difficile: dovevamo risalire il ghiacciaio fino ad un colle per poi affrontare un pendio di neve di circa 200 m. Dopo alcune ore di salita arrivammo in vetta io Thomas e Emrik e la quotammo circa 6174 m. Decidemmo di chiamare la vetta *Twenty Shan* perché nessuno dei tre aveva ancora 30 anni. Shan è il nome cinese per indicare un picco, una cima e si mette sempre dopo i nomi delle montagne. Rientrammo al campo con l’idea di fare ritorno al campo base il giorno dopo. L’indomani Tomas però ci fece una sorpresa. Verso le 08:00, Matteo ci comunicò per radio che Tomas aveva raggiunto alle 06:00 la vetta dell’Edgar. Ero senza parole aprì di colpo la tende e vidi Tomas riposare al colle che avevamo raggiunto a fatica il giorno prima. Decisi di andargli incontro, presi un termos di tè e mi avviai verso il colle. Ci incontrammo sotto la parete ci abbracciammo. Potevo vedere chiaramente la sua traccia avvicinarsi alla parete e le sue peste lungo la sua via. Gli feci i complimenti e gli passai i thermos. Tomas era felicissimo di vedermi. Dopo qualche minuto rientrammo al campo e poi giù tutto d’un fiato fino al campo base. Onestamente questa è la più bella impresa alpinista che ho avuto la fortuna di assistere. Una salita aperta in solitaria, totalmente in free solo in maniera leggera, veloce, con il minimo equipaggiamento. Semplicemente una realizzazione perfetta.

Due giorni di riposo e questa volta avevamo fame di roccia, così il team VDA si diresse verso un imponente pilastro che distava a circa tre ore dal campo base. In una giornata di tempo ottimo con scarpette e magnesite aprimmo una stupenda via con difficoltà fino al 6b e ci calammo in doppia in un canalone sul versante a fianco.

Rientrati al campo base ci venne l’ispirazione: decidemmo di dedicare questa vetta a Gerard Ottavio e invece la vetta aperta il primo giorno a Joel Deanoz entrambi scomparsi un anno prima sul Cervino.

La via invece la chiamammo *Meteopatia* e la valutammo: 340 m. 6b max. 6b obbl.  I gironi seguenti decidemmo di esplorare altre zone così io Francesco ed Emrik ci dirigemmo a nord dell’Edgar per esplorare un altro piccolo massiccio montuoso nella Nanmengau Valley. In due giorni di scalata riuscimmo a scalare tre fantastiche vette unite da una stupenda cresta molto aerea e logica perché creava un vero ferro di cavallo. Nominammo e quotammo le tre punte : P.ta Barbara 5.530m. P.ta Elisabetta 5.740 m. e P.ta Patrizia 5.852m. in onore delle mie zie e di mia mamma e ovviamente la cresta che le univa la chiamammo “La cresta delle tre Sorelle” che nel complesso valutammo : dislivello 600 m. (dal ghiacciaio) IV, M4 (breve passo di A1 per passare dal ghiacciaio alla roccia in corrispondenza dell’attacco).

Il terzo giorno io e Francesco avevamo ancora un po’ di benzina e puntammo un evidente pilastro che spuntava possente dal ghiacciaio dove avevamo lasciato la nostra tenda. In una giornata stupenda scalammo questo fantastico monolite dove incontrammo difficoltà fino al 6a. Lo chiamammo *Vallé Shan* e lo quotammo 5654 m in onore della nostra amata Valle d’Aosta e perché una cima nella zona, scalata da alcuni alpinisti altoatesini dal versante opposto al nostro era stata nominata Tyrol Shan. La via la chiamammo *Les Pieds Gelées*  450 m. 6a max 6a obbl.

Nel frattempo anche Tomas, Matteo e Bicio scalarono svariate cime vergini, tutti ci divertivamo molto e ci sentivamo veramente liberi. Ormai eravamo decisi a sferrare un attacco sincronizzato all’Edgar: il team VDA avrebbe tentato la cresta nord – ovest invece il team trentino la cresta sud – est. Io Emrik e Francesco risalimmo al campo degli Italiani, la nostra cresta attaccava dall’altra parte del ghiacciaio. Dovevamo solo attraversarlo e scalare.

Come sempre la sveglia suonò presto e come molle scattammo in piedi e via. Con le prime luci dell’alba raggiungemmo il filo di cresta superando agevolmente il primo scivolo di neve. Saltati in cresta le cose cambiarono e le difficoltà divennero subito più serie. Avevamo superato i 5800 e una barra di roccia  ci sbarrava la strada. La superammo abbastanza agevolmente e la valutammo 5, le difficoltà più grandi erano date dal freddo e dal fatto che dovevamo scalare sempre con i ramponi ai piedi e non sempre era possibile proteggersi. Finalmente verso le 12:00 spuntò il sole, i tiri si susseguivano, scalavamo su terreno misto a tratti verticale ed eravamo sempre con due picozze in mano perché affrontavamo spesso difficoltà attorno al M5. A circa 6200 m. fummo costretti a spostarci sul lato nord. Superammo altri 100 m seguendo una logica goulotte con a metà un bellissimo salto di IV. Con altri 100 m di terreno misto giungemmo su uno splendido terrazzo a 6400 m. Da quel punto ci sembrava fatta. Aggirammo un pilastro di roccia gialla e proseguimmo sul pendio successivo. Ero io in testa alla cordata e dopo alcuni passi mi accorsi che qualcosa non andava. Eravamo a 6450 m e la neve di colpo divenne inconsistente, era cambiata ed era diventata farinosa. Mi sembrava di nuotare immerso in un mare di sale grosso, non riuscivo più a salire. Eravamo in un pendio sui 45°/50°, vedevamo la cornice sommitale e mancavano 200 m alla vetta. Ma non riuscivamo più a salire. Siamo rimasti più di un’ora provando in tutti i modi possibili. Non avevamo il materiale da bivacco, era chiaro che se non riuscivamo a salire dovevamo scendere. Dopo un’ora increduli e delusi, decidemmo di scendere: avevamo dovuto arrenderci a meno di 200 m dalla vetta. Incredibile!

La discesa non sarebbe stata facile: mi misi io davanti ad attrezzare le soste e dopo alcune doppie una corda si bloccò. Dovetti risalire per 60 m. Era tardi, sapevo che dovevo sbrigarmi, fortunatamente risolvemmo presto l’intoppo e ripartimmo. Rientrammo sfiniti in piena notte al campo degli Italiani dopo aver attrezzato 20 doppie, la maggior parte delle quali in piena parete ovest.

Il giorno dopo con le ossa rotte dalla delusione rientrammo al campo base. Di fatto la nostra corsa si fermò sull’ultimo evidente pilastro che domina su tutta la cresta quindi abbiamo deciso di nominare il pilastro e la via  *PILIER DE L’ESPOIR* 6.450m. : 1000 m. (dal ghiacciaio) AI 4+ V , M5. La meteo annunciava l’arrivo di una perturbazione, quindi brutto per svariati giorni. Eravamo tutti delusi anche Tomas e compagni hanno rinunciato alla loro via: troppo pericoloso, le condizioni anche da quel lato non erano buone. Finalmente, dopo qualche giorno la meteo divenne più clemente e ci concesse una chance, tutti volevamo la vetta dell’Edgar e puntammo spediti al campo degli Italiani. Le condizioni erano decisamente cambiate. Dovevamo tracciare in 30 cm di neve fresca e arrivati al campo, ci accolse una bufera che aveva danneggiato seriamente la nostra tenda. Riuscimmo a prepararla e ci infilammo dentro, dovevamo restare seduti e reggere i picchetti a turno.

Avevamo in mente di aprire una via nuova sulla parete ovest ma il vento non voleva mollare. Alle 5 di mattina come per magia tutto tacque, un rapido confronto con i trentini e decidemmo di dividerci. Io Tomas e Matteo puntavamo alla via nuova invece Emrik, Francesco e Bicio alla normale. L’idea era di ritrovarsi tutti assieme in vetta.  Matteo non era in forma: aveva dei forti problemi intestinali quindi io e Tomas decidemmo di dividerci la via: la prima metà sarebbe toccata a lui e la seconda a me. Si alzò l’alba e ci rendemmo conto dello spettacolo che avevamo intorno. Una giornata perfetta. La nostra via era un sogno: una goulotte magnifica con un salto verticale a circa metà. Io e Tomas stavamo benissimo e ci intendevamo come se scalassimo assieme da una vita. Velocissimi, aprimmo 600 mt di via e ci trovammo a circa 6400. sulla via normale. Vedemmo i nostri amici salire dalla via normale, eravamo euforici. Lasciammo lì il materiale e ognuno di noi, con il proprio passo, cominciò a salire su questo immenso crostone di neve. Appena prima della vetta ci ricongiungemmo con gli altri: fu un momento splendido. Ci abbracciammo e poi a piccoli gruppi salimmo in vetta. La vetta era stretta ed era delimitata da un’immensa cornice quindi era meglio raggiungerla due alla volta. Per primi salimmo io e Tomas. Eravamo euforici, non riuscivamo ad aspettare. Quando tutti ebbero toccato la vetta, iniziammo la discesa e prima del buio eravamo al mitico campo degli Italiani. Il giorno seguente sotto una fitta nevicata smontammo le tende e rientrammo al campo base.La nostra via la chiamammo: *Colpo Finale* 600 m. AI V M4

Di fatto, la nostra fu la 4 salita dell’Edgar, la prima fu aperta da parte di alpinisti Coreani per quella che adesso viene considerata la via normale. La seconda fu ad opera di due alpinisti americani sul versante sud per il quale vinsero il Piolet D’Or. La terza quella di Tomas in solitaria e la quarta la nostra, ad opera di tutti i membri della spedizione. Nei giorni seguenti cominciammo il lungo rientro verso la civiltà e poi verso casa in Italia.

Ho un ricordo splendido di questa spedizione: per più di un mese abbiamo scalato liberi, sereni e felici su delle montagne inesplorate e selvagge. Con Emrik e Francesco ormai ho un feeling quasi fraterno invece non conoscevo bene gli altri ragazzi : Matteo, Bicio e Tomas. Fu un piacere conoscerli e condividere con loro questa bellissima esperienza. In particolare sono rimasto impressionato da Tomas, una persona di cuore e allo stesso modo uno degli alpinisti più forti con il quale ho avuto l’onore e il piacere di legarmi. Spero che in futuro ci saranno altre occasioni per tornare in montagna assieme.

China Expedition Autumn 2017

China Expedition Autumn 2017

OBIETTIVI: Esplorare i poco conosciuti versanti del Monte Edgar 6618 m. e le cime circostanti. MEMBRI DELLA SPEDIZIONE: François Cazzanelli, Francesco Ratti, Emrik Favre, Tomas Franchini, Matteo Faletti, Bicio Dellai. DURATA : 37 giorni REGIONE : La regione del Sichuan è una provincia della Repubblica Popolare Cinese situata ad ovest della regione autonoma del Tibet. Sichuan letteralmente significa “ Quattro Fiumi” perché questa regione è attraversata da diversi fiumi tra cui il più importante è lo Yangtze. Inoltre è uno degli habitat migliore per il panda gigante. Tutto il territorio ad ovest è caratterizzato da altopiani freddi e diverse catene montuose che segnano l’inizio della catena Himalayana. Ispirati dal libro appena uscito del noto alpinista Giapponese Tomotsu Nakamura che descrive alcune di queste valli come “Future Paradise Climbing” abbiamo deciso di lanciarci anche noi nell’esplorazione di questa vasta regione.   LA SPEDIZIONE: Il nostro programma è molto flessibile infatti abbiamo programmato di partire con il materiale per affrontare qualsiasi terreno dalla big wall in scarpette alla cima Himayana inviolata. Partiremo dall’Italia il 25 settembre per dirigerci nella capitale della regione Chengdu. Da li in un paio di giorni ci organizzeremo per poter stare un mese in totale autonomia tra le montagne per poi trasferirci con a Litang ultima città prima delle grandi montagne e punto di partenza per il nostro trekking. Da qui organizzeremo un piccolo gruppo di portatori con i quali in quattro giorni punteremo ad allestire il nostro campo base a circa 4300 m. nella Nanmenganggou valley. Durante il nostro soggiorno al campo base cercheremo di acclimatarci gradualmente con alcune piccole salite così da iniziare a esplorare e conoscere la valle e individuare alcuni interessanti obbiettivi da tentare una volta pronti. La nostra etica è quella muoverci in stile alpino sulle montagne di questa splendida regione. Nostri punti di forza sono quelli di scalare leggeri, senza ausilio di corde fisse e ossigeno, proprio come sulle Alpi. I nostri programmi sono flessibili di modo da permetterci di scegliere l’obiettivo più adatto a noi e con le migliori condizioni. MONTE EDGAR EXPEDITION: Il monte Edgar è una montagna di 6618 m, che si trova nel massiccio del Gongga Shan, nella Western Sichuan Province, in China. Mentre il Gongga Shan 7556 mt è una delle poche montagne oltre i 7000 al di fuori della catena Himalayana e del Karakorum, già scoperta a fine ‘800 da una spedizione scientifica guidata da Graf Béla Széchenyi, e salita una decina di volte, sul monte Edgar si hanno ben poche notizie. Questa montagna è stata salita per la prima volta nel 2003 da una spedizione Coreana. Nel 2009 una spedizione americana tenta la difficile parete est. Questa spedizione finisce in tragedia, infatti non si avranno più notizie degli alpinisti americani probabilmente investiti da una gigantesca valanga a base parete. Nel novembre 2010 Kyle Dempster e Bruce Normand riescono a conquistare la difficile parete est ottenendo per questa salita una prestigiosa nomination al Piolet d’Or.

Nuovi orizzonti

Oggi si chiude il mio percorso nel “Gruppo Militare di Alta Montagna” del Centro sportivo Esercito di Courmayeur. Per svariati motivi, ho deciso di uscire dal gruppo e dall’Esercito dove ho trascorso 5 anni stupendi e dove ho avuto la possibilità di realizzare alcuni dei miei sogni. Questa non è stata una decisione semplice, dopo aver riflettuto a lungo e averne discusso con i miei capi e responsabili, ora sono sereno e convinto di questa scelta. Questo non significa che smetterò di fare l’atleta o l’alpinista ma vista una mancanza di obiettivi comuni con il resto del gruppo ho deciso di cambiare rotta.

Uno dei miei sogni sin da quando ero bambino, è quello di vivere del mestiere di Guida Alpina, trasmessomi in primo luogo da mio padre e inoltre dalla famiglia di mia madre, i Maquignaz, che praticavano questo mestiere da generazioni.

Considero questo lavoro prima di tutto uno stile di vita, che mi è sempre venuto naturale e non mi è mai pesato. In questi anni mi sono reso conto che l’accompagnare un cliente su una via difficile che portare è ugualmente soddisfacente al portare a temine una grande salita con i miei compagni.

Accompagnare le persone in montagna non è solo scalare per se stessi ma è condividere la propria esperienza e professionalità con chi è legato a te.

Questo non vuole dire che smetterò di fare salite di alto livello, anzi dall’inizio di quest’anno sono entrato a far parte del Team SALEWA. Questa opportunità mi dà una grande motivazione a migliorare e rimettermi in gioco.
Il recupero del braccio destro infortunato nella mia ultima spedizione va sempre meglio quindi a breve vi svelerò i miei progetti per il 2017.

Tengo a ringraziare il Colonnello Marco Mosso e tutto il Centro Sportivo Esercito di Courmayeur per tutto sostegno datomi in questi anni.

Infine voglio ringraziare in maniera particolare il Tenente Colonnello Remo Armano e i miei compagni di gruppo Marco farina e Marco Majori. Con loro ho vissuto alcuni dei momenti più belli che mi hanno lasciato ricordi indelebili.

A breve vedrete il mio sito e blog aggiornati con tante news!

Ci vediamo presto in montagna!!!
Stay tuned!

Kimshung 2016….Ripartire per il Langtang….

Dopo il terremoto del 2015 che ha sconvolto il Nepal e distrutto completamente il villaggio di Langtang, ero curioso di ripartire e visitare questa valle. Sinceramente non avevo idea di cosa mi sarei trovato davanti né cosa aspettarmi. Ero contento e motivato di ripartire assieme a Emrik e Giampaolo, in più durante il mese di settembre sono riuscito a fare alcune salite molto impegnative che progettavo da parecchio tempo e ho potuto constatare che ero in gran forma.

Il 30 settembre voliamo verso Kathmandu. Fortunatamente siamo velocissimi nel preparare il nostro materiale e dopo un solo giorno di stop nella capitale nepalese siamo già in viaggio verso Syabru Besi dove ha inizio il nostro trekking. Non amo le lunghe soste a Kathmandu nonostante sia un città unica e magica. A lungo andare il suo caos, il traffico e lo smog mi innervosiscono e preferisco rifugiarmi tra le montagne.

Il nostro viaggio in bus passa liscio e senza intoppi e dopo 9 ore di camel trophy sulle strade nepalesi arriviamo a destinazione. Syabru Besi è un piccolo villaggio dove si vedono ancora parecchio i segni del terremoto. Nonostante ciò la gente non si ferma mai e, come accadeva una volta nelle nostre valli, tutti gli abitanti del villaggio ricostruiscono casa dopo casa partendo da chi ha più bisogno.

Il giorno dopo è il momento di partire, ma prima c’è ancora una cosa da fare. In collaborazione con le scuole di sci di Champoluc e Courmayeur abbiamo organizzato una raccolta di vestiti da distribuire alle popolazioni locali. La nostra idea era quella di distribuirne una parte a Sangrubesi e l’altra nel villaggio di Langtang. Grazie all’aiuto della proprietaria del lodge dove abbiamo dormito, distribuiamo una parte di vestiti alle famiglie più bisognose.
Finito con il nostro compito ci siamo incamminati verso le montagne. La valle del Langtang è stupenda ed in pochi giorni è possibile vedere una buona parte di ciò che il Nepal può offrire.
Si passa dalla giungla con scimmie, api giganti e torrenti impetuosi ai villaggi di montagna con Yak, cavalli selvaggi e asinelli.

Dopo due giorni di trekking finalmente arriviamo a Langtang. Per me e Giampi è un momento particolare, tanti ricordi ritornano alla mente ed è difficile spiegare cosa si prova. Superata la gigantesca frana, ci fermiamo davanti al monumento che ricorda le vittime del terremoto. Il villaggio lentamente sta rinascendo a monte della frana, sui detriti non c’è più nulla. Chi è rimasto ha ripulito tutto. La cosa che più mi ha colpito è che sul lato opposto della valle c’è ancora del ghiaccio che ormai è diventato duro e nero come quello che si trova sul fondo dei crepacci. Questo mi fa riflettere parecchio sulla forza devastante che ha colpito questo villaggio.

La frana che ha colpito e distrutto il villaggio di Lantang

Nel pomeriggio per schiarisci le idee andiamo a fare una corsa e subito la pace e la magia di questa valle ci ridanno la giusta armonia.
Prima di cena organizziamo la seconda distribuzione di vestiti. Qui la situazione è più complicata, la gente di questa zona ha perso tutto, le persone cercano di prendere più vestiti possibili e la nostra paura è che qualcuno rimanga senza niente. Fortunatamente facendo le cose con calma riusciamo fare un po’ di ordine e a distribuire a tutti almeno un capo.

Qui ho incontrato un signore che avevamo aiutato durate la nostra operazione di soccorso, lui mi ha riconosciuto al volo e io ho subito capito chi era perché indossava il mio primaloft Montura rosso e nero con la scritta esercito. Mi ha subito invitato nella sua nuova casa dove assieme alla sua famiglia abbiamo bevuto un tè e mi ha raccontato come ha ricostruito il suo lodge e riorganizzato la sua vita dopo il terremoto.

Il giorno seguente il tempo è orribile e piove forte anche in alta quota. I nostri porter sono partiti alle cinque di mattina per iniziare la tappa più impegnativa: raggiungere il campo base….to be continued….

Kimshung 6781 m. una cima ancora inviolata…

Ci sono voluti un po’ di anni perché trovassi la voglia di raccontare la nostra avventura sul Kimshung. Un’avventura che non considero conclusa, perché prima o poi vorrei chiudere i conti con questa bellissima cima Himalayana

Autunno 2016: Catena Himalayana del Nepal. 

Per me e Giampaolo Corona è il secondo tentativo al Kimshung, vetta inviolata situata nella regione del Langtang. Questo massiccio montuoso è il più vicino a Kathmandu ed è raggiungibile in pochi giorni. Nonostante ciò, nella zona si trovano ancora svariate cime vergini.

Dire che nella primavera 2015 io e Giampi avessimo fatto un tentativo è un parolone. In quell’occasione abbiamo dovuto rinunciare alla spedizione a causa del terremoto. Durante la nostra permanenza in Nepal abbiamo preso parte a un’operazione di soccorso proprio nella valle di Langtang (vedi articolo Nepal 2015 nella sezione spedizioni e viaggi del sito).

La spedizione del 2016 è partita a fine settembre e si unì a me e Giampi il mio caro amico e ormai compagno di cordata storico, Emrik Favre. Partimmo nel migliore dei modi: ormai la nostra esperienza in questo tipo di spedizione ci ha permesso di arrivare velocemente a ridosso delle montagne.

Arrivati a Lantang, villaggio dove l’anno prima avevamo fatto le operazioni di soccorso, persi il respiro per un momento. Qui il terremoto aveva fato collassare 1000 m. più a monte una parte del ghiacciaio che scende dal Langtang Lirung. Questa valanga provocò un’immensa frana che colpì distrusse completamente il villaggio in cui all’epoca vivevano 400 abitanti. Dopo la frana ne restavano circa trenta. L’intero villaggio era distrutto, sommerso totalmente dall’enorme massa detritica che lo travolse. Sul lato opposto della valle, al di là del fiume, la forza della valanga appiccicò alle pareti del ghiaccio che ad oggi non si era ancora sciolto. Lo scenario era apocalittico, mentre l’attraversavo a piedi, incredulo di ciò che vedevo, un immenso dispiacere mi invase. Nella parte più a monte del villaggio, grazie ad alcune donazioni, i superstiti alla terribile tragedia ricostruirono alcuni lodge. Grazie al contributo della scuola di sci di Champoluc abbiamo raccolto e trasportato in Nepal alcuni vestiti che volevamo distribuire nel villaggio di Langtang. Verso sera, radunammo gli abitanti del villaggio e distribuimmo a ciascuno un indumento. In quel momento mi si avvicinò un uomo e mi abbracciò. Lo guardai attentamente e lo riconobbi: era una delle persone che avevamo aiutato durante l’operazione di soccorso. Notai che indossava la giacca rossa che gli avevo regalato lo scorso anno prima di salire in elicottero per tornare a Kathmandu. Fu bellissimo ritrovarci, ero contento di vederlo in salute.

Mi invitò nella sua nuova casa che aveva appena finito di costruire, lo seguì all’interno e mi offri un té. Parlammo per circa un’ora, fu un momento molto intenso che ricordo con affetto. Il terremoto gli aveva porta via la sua bambina di 5 anni. L’unica cosa concreta che abbiamo potuto fare l’anno prima è stata quella di trasportare in elicottero il corpo di sua figlia al tempio di Kyangi Gompa in modo da permettergli di avere un cerimonia funebre secondo il rito buddista.

Il giorno seguente l’obiettivo era arrivare direttamente al campo base saltando il villaggio di Kyangin Gompa. Ormai prossimi al luogo che avevamo scelto per piazzare il campo, udimmo i rumori di alcune valanghe. C’era nebbia quindi non riuscimmo a vedere nulla ma questo bastò per spaventare i nostri portatori. Si arrestarono di colpo senza voler più salire e proseguire. Solo grazie all’esperienza di Giampi riuscimmo a sbloccare la situazione e a raggiungere il nostro campo base e sistemarci entro sera.

Il giorno successivo ci sistemammo e iniziammo a pianificare la nostra esplorazione per capire dove attaccare la montagna. Il campo era appena fuori da una grossa morena, piazzammo le tende sull’erba dove scorreva un bellissimo ruscello. Onestamente uno dei più bei campi base di sempre. Eravamo a 4300 m. nello stesso luogo dove si attrezza il campo base per il Langtang Lirung.

Finalmente, il giorno dopo, il bel tempo arrivò e ci permise di individuare una via logica sulla parete in fronte al nostro campo base sul versante ovest del Kimshung. La via scelta aveva un avvicinamento tortuoso dove bisognava attraversare prima un ghiacciaio interamente coperto di blocchi e detriti, poi era necessario salire sotto una parete battuta da qualche canale valanghivo. Tutto questo per raggiungere i piedi della parete dove avremmo piazzato il nostro campo su un sicuro isolotto roccioso. Da lì, la via era logica: una parete di neve che andava a stringersi fino a diventare una goulotte che moriva ad un colle. Da quel punto, in teoria, avremmo dovuto seguire la cresta fino in vetta. Decidemmo subito di fare un giro di trasporto materiale in giornata così da iniziare a studiare la zona. Tutto filò liscio e in un solo giorno riuscimmo a portare gran parte del materiale a 5300 m. alla base della nostra via. Dopo due giorni di riposo, decidemmo che era il momento di salire al nostro campo per fare una prima ricognizione in parete. Partimmo di prima mattina e nel pomeriggio arrivammo al nostro campo 1. Con calma riuscimmo a montare la tenda, cucinare ed infilarci prima del buio nei nostri sacchi a pelo. Le notti in Himalaya sono lunghe, c’è tempo di pensare ma anche di farsi venire un bel mal di testa. Il mattino dopo ci svegliammo con le prime luci del giorno, una rapida colazione e partimmo per una prima ricognizione in parete. Arrivammo a circa 5600 m senza mai legarci. La neve era perfetta e salivamo veramente bene, io mi sentivo carico, tutto era perfetto: mi trovavo al momento giusto al posto giusto, stavo bene il team funzionava e la montagna era splendida.

In giornata rientrammo al campo base e ci godemmo un po’ di meritato riposo.

I giorni seguenti la meteo fece un po’ i capricci, facemmo un tentativo ma si arrestò al campo 1 perché nel pomeriggio caddero 20 cm di neve. Decidemmo di riposare un paio di giorni e aspettare una meteo più favorevole. In quei giorni ebbi per la prima volta la fortuna di sperimentare il soffio delle valanghe sul campo base. Le prime volte non è una bella sensazione: tu sei lì tranquillo in tenda e un’immensa forza, quando meno te lo aspetti, ti investe. Poi ti abitui, ti tranquillizzi perché realizzi che il campo base è protetto e inizi ad avere meno paura, finché trovi il tuo “karma” e capisci che tutto ciò che cade pulisce la parete

In quei giorni un’altra spedizione raggiunse il campo base. Erano 3 alpinisti trentini: Stefano Bendetti, mio caro amico e allenatore della nazionale italiana di sci alpinismo, Roberto Manni di cui avevo letto nel libro di Marco Confortola e Angelo Giovanetti guida alpina e istruttore che conoscevo per la sua fama. Organizzammo subito una cena tutti assieme e fu un momento splendido perché ci aiutò a staccare la spina e a rilassarci un po’. Ero contento ci fosse altra gente con noi al campo base, oltre ad essere una sicurezza in caso di incidente, per il morale era bellissimo.

Finalmente arrivò il grande giorno, la meteo era perfetta, tutto era pronto e noi eravamo carichissimi. Ormai il copione lo conoscevamo a memoria, come degli automi salimmo al campo 1 preparammo la cena e ci infilammo nei sacchi a pelo. Puntammo la sveglia alle 2.

Alle 3 partimmo: era freddo ma nulla di estremo, infatti muovendoci ci scaldammo subito. Superammo il punto toccato l’ultima volta, mi misi in testa e distanziai un po’ i miei compagni: mi sentivo bene e volevo solo salire. A circa 5800 ci legammo e ricominciammo a salire, ci alternavamo e a circa 6000 m. le difficoltà aumentarono.

Il terreno divenne più ripido, il canale si stringeva e davanti a noi comparivano dei salti sempre più verticali. Iniziammo a procedere a tiri così da procedere in sicurezza, facevamo tre tiri a testa e poi ci alternavamo. Alle 14.00 iniziò ad alzarsi in vento e alle 15.30 toccammo i 6580 m dove vedevamo il colle: ci mancavano circa 200 m per raggiungere la vetta ma il vento era fortissimo. Eravamo stanchi e le raffiche diventavano sempre più forti, non avevamo alcuna chance di raggiungere la vetta. Senza neanche discutere iniziammo la discesa. Ci aspettava un lavoraccio, dovevamo attrezzare tutte le soste per le doppie. In totale abbiamo attrezzato 18 abalakov con Kevlar e un nastro nero per far si che si vedessero a distanza nei prossimi tentativi.

Attrezzammo le ultime doppie al buio fino ad arrivare dove la parete era meno pendente. Da quel punto decidemmo di procedere slegati, Giampi partii a razzo invece Emrik era più stanco così decisi di aspettarlo. Finalmente alle 23:00 eravamo tutti di nuovo alle nostre tende dopo 19 ore di scalata. Sciogliemmo un po’ di neve e ci buttammo nei nostri sacchi a pelo senza dire una parola.

L’indomani chiudemmo le tende, sistemammo il materiale e per pranzo facemmo ritorno al campo base, eravamo contenti già durante il primo tentativo eravamo arrivati a 200 m. dalla vetta! Ci sentivamo bene ed eravamo ottimisti per il futuro. Purtroppo la meteo si guastò e in quota si alzò un vento micidiale. Il nostro meteorologo ci disse che per dieci giorni sarebbe stata dura tornare in parete. Da quel momento le giornate scorrevano sempre uguali: Giampi correva mentre io e Emrik giocavamo a pallavolo con i due cuochi, senza mai vincere una partita.

Purtroppo Emrik dopo il 20 ottobre dovette abbandonare la spedizione, aveva un impegno come guida alpina: sarebbe partito per un trekking con Abele Blanc nella regione del Mustang e non poteva aiutarci nell’attacco finale.

Io e Giampi ci trasferimmo a Kyanjin Gompa per qualche giorno. Lì recuperammo a pieno le forze. Doccia calda e qualche birra furono fondamentali per recuperare a pieno e ritrovare la giusta motivazione.

Finalmente la meteo stava cambiando, il vento calava ed era arrivato il nostro momento.

Ritornammo al campo base e rincontrammo i tre trentini che nel frattempo avevano iniziato ad attrezzare sul Lirung. Utilizzammo un giorno al campo base per preparare tutto il materiale e il giorno dopo saremmo saliti al campo 1.

Il mattino seguente tutto si svolse da copione: colazione con caffè della moka, una piccola preghiera al Chorten e salimmo al campo 1 tutto d’un fiato.

Cenammo e ci infilammo nei sacchi a pelo e alle due suonò la sveglia. Ci facemmo la solita colazione frugale e ci incamminammo verso la parete. Faceva più freddo del solito, era buio ma ormai conoscevamo la strada, arrivammo alla terminale impugnammo le piccozze e su!

Io davanti e Giampi dietro con un sincronismo perfetto, eravamo più veloci, l’acclimamento e il riposo ci avevano aiutato molto. Era buio non si vedeva nulla, tutto mi sembrava perfetto, neanche una bava d’aria, c’era un silenzio incredibile. Vedevo solo nel fascio della mia pila le piccozze, i piedi si puntavano in automatico nel pendio ghiacciato come se sapessero perfettamente cosa fare.

Arrivammo slegati a circa 6000 m senza dire una parola, c’era solo il suono delle piccozze e dei ramponi nella neve. Ad un tratto un rumore sordo interruppe tutto e di colpo il mio braccio destro mentre stava per dare un’ennesima picozzata fu colpito con forza da qualcosa. Mi sentì scivolare indietro, mi mancò il respiro ma fortunatamente con un movimento d’istinto mi aggrappai alla piccozza sinistra e riuscii a rimettere la piccozza destra nella neve. Vidi uno schizzo di sangue infrangersi nella neve bianca illuminata dalla mia pila frontale. In quel momento urlai dal male, subito cercai Giampi : “ Giampi ci sei?” “Si sono qui, sto bene e tu?” “Più o meno, qualcosa mi ha colpito il braccio, sento caldo e perdo sangue.” Giampi si avvicinò a me,  piantò un paletto da neve e mi assicurò. Controllammo insieme subito la mia ferita e a caldo riuscii a muovere il braccio ancora un paio di volte poi stop. Era ovvio che dovevamo scendere, Giampi prese in mano la situazione e iniziò a preparare le corde per la discesa. Fortunatamente i nostri ancoraggi erano ancora tutti presenti. Io nel frattempo avvisai per radio il campo base e con il satellitare chiamai Migma Sherpa, capo della Seven summit trek, che era la nostra agenzia. Migma inoltre era il responsabile di una compagnia di elicotteri a Kathmandu ed era l’uomo giusto da chiamare per chiedere l’intervento immediato. Era chiaro ad entrambi che dovevamo scendere almeno fino alla nostra tenda per essere soccorsi. Io muovevo bene la mano ma non il braccio. Fortunatamente, con l’aiutò di Giampi, riuscivo a calarmi in doppia autonomamente. Arrivò la luce del giorno e Giampi guardò con cura la mia ferita…ma non mi disse qual era la reale situazione e mi chiese solamente se avevo del nastro, gli risposi di prenderlo nel mio zaino. Con il nastro mi chiuse al meglio la ferita e cerco di ricomporre il mio piumino. Avevo il guanto pieno di sangue così mi passò un moffolone per tenere la mano al caldo.

Giampi dovette attrezzare altre doppie fino alla terminale, io non ero in grado di scendere descalcando, mi ricordo benissimo che mentre mi calavo dalla terminale andai a sbattere sul bordo del crepaccio e in quel momento senti veramente un dolore fortissimo.

Giampi fu il mio angelo custode, mi accudì come un bambino finché finalmente arrivammo alla nostra tenda dove non c’era il sole e  sentivo freddissimo. Per radio ci chiamò Stefano Bendetti dicendoci che loro erano pronti a partire a piedi, li stoppammo perché Migma ci confermò che un elicottero era partito e sarebbe arrivato al campo base. Dopo un paio di ore d’attesa arrivò l’elicottero. Nel frattempo era uscito anche il sole ma il mio corpo non si scaldava, avevo freddo ovunque. L’elicottero si posò al campo base e poi salì immediatamente verso di noi. Seguendo le indicazioni di Giampi l’elicottero si abbassò. Scese uno sherpa e mi aiutò a salire. Chiudemmo il portellone e giù. Mi posarono al campo base, subito arrivarono vicino a me Stefano, Angelo e Roberto. Mi dissero che l’elicottero stava andando a recuperare anche Giampi e ciò mi fece sentire più sollevato, sapevo che il mio socio poteva scendere tranquillamente da solo ma saperlo al sicuro mi faceva stare più tranquillo. Si avvicinò a me anche Migma che era venuto per coordinare l’operazione. Il nostro cuoco Renzii mi portò una tazza di caffè che mi aiutò finalmente a scaldarmi un po’. L’elicottero arrivò al campo, spense i motori e scese Giampi: mi si avvicinò e ci abbracciammo. Con l’aiuto di tutti, raccolsi un po’ di roba e senza perdere tempo salii nuovamente sull’elicottero: dovevo essere ospedalizzato al più presto. L’elicottero ripartì con a bordo solo me,  Migma e lo sherpa. Io ero seduto su un bidone con dentro la mia roba e vicino a me lo sherpa: non c’erano i sedili posteriori. Facemmo tappa Kyanjin Gompa, l’elicottero spense i motori, alcune persone caricarono un decina di taniche di gasolio. Una signora mi riconobbe e mi portò una tazza di caffè: fu un gesto splendido, alcuni bambini si avvicinarono per vedere il mio braccio. In pochi minuti fummo pronti a ripartire. Risalii a bordo e mi accomodai sulle taniche di gasolio e vicino a me oltre allo sherpa salirono alcuni bambini. L’elicottero decollò, iniziavo ad avere caldo, stavamo perdendo quota ed ero ancora vestito come a 6000 m. e in più non capivo cosa ci facevano tre bambini vicino a me. Ad un certo punto ci abbassammo ad un villaggio dove i tre bambini scesero ma ne salire a bordo altri due: la cosa proprio non me la spiegavo. Io stavo male, perdevo sangue dal braccio, ero seduto su della benzina e continuava a salire e scendere gente. Dopo parecchi anni capì che le compagnie di elicottero sono sensibili con la popolazione e quindi se possono sfruttano i voli per portare i bambini a scuola o per riportarli alle loro famiglie sulle montagne.

Finalmente arrivammo a Kathmandu, faceva come al solito caldissimo. Ad aspettarmi c’era un’ambulanza. Iniziavo ad avere molto male, mi sdraiarono su una barella, mi bloccarono con una fibia e mi caricarono nel retro del veicolo. Quel viaggio dall’aeroporto all’ospedale non lo dimenticherò mai, l’ambulanza assomigliava alla macchina dei “Ghost Busters”: dietro ero solo e la barella posava su dei binari. La barella avrebbe dovuto essere bloccata sui binari, invece non lo era! Ogni volta che l’ambulanza partiva sbattevo contro la porta dietro e quando frenava sbattevo contro la parete che mi divideva dal conducente. In tutto ciò, non riuscivo a liberarmi, avevo caldissimo e il dolore era sempre più forte e ormai sentivo ogni indumento intriso di sangue. In quel tragitto riuscì a mettermi in contatto con Adriano Favre che si trovava a Kathmandu di rientro da un trekking. Ormai Adri era in aeroporto ma mi disse che avrebbe avvisato Corinne (sua figlia) Fausta e Valerie che stavano arrivando in ospedale e sarebbero subito arrivate in mio aiuto.

Finalmente l’ambulanza si fermò e sentì aprire la porta: in quel momento mi liberai e scesi con le mie gambe, dissi a medici e infermieri che io non volevo più saperne di quella barella e che sarei entrato camminando con le mie gambe!! Onestamente adesso mi rendo conto che in quei momenti vaneggiavo. Entrai in pronto soccorso mi sedettero su una barella e alcune infermiere iniziarono a svestirmi. Ad un certo punto iniziarono a tirarmi gli scarponi io avevo sempre più male e con un inglese a dir poco maccheronico cercavo di spiegare come sfilarmeli. Ad un certo punto arrivò un ragazzo con un’enorme forbice con la quale voleva fare a pezzi le mie scarpe. Andai su tutte le furie, mi dimenavo perché non volevo fargli tagliare i miei scarponi. Credo di averlo pure minacciato che se non mi avrebbe lasciato le scarpe l’avrei preso a calci.

In quel momento che io ricordo molto caotico vidi spuntare Corinne, Fausta e Valerie accompagnate dal nostro caro amico Ali. Ali è un ragazzo nepalese che parla perfettamente italiano, ormai è un mio caro amico e compagno di avventure a Kathmandu. Il suo business è quello di vendere pietre preziose a Thamel, centro turistico di Kathamndu.

Dopo il loro arrivo la situazione si calmò, mi aiutarono a svestirmi e complici alcuni calmanti mi tranquillizzai. Sono molto legato a Corinne con la quale ho passato 6 estati da ragazzo a lavorare al Quintino Sella, rifugio gestito dalla sua famiglia nel cuore del Monte Rosa. Anche Valerie ha lavorato svariate stagioni con noi in rifugio e inoltre con suo fratello andavo a scuola. Fausta invece la conosco da una vita, con lei ho affrontato la prima spedizione in Nepal allo Churen Himal. Fausta è un po’ la nonna dell’Himalaya credo che ci siano poche regioni dove non sia stata.

Finalmente vidi il mio braccio e non fu un gran bello spettacolo. Chiusi gli occhi mi girai con la faccia verso il muro. Non ebbi mai più il coraggio di guardare la mia ferita. Il dottore spiegò a Corinne e Ali che dovevo essere operato immediatamente. In quel momento chiamai a casa mia mamma e Alessia e poi entrai in sala operatoria.

Mi svegliai stordito, Cori mi aiutò a bere un po’ di brodo e dopo mi addormentai, ero sfinito.

Il giorno dopo Fausta e Vale mi aiutarono a lavarmi, fu una sensazione splendida. L’ospedale non era male, avevo la mia stanza con il mio bagno privato e miei amici a turno mi portavano il mangiare. Fortunatamente in anni di spedizioni ho conosciuto tante persone e tutti mi hanno aiutato e tenuto compagnia. In Nepal non forniscono da mangiare in tutti gli ospedali  quindi è necessario avere qualcuno che ti aiuti portandoti i pasti. In realtà, se sei solo puoi contattare alcuni servizi take away ma la qualità  del cibo non è il top. Finalmente dopo alcuni giorni Giampi arrivò a Kathmandu e venne subito a trovarmi.  Ci abbracciammo, eravamo felici di vederci. Giampi mi raccontò che il giorno dopo imballò tutto il campo base e iniziò la discesa e che in tre giorni raggiunge la capitale nepalese.

Io dovevo fare almeno ancora 5/6 giorni di ospedale ma ormai me la cavavo bene e Giampi poté così rientrare in Italia, aveva già fatto tantissimo per me.  Anche Corinne Vale e Fausta rientrarono, ormai mi stavo riprendendo e con l’aiuto di Ali e di tutta lo staff della Seven Summit riuscivo a cavarmela bene. Sistemai le pratiche burocratiche e finalmente dopo 10 giorni potevo essere dimesso. Concordai con il dottore che mi operò di prendere un volo il giorno in cui avrebbe firmato le mie dimissioni di modo da andare direttamente dall’ospedale all’aeroporto. Finalmente arrivò il gran giorno, chiesi ad Ali di accompagnarmi in aeroporto ma per un’incomprensione la mattina fuori dall’ospedale non c’era nessuno. Mi cercai un taxi ma era complicato muovermi con il mio bidone gigante, in più lo potevo tirare con un solo braccio. Il viaggio di ritorno non fu semplice ero ancora molto debole, ma finalmente arrivai a Milano. Ad attendermi c’erano mio papà e il Colonello Marco Mosso in quel momento capì che tutto era finito e che ero a casa.

Ci tengo a ringraziare Giampi, senza di lui non sarei qui a raccontare quest’avventura. Il mio socio mi ha salvato la vita e io in cambio gli prometto che tenteremo ancora assieme su questa montagna. Inoltre vorrei ringraziare di cuore tutti gli amici che mi hanno aiutato : Cori, Vale, Fausta, Emrik, Ali, Sete, Passang e Biman.

See you soon Kimshung……

Nuovi stimoli…nuovi orizzonti…

L’estate è agli sgoccioli, le nostre valli e le nostre montagne si svuotano e dentro di me sento che è il momento di ritornare in montagna solo per me stesso. Dopo una bellissima estate passata su e giù per i monti con i miei clienti, la voglia di tornare a scalare con un compagno di pari livello è forte, un richiamo profondo, come una piccola voce dentro di me che mi dice vai!

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Un pomeriggio di fine agosto, scalando alla Barmasse con il mio amico e collega Francesco Ratti, tra un tiro e l’altro parliamo dei recenti record di Ueli Steck  e delle ottime condizioni per scalare in velocità nel massiccio del Monte Bianco. Tra una chiacchiera e l’altra decidiamo di scalare l’Integrale di Peuterey, ci troviamo subito d’accordo sul provare a farla il più velocemente possibile ma il nostre cruccio è :”ci sarà una degna via di mezzo tra i tempi record di Steck e i tre/quattro giorni canonici della maggior parte degli alpinisti?”  Così, il primo settembre alla 4:30 siamo in Val Veny pronti a partire! Un giornata infinita, testa bassa e “pedalare”, tiri e tratti in conserva ci accompagnano fino in cima alla Noire. Da lì scendiamo veloci in doppia e poi via di corsa attraversando sotto le Dame Anglaise. Alle 20:30 siamo al bivacco Craveri dopo 16 ore no stop di scalata.

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Facciamo l’acqua, mangiamo due ravioli e poi ci infiliamo nei nostri sacchi a pelo. La mattina dopo, alle 5:00 scattiamo, alle 11:00 siamo in cima alla Blanche dove prepariamo un po’ d’acqua e ripartiamo.

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Alle 13 in punto siamo in vetta al Bianco, facciamo due foto rapide e scendiamo. Alle 16:15 siamo alla Midi in coda che sognamo una meritata birra a Chamonix. Francesco ed io siamo molto soddisfatti della prima scalata assieme, siamo stati rapidi e precisi come volevamo!  Avremmo potuto impiegare meno tempo? Sicuramente avremmo potuto limare ancora qualcosina sul peso dei nostri zaini e il fatto di non conoscere la via in certi punti ci ha sicuramente penalizzato. Ma questo fa parte del gioco la prossima volta sapremo come fare. Mi piacerebbe ritornare in futuro su questa stupenda cresta magari con un cliente o magari cercando di farla in giornata…

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Una settimana dopo, io e mio cugino Stefano siamo entrambi motivati a provare una salita invelocità. Ma quale? Penso un po’ e gli dico :”facciamo Les Petites Murailles, non sono difficili e vanno bene per iniziare a testarci”. Non avevo mai fatto questa traversata che vedo tutti giorni dalla finestra di casa. Avevo solo fatto un tentativo in solitaria una settimana prima fermandomi a circa 3000 mt a causa di un temporale. Questa volta l’approccio è più facile: alle 9:00 circa partiamo dal Laghetto della pesca sportiva e alle 14:30 siamo a mangiarci una buona pizza a Cervinia. Abbiamo fatto l’intera attraversata con : una corda da 30 mt, una picca martello, 3 chiodi, 2 friends, due rinvii, 2 caschi, 2 ramponi da trail, 2 secchielli, 6 moschettoni e un imbrago leggero a testa. Il nostro tempo è di 5 ore e 7 minuti per un totale di 14 km e 2100 mt di dislivello. Abbiamo percorso tutto il giro in scarpe da ginnastica e con abbigliamento minimo ma sempre rigorosamente legati in conserva.

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Anche qui la domanda è la stessa, si poteva impiegare meno tempo? Sì sicuramente slegati si risparmierebbe un sacco di tempo visto che l’intera salita non presenta particolari difficoltà. Inoltre avremmo potuto portare ancor meno materiale o meglio rimpiazzarlo con più viveri e acqua che da metà percorso in poi ci sono sicuramente mancati. In futuro può essere molto motivante cercare di abbassare questo tempo mettendolo in programmazione come allenamento per salite più importanti.

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Il giorno dopo, per non farmi mancare nulla, sono con Francesco a cercare un passaggio per superare la seraccata della Mer de Glace per andare al rifugio Lescheaux.

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Il nostro obiettivo è lo sperone Walker e siamo molto carichi e motivati, forti dopo la bella salita fatta  sull’Integrale. Il giorno seguente alle 00:45 scattiamo. Questa volta le cose non vanno secondo i nostri piani e sbuchiamo alle 17:00 in vetta alle Jorasse. Non lo neghiamo, speravamo di essere più rapidi ma purtroppo il sovraffollamento della via e il verglas,che ci ha rotto le scatole da sotto il nevaio triangolare, ci hanno rallentato parecchio. Pazienza! Abbiamo comunque ripetuto una stupenda via per nulla banale sulla regina delle pareti nord. La discesa si è svolta velocemente senza intoppi e alle 21:00 siamo a valle. Beviamo una birra veloce e scappiamo a casa. Il giorno seguente entrambi dobbiamo da lavorare: io ho l’ultimo Cervino di stagione e Francesco una gita sul Rosa.

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Queste salite, e la spedizione di questa primavera mi hanno aperto gli occhi su tante cose. L’alpinismo moderno corre va veloce, ormai su ogni sito si legge di nuovi record di velocità sia su roccia che su misto, in tutto il mondo e a tutte le quote. L’essere leggeri, minimalisti e precisi ti rende più veloce e agile e in certe salite innegabilmente molto più sicuro. Questo è l’alpinismo che cerco e che vorrei fare senza però dimenticare i valori che la montagna ci trasmette e che portiamo dentro ognuno in maniera personale. Confrontandoci in maniera onesta  con la montagna impariamo a conoscerci e affrontiamo un percorso interiore in continua evoluzione che alla fine lascerà un segno profondo dentro di noi.

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Oggi sono in partenza nuovamente verso il Nepal con Emrik Favre e Giampaolo Corona, era dal 2014 al Kangchejunga che non facevo più parte di un team così forte completo e affiatato. Il nostro obbiettivo ormai è noto a tutti l’inviolata cima del Kimshung 6781 mt. La mia forma fisica è ottima e la motivazione pure, per me e Giampaolo tornare nel Lantang dopo quello che ci è successo nella primavera 2015 ha un qualcosa di mistico, difficile da spiegare ma entrambi sentiamo il bisogno di tornare li per chiudere un cerchio.

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Chamlang 2016

Lukla, 1 aprile 2016.
Sono le 9 di sera ormai è notte, mi trovo seduto davanti alla stufa nella sala da pranzo del nostro lodge, leggo un libro e nel mentre bevo una Everest beer. Nei tavoli vicino a me un gruppo di dottori americani lavora al computer e con la solita strafottenza americana sta ascoltando ad alto volume della musica country. Questa musica mi piace, il calore della stufa mi scalda le ossa e il gusto della birra è favoloso. Era da tempo che non provavo queste sensazioni, mi piace molto, mi rilasso, incomincio a pensare e far i conti di cosa è stato questo ultimo mese…..

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Vita quotidiana nel villaggio di Khote valle del Mera Peak

La nostra spedizione è partita alla grandeI e il 12 aprile abbiamo passato il Merala pass, un colle a 5400 mt il punto di partenza del Mera Peak una classica vetta Himalayana. Qui abbiamo dovuto attrezzare una parte di ghiacciaio per aiutare i nostri porter a superare il colle che si trova in pessime condizioni con molto ghiaccio che affiora. Passato il colle tutto è filato liscio e il giorno dopo siamo al campo base. Il base per il Chamlang è stupendo, si trova a 5000m su un grosso prato col il fiume che gli scorre a fianco. Ci accorgiamo subito che il Chamlang, come tutte le montagne in quella zona, si trova in pessime condizioni: ghiaccio nero, nevai assenti, scariche di sassi, insomma tutto il peggio arsenale di una montagna. Che facciamo?

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La parete nord del Chamlang 7319 m

Iniziamo a studiare la zona, camminiamo in qua e in là sia per acclimatarci sia per trovare un’alternativa sicura per cominciare a scalare. Un giorno, salendo su una morena a circa 5700 mt notiamo la cresta sud – ovest dell’Honku Chuli Nup 6730m. Una cresta di neve e misto stupenda che sembra avere un po’ più di neve rispetto alle altre cime in zona.

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Hongku Chuli Nup 6730 m

Pensiamo un po’, guardiamo con il binocolo e scattiamo foto, ma la decisione è presa, ci proveremo.Due giorni dopo siamo con la nostra tenda monotelo alla base della cresta a 5700 mt la nostra idea è quella di salire un pezzo per la cresta per perfezionare il nostro acclimamento. L’indomani aspettiamo il sole e partiamo, saliamo fino a 6330 mt sulla prima pinna di questa cresta. Una giornata bellissima stiamo entrambi bene e la cresta è una figata.

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Capiamo subito che cosa ci aspetterà, la cresta sud- ovest di questa montagna forma 3 grosse pinne di neve e ghiaccio in le condizioni poco favorevoli. Lo stesso giorno scendiamo al base motivati e carichi a tentare la cima. Aspettiamo. Dopo due giorni ci arriva la conferma dal nostro meteorologo: “Tra due giorni c’è una tregua del vento di 12 ore… Potete provare”.Il 25 aprile ripartiamo per raggiungere la nostra tendina, ma dopo mezz’ora mi passa per la mente un flash “Non abbiamo gas”. Senza perdere tempo mollo lo zaino e giro i tacchi per tornare al base a prendere una bomboletta, tra di me penso ”nessun problema un’ora extra di allenamento mi farà bene “ quindi mi avvio. Nel frattempo Marco arriva alla nella zona del campo ma la tenda non c’è! La ritrova 300 mt sotto, sulla morena. Quando arrivo anche io al campo la rimettiamo in piedi , come possiamo, sotto un grosso sasso, fortunatamente il fornello va quindi possiamo prepararci la cena. Il giorno dopo alle 4 siamo già in marcia, il tempo scorre veloce e in meno 4 ore siamo al punto massimo raggiunto la settimana scorsa. A questo punto ci leghiamo e iniziamo a fare sul serio.

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La crepacciata terminale ci impegna subito con qualche metro di ghiaccio verticale ma la superiamo veloce, da qui si susseguono diversi tiri di ghiaccio mai estremi ma mai da sottovalutare.

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Dopo 400 mt riprendiamo il filo di cresta e le cose si complicano, qui il ghiaccio è molto delicato ed i passaggi sono molto esposti e improteggibili. Usciamo sulla seconda pinna e finalmente vediamo la cima. Qui il terreno spiana un pelo, la neve e le condizioni migliorano un po’, ma il vento inizia a soffiare forte e a darci parecchi problemi. Che facciamo? “Proviamo”.

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L’ultimo tratto di cresta sull’Hongku Chuli Nup

Superiamo un tratto di cresta relativamente semplice ma il vento complica tutto, la nostra corda vola da una parte all’altra della cresta e si impiglia ovunque. Raggiungiamo le rocce e iniziamo a procedere a tiri su terreno misto.

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Verso vetta

Dopo tre lunghezze il terreno diventa più dolce e ricominciamo a procedere in conserva assicurata e ad un tratto ci siamo: “Summit”!! Sono le dodici e trenta e sotto la pinna sommitale ci abbracciamo. Protetti dal vento chiamiamo casa per dire che siamo in cima e va tutto bene. Siamo euforici, contentissimi, ma consapevoli che non è finita.

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Summit

Alle 13 iniziamo la discesa il vento aumenta e ci da parecchio fastidio. Per essere più rapidi abbandoniamo molto materiale e senza accorgercene ad un tratto rimaniamo con una sola vite e zero fettucce e cordini e la discesa è ancora lunga. Iniziamo a fare ancoraggi a abalakov ma con una sola vite siamo lenti, in più siamo costretti ogni volta tagliare un pezzo della nostra corda per creare un anello dove assicurarci. Alle sedici e trenta siamo quasi fuori dobbiamo solo calarci e superare la crepaccio terminale che è enorme. Proviamo a destra poi a sinistra, ma niente non si passa.

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Prima doppia

Ad un tratto vediamo le corde che si infilano nella pancia del crepaccio e ci viene un idea. Possiamo calarci dentro e lo attraversiamo fino dall’altra parte. Inizio a scendere raggiungo un ponte e lo seguo fino a spuntare sul pendio dal lato opposto della cresta. Marco mi segue e alle diciassette e trenta siamo entrambi sul colletto dopo l’ultima pinna.

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La discesa diventa più facile e alle diciannove e trenta, dopo quindici ore e mezza no stop, siamo alla nostra tenda. Decidiamo di proseguire fino al base perché non avevamo più cibo né gas. Alle ventuno e trenta siamo sdraiati sul prato davanti alla tenda cucina del campo base. Ci gustiamo un piatto di pasta, una coca e una meritata fetta di torta.

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Siamo stravolti ma felici e molto soddisfatti di ciò che abbiamo fatto, non abbiamo aperto nessuna via nuova né salito una cima inviolata ma per noi questa salita all’Hoku Chuli Nup è un passo importante che ci da molta motivazione e delle belle certezze per il futuro.

Perché tornare in Nepal ?

In questi giorni tanti amici, familiari e conoscenti mi hanno chiesto perché tornavo in Nepal e non andavo in un altro paese? 

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Beh, diciamo che il Nepal ha una riserva di cime, creste e pareti che non basterebbero due vite per girarle tutte, in più il calore, la generosità e l’ospitalità del suo popolo fanno sì che si ritorni sempre volentieri perché ci si sente come a casa.

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Però il motivo principale è che questo paese negli ultimi anni mi ha dato molto ed è arrivato il momento di contraccambiare. Sono fortemente convinto che dopo il tremendo sisma che la scorsa primavera ha devastato gran parte del paese sia fondamentale far ripartire il prima possibile il turismo legato ai trekking e alle spedizioni pilastri dell’economia Nepalese. Lo scorso anno sono stato testimone di questa tragedia prendendo parte a un operazione di soccorso nella valle del Langtang, nella quale avrei dovuto scalare il Kimshung vetta ancora inviolata di 6781 mt col mio amico Giampaolo Corona.

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Da quest’anno io e il mio socio Marco Farina abbiamo iniziato a collaborare con la Onlus Valdostana Sanonani. Sanonani in nepalese significa “piccolo bambino”ed è una onlus nata ufficialmente il 15 gennaio 2015 grazie a Barbara Luboz, Marco Camandona, Andrea Bo, Fausta Bo, Laura Bornaz, Paola Denarier e Lara Dulicchio.
Il nostro aiuto vuole rivolgersi ai bimbi orfani e ai piccoli di famiglie molto numerose in difficoltà. Per questo
abbiamo creato una vera e propria Casa famiglia “Sanonani House”, che assicura un pasto caldo, un letto ed un’assistenza adeguata. I bimbi accolti
frequentano la scuola pubblica e continuano a vivere seguendo abitudini, cultura, lingua, religione proprie e tipiche del luogo. Per portare avanti il progetto
servono contributi economici e volontari. Tutti uniti da un unico intento: aiutare bimbi tanto bisognosi ma altrettanto rispettosi e sorridenti!
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Un primo passo per aiutare questo piccolo paese sono riuscito a farlo a casa mia a Cervinia. Grazie all’aiuto delle maestre della scuola primaria ho potuto passare un pomeriggio con i bambini raccontando un po’ delle mie scalate e un po’ del Nepal per sensibilizzarli sulla situazione attuale del paese. Dopo questo incontro le maestre hanno organizzato con i bambini una piccola raccolta di : quaderni, penne, matite, giochi e altro materiale scolastico per i bambini della casa famiglia attualmente in ristrutturazione (per mano di Sanonani ) nel villaggio di Budhanilkantha Naranthan immerso nel verde a circa 20 minuti di auto dal centro di Kathmandu. Saremo io e Marco a portare di persona il materiale e con l’occasione dedicheremo un po’ di tempo ai bambini ospiti della casa.

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I bambini inoltre hanno realizzato un bellissimo disegno che consegneremo di persona ai bambini Nepalesi.
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Chamlang 7319 mt Aprile – Maggio 2016

“Marco hai preparato i bidoni”….”Si, tu hai organizzato il cargo? Che ne pensi, la settimana prossima iniziamo ad allenarci in quota? Giro lungo con le pelli sul Rosa o Goulotte sul Bianco? “….. ” Cargo quasi a posto, per la settimana prossima ok, decidiamo in base alle condizioni! Ormai manca poco dobbiamo preparare tutto e concentrarci sugli allenamenti “….

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Ormai non è più un segreto il primo aprile sarò di nuovo in partenza… Per dove? Ovviamente verso l’Himalaya destinazione Nepal. Questa volta il nostro obiettivo è l’inviolata parete nord del Chamlang 7319 mt.. L’idea è quella di affrontare la parete in stile alpino con un piccolo team (massimo tre scalatori). Questa volta come me ci sarà il mio socio di mille scalate (e non solo) Marco Farina e poi si vedrà. Entrambi siamo concentrati e motivati pronti ad affrontare questa nuova sfida.

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Il Chamlang è una montagna poco conosciuta e si trova a 10 km di distanza dal Makalu nella Hongu Valley. Nella lingua locale quando si usa la parola Chamlang si intende lo sbatter d’ali di un grosso uccello; infatti una leggenda narra che le bianche pareti di questa montagna proteggono le popolazioni locali dall’attacco di un enorme mostro che ha le sembianze di un grosso uccello bianco. Questa montagna nonostante non sia tra le più famose e conosciute al mondo è stata scalata diverse volte da grandi nomi dell’alpinismo Himalayano. Il Chamlang infatti era già stato notato nel 1954 da Sir Edmund Hillary ( primo uomo al mondo assieme allo Sherpa Tenzing Norgay a raggiungere la vetta dell’Everest ) che già allora rimase colpito dalle sue enormi difficoltà tecniche. La vetta fu raggiunta per la prima volta nel 1962 dal versante ovest da una gigantesca spedizione Giapponese guidata dal Dr. Seiki Nakanonel e finanziata dalla Hokkaido University. Questo team per scalare la montagna affrontò ben 4 mesi di Spedizione partendo dall’India e  attraversando tutto il Nepal a piedi. La spedizione che aveva anche uno scopo scientifico, durante il trekking di rientro esaminò, nel villaggio di Pangboche, alcuni reperti che si pensava appartenessero al leggendario Yeti, l’uomo delle nevi. Dopo alcuni esami però gli scienziati concordarono che i resti esaminati non erano altro che della pelle di scimmia e i resti mummificati di una mano appartenente ad una donna Mongola.

1Il Chamlang è segnato con J

La catena del Chamlang ha tre vette ben distinte: la vetta occidentale 7319 mt, quella centrale 7180 mt e quella orientale 7235 mt. Le tre vette sono collegate tra loro da un lunga cresta lunga circa 6 km. Il 16 maggio 1984 una cordata guidata da Jean Afanassieff e composta da Doug Scott, Michael Scott, e Ang Phurba (Shepa) realizzò un grande impresa effettuando la prima traversata di tutte e tre le cime del Chamlang. Così facendo i 4 alpinisti si assicurarono anche la prima salita ufficiale della vetta Orientale e Occidentale. Recentemente, il 19 ottobre 2015, gli alpinisti baschi Alberto Iñurrategi, Juan Vallejo e Mikel Zabalza, hanno messo a segno un grande exploit ripetendo in stile alpino la via giapponese del 1986. Sono arrivati in vetta al Chamlang e rientrati al campo base con un solo bivacco a 6600 metri di quota. Dopo questi brevi cenni storici nei quali spiccano grandi nomi dell’alpinismo si può comprendere l’importanza ed il valore di questa nuova sfida.

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L’obiettivo

Il nostro obiettivo è quello di tentare la scalata di questa bellissima parete himalayana in Stile Alpino. Le difficoltà da affrontare saranno molteplici e riguarderanno non solo gli aspetti tecnici e di acclimatamento connessi ad una prima ascensione in Stile Alpino ad alta quota, ma anche tutti gli aspetti organizzativi e logistici della Spedizione;infatti la montagna si trova in una zona fuori dalle classiche rotte commerciali. Bisognerà cercare, oltre alla migliore e più sicura via di salita, la zona più idonea dove allestire il Campo Base e il migliore itinerario per avvicinarsi alla montagna. La Spedizione avrà una durata di circa 45 giorni. Per la fase di acclimatamento si utilizzeranno i numerosi colli e vette adiacenti alla zona in cui si pensa di installare il Campo Base, sui quali è possibile raggiungere abbastanza agevolmente i 6000 mt. di quota.

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Perché in Nepal ?

 La scelta di tornare in Nepal  non è casuale. Questo magico paese negli ultimi anni mi ha dato molto ed è arrivato il momento di contraccambiare. Siamo fortemente convinti che dopo il tremendo terremoto della scorsa primavera, che ha provocato enormi danni in tutto il Paese, sia fondamentale per il bene delle popolazioni locali far ripartire il più velocemente possibile il turismo, fondato sulle Spedizioni e i Trekking. Da quest’anno infatti io e miei compagni di spedizione collaboremo in maniera attiva con la Onlus Valdostana Sanonani (www.sanonani.house) 

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L’idea è quella di promuovere le attività della Sanonani Onlus e di dedicare un po’ del nostro tempo, sia prima che dopo la Spedizione, ai bambini che verranno accolti nella casa famiglia attualmente in ristrutturazione nel villaggio di Bu- dhanilkantha Naranthan, immerso nel verde, a circa 20 minuti di macchina dal centro di Kathmandu.

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Ringrazio tutti i miei sponsor che ancora una volta mi sostengono!!

to be continued

Dry-tooling time

In questo inizio di stagione caldo e senza neve mi sono dedicato un po’ al dry-tooling frequentando parecchio il settore “L’Attico del Dry-tooling” a Valsavarenche sopra la mitica “Grotta Haston”. Assieme a Marco Farina, Roger Bovard e Alain Vignal abbiamo aperto e liberato due nuove vie .

“La Diretta del Paradiso” M7+  10 mt.

Tiro fisico che supera un tetto orizzontale di 3 mt. In posto abbiamo lasciato 3 chiodi sul tetto e la sosta ( 2 fix + catena) utili friend piccoli per proteggere la prima parte rinvii e fettucce per allungare le prime protezione.

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“Social Fire” M6 20 mt.

Bellissima linea che parte in comune con un vecchio tiro di misto di cui non sappiamo il nome. Partire nell’evidente diedro con ghiaccio fino a superare i primi due spit della via originale ( spit da 8mm con placchette gialle) poi traversare a sinistra con un passo tecnico protetto con uno  spit (1 fix nuovo Raumer) per poi prendere l’evidente fessura da proteggere a friend con strapiombetto iniziale sosta con 2 spit più cordone e moschettone. Materiale utile rinvii friend medio piccoli e fettucce per allungare le protezioni nella prima parte.

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Entrambe le line si possono percorrere anche con assenza di ghiaccio quindi in total dry però ho preferito valutarle come vie di misto perché in entrambe nella prima parte si forma regolarmente del ghiaccio.

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Foto : Stefano Jeantet e Alain Vignal

Via Innocenzo Menabreaz

“L’avventura per me è l’ignoto, il partire senza avere la certezza di riuscire a fare quella determinata salita. Preparazione e allenamento sono le premesse indispensabili per fare una certa via; però io la sogno, la concepisco e poi mi misuro con la natura”

Renato Casarotto ” Una Vita Tra Le Montagne”

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Questa frase scritta dal grande Renato Casarotto e presa dal libro di Goretta Traverso “Una Vita Tra Le Montagne” la voglio dedicare al mio caro amico Nicolò che dopo un estate di scalate e allenamenti è riuscito a portarsi a casa la sua prima via sulla parete sud del Cervino.

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Era da un po’ di tempo che volevo curiosare questo angolo del Cervino, così in questo pazzo mese di Novembre con clima estivo, ho deciso di provarci. Il team è presto fatto: io, Marco Farina ( il mio socio storico per le scalate sulla Becca) e Nicolò Bongiorno alla sua prima esperienza fuori dalle vie classiche sul Cervino.

Ne è uscita  l’ennesima avventura su questa magica montagna a cui sono particolarmente legato. Il nostro piano era quello di salire questa via, che solca la parte sinistro delle Scudo del Pic Tyndall, per poi uscire e percorrere una parte della cresta “De Amicis” fino al cengione chiamato “Cravatta” dal quale ci saremmo ricongiunti alla Cresta del Leone per poi scendere.

Siamo partiti alle 5.30 del mattino dal rifugio Oriondè e ci sono volute ben 19 ore no stop per ritornarci. Stupenda via in un ambiente fantastico  ma altrettanto severo, quando si esce dalla vie classiche sul Cervino nulla è scontato ne regalato. Ne approfitto per fare i complimenti al mio caro amico e collega Patrick Poletto e ad Hervé Barmasse per aver aperto questa via il 14 Agosto del 2000 ed averla dedicata alla famosa Guida Alpina del Società Guide del Cervino Innocenzo Menabreaz.

RELAZIONE TECNICA

1° salita : Hervé Barmasse e Patrick il 14 agosto del 2000

Ripetitori : Nicolò Bongiorno, François Cazzanelli e Marco Farina il 14 novembre 2015

220 mt 6a obbligatorio

Attrezzatura : un set completo di friends BD fino al #2 doppiando le misure medie qualche chiodo, fettucce rinvii corde da 50mt. Piccozza e ramponi per l’avvicinamento.

Avvicinamento : Dal rifugio Duca Degli Abruzzi seguire la Cresta De Amicis, 50 mt prima del passaggio Gianotti prendere l’evidente cengia verso destra che porta al centro dello Scudo, seguirla fino in fondo sino a trovare uno spit che segna l’inizio della via.

1° L ( 50 tm 5+ )
Seguire la linea verticale spostandosi leggermente sulla sinistra puntando un diedro con tettino, una volta superato, raggiungere una piccola cengia e attraversando verso destra si raggiunge la sosta.
( 2 spit )

2° L ( 45 mt 6a )
Puntare ad un chiodo sopra la sosta, rinviarlo e spostarsi a destra, alzarsi per una facile rampa per poi riattraversarla a sinistra puntando l’evidente diedro fessurato. Salire il diedro fino a raggiungere un tettino che si supera sulla destra e dopo pochi metri si raggiunge la sosta.(2 spit)

3° L ( 30 mt 6a )
Salire in verticale nell’evidente fessura puntando ad un chiodo, superato un tratto verticale si prosegue obliquando leggermente verso sinistra su roccia rotta ma solida fino a raggiungere la
sosta. ( 2 spit )

4°L ( 30 mt 5+ )
Dalla sosta attraversare a sinistra puntando a due evidenti diedri ( uno spit ). Salire il secondo diedro e all’uscita attraversare a destra puntando una placca facile con uno spit dove si sosta, OCCHIO AGLI ATTRITI quindi allungare bene le protezioni. ( sosta con due chiodi a lama da integrare e su uno spit non di ottima qualità )

5° L ( 15 m 6a )
Salire nell’evidente diedro di roccia friabile fino a raggiungere un buono chiodo con moschettone (rinforzabile con un buon friend BD #1) . Calarsi di alcuni metri e pendolare leggermente verso destra, superare quindi un piccolo strapiombo di roccia friabile fino a raggiungere uno spit, (qui la roccia migliora nettamente) salire ancora qualche metro e raggiungere la sosta. ( 2 spit )

6° L ( 50 m 6a )
Dalla sosta salire l’evidente fessura – camino sulla destra che forma un piccolo pilastro. Dalla cima del pilastro puntare al grande diedro-camino sulla sinistra salendo prima verticalmente sulla placca ( passaggio esposto ) per poi attraversare a sinistra ( ATTENZIONE SULLA DESTRA IN ALTO SI VEDE UN CHIODO NON RAGGIUNGERLO ). Salire il diedro fino a raggiungere un tettino con fessura da superare sulla sinistra( ATTENZIONE PASSAGGIO SOVENTE BAGNATO O GHIACCIATO).
Superato il tetto salire la facile fessura fino a raggiungere la cengia con con l’ultima sosta. ( 2 spit )

Da qui salire per circa 10-15 m su blocchi rotti ma facili fino a raggiungere la cresta De Amicis

Per la discesa vi sono due possibilità :
Discesa in doppia lungo la via, con 5 doppie aeree si raggiunge la cengia posta a metà dello scudo. Attraversarla fino a prendere la cresta De Amicis per poi ridiscenderla. Attenzione sulla prima e la seconda doppia è facile incastrare le corde.
Noi all’uscita della via abbiamo raggiunto la cresta De Amicis, risalendola fino al passaggio Cretier. Da qui abbiamo attraversato sulla grossa cengia chiamata Cravatta fino a raggiungere la cresta Del Leone, per poi ridiscenderla fino al rifugio Duca Degli Abruzzi. Se si optato per questa soluzione bisogna scalare caricandosi nello zaino picca, ramponi e scarponi.

Relazione Cazzanelli François

Cresta De Amicis

In queste stupende giornate autunnali non poteva mancare una puntatina rapida sulla Gran Becca. Ieri con il mio amico Roger Bovard abbiamo ripetuto in giornata la cresta De Amicis sulla parete sud del Cervino. Bellissima cresta in un ambiente unico e selvaggio, la consiglio vivamente a chiunque voglia misurarsi con qualcosa di più ricercato e diverso sul Cervino.

Complimenti al mio socio che ha raggiunto per la prima volta la vetta della Gran Becca e per un itinerario per nulla scontato!

RELAZIONE TECNICA

Prima salita :
La prima ascensione integrale della cresta viene attribuita alla cordata guidata da Amilcare Cretier con B. Olietti e Ant. Gaspard il 7-7-1933. Purtroppo però i tre alpinisti persero la vita in discesa, a causa del brutto tempo sul passaggio ormai conosciuto come la “placca Cretier” nella zona del“Mauvais Pas” sulla cresta del Leone la via normale dal lato Italiano del Cervino.

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Difficoltà : D / 5+ max

Dislivello: dal Rifugio Duca degli Abruzzi fino al Pic Tyndall sono 1439 m di dislivello positivo, se invece si vuole proseguire per la cresta del Leone fino in vetta al Cervino sono 1676 m.

Tempi di percorrenza 7 – 8 ore.

Materiale : una corda da 45 mt, 5 rinvii,fettucce varie, una serie di friend dal #0.2 al #2, martello, qualche chiodo, piccozza e ramponi.

Relazione :
Dal rifugio Duca Degli Abruzzi prendere il sentiero che porta all’attacco della cresta del Leone, appena prima del canale Whymper piegare a destra ( tracce di sentiero e ometti ) fino a raggiungere il ghiacciaio Superiore del Cervino. Da qui attraversare il ghiacciaio al centro puntando ad una zona di rocce più chiare ( tenersi a monte dei grossi crepacci a metà del ghiacciaio ), giunti a questo punto abbandonare il ghiacciaio e iniziare a salire su rocce rotte facili puntando sempre verso sinistra fino a raggiungere il centro del grosso sperone ( si può anche salire partendo direttamente dalla base dello sperone evitando il ghiacciaio ma questo tragitto a mio avviso è più laborioso e scomodo del precedente ). Adesso puntare l’evidente colletto a quota 3558 mt e portarsi sul filo di cresta risalendo un canale. Tenere il filo di cresta e superare un primo risalto attraversando a sinistra su neve per poi prendere una facile fessura di 3 grado. Rimanere sempre in cresta e puntando ad un evidente diedro ( Passaggio Gianotti ) superare alcuni facili risalti su bella roccia. Giunti alla base del diedro del passaggio Gianotti (chiodo con cordone) salire per alcuni metri al centro del diedro fino a raggiungere una piccola piazzola, da qui spostarsi a sinistra in placca e salire diritti puntando ad una grossa fessura 5+ (svariati chiodi non buoni ) sostare alla base della fessura ( un chiodo e un friend BD numero 2 ). Salire l’evidente fessura 4+ (svariati chiodi non buoni ) fino ad una grossa terrazza piena di comodi blocchi per sostare. Da qui salire prima su blocchi facili per poi prendere un diedro al centro della parete   ( un chiodo ). Salire il diedro fino ad un tettino, superarlo e uscire in placca verso sinistra su un piccolo fessurino 5 sosta su friend.

IMG_0835Vista dall’alto delle placche del passaggio Gianotti
Salire su facili rocce rotte e terreno classico tenendo sempre il filo di cresta, fino ad arrivare alla base di un salto di roccia rossastra ( che porta all’imbocco delle cengia chiamata cravatta e alla base del passaggio Cretier) risalirlo al centro ( NON cercare di aggirare il salto a sinistra per un evidente cengia). Da qui salire su sfasciumi e portarsi al margine sinistro dell’evidente salto di roccia chiamato passaggio Cretier. Salire prima dritti puntando a due chiodi per poi spostarsi a destra e puntano la base dell’evidente diedro 4+ sosta su friend e chiodi. Salire l’evidente diedro di 4 grado fino a giungere una terrazza dove si fa sosta su due chiodi buoni. Da qui salire dritti puntando a destra di un di una grossa roccia sporgente 3 (sosta su friend) da qui risalire l’evidente diedro e superando uno strapiombetto e uscire in cresta 3+ sosta su un chiodo e friend. ATTENZIONE in queste due ultime lunghezze le difficoltà calano ma la qualità della roccia peggiora nettamente.
Da qui puntare al Pic Tyndall (dove ci si ricongiunge con la cresta del Leone) proseguendo su terreno facile con rocce rotte e sfasciumi molto friabili.

Discesa: La discesa si effettua sulla cresta del Leone la via normale Italiana.
In caso di problemi ci si può ricongiungere alla Cresta del Leone passando sulla grossa cengia chiamata “Cravatta” che taglia tutto il versante sud della testa del Pic Tyndall. Attenzione in caso di condizioni secche l’attraversata si effettua su sfasciumi molto instabili.

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La Cravatta

Note : Bellissimo itinerario classico di alta montagna, vario e in un ambiente molto selvaggio e magico quale la parete sud del Cervino. La consiglio a tutti coloro che ambiscono a misurarsi con una via più ricercata sulla Gran Becca. Non sottovalutate i passaggi Cretier e Gianotti che offrono una scalata classica ma di grande soddisfazione e non banale.

Relazione Cazzanelli François

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Tre giorni duri

Giovedì e venerdì scorso con Marco Farina e Emrik Favre ho cercato di chiudere i conti con un mio vecchio progetto. Purtroppo i sogni, sopratutto quelli più ambiziosi, non sempre si realizzano subito.

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Aprire un via nuova non è una cosa semplice e a volte richiede parecchio tempo e diversi tentativi. Complici le condizioni non proprio top e un problema col fornello che ci ha costretto ad un bivacco senza liquidi abbiamo dovuto rinunciare, nessun problema riproveremo più preparati e più motivati di prima.

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Dopo una due giorni difficile dove abbiamo messo i nostri fisici a dura prova non potevamo mancare  però al verticale più duro al mondo, quello di Fully. Quindi stanchi e assonnati alle 7 siamo partiti da Aosta per misurarci sui mille metri di rotaie più famosi della Svizzera. Alla fine chiudo con un modesto 36’24” non proprio il tempo che speravo ma sicuramente soddisfacente visto il modo in cui mi sono preparato.

Dal Cervino al Cerro Torre

La proiezione fotografica “Dal Cervino al Cerro Torre” è ormai arrivata alla sua terza serata. Giovedì 15 ottobre infatti sarà proiettata alle ore 21 nell’Auditorio Città di Studi di Biella.

Questa proiezione nata in occasione dei festeggiamenti dei 150 anni della prima salita del Cervino è stata già mostrata durante l’estate a Valtournenche in Valle D’Aosta e a Bormio in Alta Valtellina!

Non perdetevela vi aspetto numerosi!

 

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Grand Pilier D’Angle – Divine Providence

 Un sogno che si realizza!! Fin da quando ero bambino sogno questa salita, per molti la via più difficile per raggiungere la vetta del Monte Bianco. Ho tutt’ora appeso nella mia camera il poster con Arnaud Clavel e Mario Ravello che hanno ripetuto Divine con un cliente!! Una via storica aperta fra il 5 e l’8 luglio 1984 da Francois Marsigny e Patrick Gabarrou dove per poco non si sfiorò la tragedia. Mentre Gabarrou sta risalendo con le Jumar una corda nel punto chiave un friend cede e entrambi rimangono appesi per miracolo  ad un unico friend. Gabarrou (che non smentisce la sua nota devozione religiosa) ha già pronto un nome appropriato per la via. Appunto, “Divine Providence”.

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Per ripetere la via abbiamo impiegato tre giorni con due bivacchi, uno alla base del Pillier D’Angle e l’altro quasi all’uscita dello scudo dove purtroppo non abbiamo trovato acqua.

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Ringrazio i miei compagni di avventura Dennis Trento, Rudy Janin e Alex Chadel con i quali ho trascorso tre giorni stupendi su una delle vie più belle del Monte Bianco

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Per info più dettagliate consiglio la relazione fatta da Marco Majori e Bruno Mottini che potete trovare sul sito www.guidebormio.com

     

Nepal 2015

La nostra spedizione volta al tentativo di prima salita del Kimshung 6781 mt, che doveva avere inizio il 24 aprile, è stata interrotta dalla tragedia che si è abbattuta sul Nepal in seguito al terremoto.

Il nostro volo aereo che doveva raggiungere Kathmandu è stato bloccato in Oman in seguito alla chiusura dell’aeroporto della capitale del Nepal devastata dal sisma più forte mai registrato negli ultimi 70 anni, che ha fortemente danneggiato parte della città storica e provocato moltissimi morti, feriti, senza tetto.

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Siamo stati bloccati in Oman per 3 giorni ed abbiamo raggiunto il Nepal il 27 aprile, con l’incertezza di riuscire a recuperare il materiale.

La spedizione al Kimshung si è drammaticamente mutata in missione di soccorso e, più tragicamente, in recupero delle salme dell’amico e collega Oskar Piazza e della speleologa che era con lui, Gigliola Mancinelli, vittime della spaventosa valanga che si è abbattuta sul villaggio di Langtang, quello che sarebbe stato la prima meta del nostro viaggio.

Siamo rientrati in Italia il 2 maggio, lasciando a Kathmandu tutto il materiale e mettendo a disposizione della popolazione vittima del sisma la fornitura di alimenti portata dall’Italia.
Confidiamo che nei mesi estivi la Valle del Langtang ed il villaggio vengano resi nuovamente transitabili.

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La spedizione al Kimshung verrà intrapresa fra settembre ed ottobre 2015.
Un grazie a tutti voi per la vostra presenza e prezioso contributo.

Il mio pensiero va a tutte le vittime di questa immensa tragedia. Il Nepal è uno dei paesi più belli e spettacolari della terra, viaggiando nelle sue valli sembra che il tempo si sia fermato,  tra le sue montagne abita uno dei popoli più solari ospitali e gentili del mondo intero. Sono ormai legato a questa gente da un sentimento speciale che durerà tutta la mia vita, spero che queste persone  abbiano la forza di rialzare la testa anche questa volta! 

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KIMSHUNG EXPEDITION 2015

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 OBBIETTIVO


Kimshung 6781 mt versante sud – ovest Parco del Langtang – Nepal

Attempt of first ascent
D U R A T A 45 giorni.
PERIODO
Partenza 24 aprile | Primi di giugno. MEMBRI DELLA SPEDIZIONE Cazzanelli François , Corona Giampaolo. AGENZIA DI RIFERIMENTO Seven Summit Trek Expedition


DOVE


 

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Il Kimshung è una montagna invio-
lata, alta 6781 mt., situata nel mas-
siccio del Langtang in Nepal. Il mas-
siccio del Langtang si trova a nord di
Kathmandu ed è facilmente rag-
giungibile con un giorno di jeep e
tre giorni di trekking. Il campo base
dista solo 5 ore dall’ultimo villaggio,
Langtang a 3430 mt., ultimo punto
dove è possibile avere copertura te-
lefonica e recuperare al meglio dopo le giornate in quota. L’obbiettivo è quello di raggiungere la vetta, possibilmente in stile alpino, attraverso una serie di “goulotte” e canali di neve sulla parete sud-ovest. Per l’acclimatazione approfitteremo dei numerosi colli e vette adiacenti al campo base che dovrebbero permetterci di raggiungere agevolmente i 6000 metri, aiutando così la fase di adatta- mento. La decisione di provare con un team piccolo è stata una scelta difficile ma ponderata: con- frontarsi con un sistema più contemporaneo e leggero ci sembra la maniera più onesta per affronta- re questa ennesima sfida Himalayana.


 VISIBILITÀ MEDIATICA


L’intero tentativo alla cima verrà documentato mediante materiale fotografico e video, con particola- re attenzione alle popolazioni locali e ai momenti salienti della scalata. Periodicamente verrà aggior- nata la pagina Facebook ufficiale della spedizione con notizie in tempo reale, inviando degli sms at- traverso telefono satellitare. Inoltre sarà data la massima visibilità alla spedizione tramite i principali media di settore italiani ed esteri.

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Patagonia 360° – Dicembre 2014

“Ogni montagna racchiude storie: quelle che leggiamo, quelle che sogniamo e quelle che creiamo”,

Micheal Kennedy, Alpinista.

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Un sogno comune, talmente intenso che nessuno osava esprimerlo, ma tutti speravamo che la sorte ci avrebbe portato a ovest. Questo è stato per noi il Cerro Torre una montagna simbolo: la più bella, la più desiderata, la più invidiata proprio come la miss del liceo.

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La nostra avventura in Patagonia non inizia sotto una buona stella, il tempo brutto ci costringe a stare al riparo nella nostra cabanas al Chalten per diversi giorni. Ma il 27 novembre dopo l’ennesima batosta al colle Standhart decidiamo di tentare un’altra cima più riparata e veloce. Quindi il giorno seguente, dopo un’altra notte al campo Niponino, verso le 5 ci incamminiamo e alle dieci e trenta raggiungiamo la vetta dell’Aguja de l’ S. Per me è un emozione unica la prima cumbre Patagonica, non mi sembra vero. La sera, dopo una discesa nella bufera ed aver incastrato per il vento nell’ultima doppia le nostre corde, ci rilassiamo con una bella birra Rubia in paese. Il morale è risollevato ed ora siamo più concentrati e motivati di prima. Purtroppo la grinta degli alpinisti non segue alla lettera le carte metereologiche, infatti giorno dopo giorno diventiamo sempre più bravi a far blocchi ma sempre più nervosi per la meteo. Si dice che dopo la tempesta arrivi sempre il sereno, fortunatamente questa regola vale anche in Patagonia: per gli ultimi giorni di spedizione sembra arrivare una finestra, tre giorni splendi fatti apposta per scalare il Torre. Tutti ne parlano tutti si muovono la sperata “ventana” arriva!!

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Non vogliamo sbagliare, fino ad ora abbiamo conquistato 4 tentativi e una sola vetta, prepariamo tutto nei minimi dettagli e il 12 dicembre partiamo. Il primo giorno entriamo nella valle del Torre direzione Nipponino, 18 km di sentiero per arrivare a questo campo posto tra Fitz Roy e Cerro Torre. Ci sistemiamo, mangiamo qualcosina e ci infiliamo nei sacchi a pelo pronti per partire domani alle tre.
Appena calato il buio percepiamo che qualcosa non va, in lontananza sentiamo delle urla di aiuto e in tempo zero ci muoviamo. Due alpinisti italiani sono scivolati del colle Standhart e hanno bisogno di aiuto, li raggiungiamo in fretta e decidiamo di trasportarli al campo dove i ragazzi del soccorso possono raggiungerli più velocemente. Bisogna spostarli a spalle e questo richiede tempo e pazienza perché non si può rischiare di fare movimenti bruschi . Arrivati al campo li sistemiamo al meglio: diamo loro qualche antidolorifico e prepariamo subito qualcosa di caldo. I nostri amici si addormentano sereni sotto un cielo stellato in una notte calda e senza vento, però ormai sono le tre ed è arrivato il nostro momento. Lasciamo i feriti con altri alpinisti e partiamo alla volta del colle Standhart. La salita al colle è lunga 1200 mt di dislivello su ghiaccio e neve ma non presenta particolari difficoltà, arrivati su iniziamo subito le calate che ci portano a mettere piede sullo Hielo Continental. Il panorama che ci accoglie toglie il fiato: un immenso ghiacciaio che si perde all’orizzonte, scattiamo qualche foto e ripartiamo verso il colle dell’ Esperanza dove abbiamo preventivato il secondo bivacco . Ci aspettano altri 1000 metri dove iniziamo ad arrampicare su una fascia di misto facile. Arrivati sul piano sotto il colle ci fermiamo, il sole picchia fa caldissimo senza perdere tempo iniziamo a scavare la nostra truna che ci ospiterà per la notte. Finito il lavoro ci riposiamo un oretta al sole, questa notte dobbiamo partire per la vetta e ogni energia è importante. Alle sei entriamo nei sacchi a pelo e dopo un’ora la nostra caverna nelle neve inizia a gocciolare, siamo bagnati e infreddoliti ma poco importa a mezzanotte suona la sveglia e mezz’ora dopo partiamo. Scaliamo fino all’Elmo col buio, Majo è davanti e impone un ritmo regolare ma molto redditizio. Arrampichiamo tutti e tre precisi e veloci, siamo concentrati non vogliamo sbagliare, arrivati all’inizio della fascia di misto dò il cambio a Majo. Mi sento bene, sono motivato, tiro dopo tiro vedo avvicinarsi sempre di più la cima, finito il misto attacco l’Headwall un muro verticale che richiede un po’ di tempo ma superiamo anche questo tratto senza problemi. Al penultimo tiro Marco va in testa e scala un tubo di ghiaccio dove quando si inizia non si vede la fine, incredibile!! Sotto il fungo finale dobbiamo aspettare, questi ultimi trenta metri sono esposti e richiedono tempo, le cordate davanti rallentano molto. Dopo qualche minuto, di comune accordo, decidiamo di passare le nostre corde alla cordata davanti a noi e cosi fanno tutti i team, salire da primi richiede tempo e si rischia di non riuscire ad arrivare in cima. Passano i minuti e dobbiamo partire, Marco è già su e recupera le nostre corde, saliamo il più in fretta possibile come se non ci fosse un domani e ad un tratto la vediamo!!!

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Ci aspettiamo, ci abbracciamo e saliamo sulla vetta assieme sono le 13.30 del 14 dicembre 2014: siamo sulla vetta del Cerro Torre!!!!! Un emozione unica, non sappiamo cosa dire vorremmo restare li per sempre in silenzio. Dopo alcune foto ci riprendiamo e iniziamo a scendere: la discesa è lunga, difficile e ci aspetta ancora un bivacco. Alle 10.30 di sera raggiunto il Circo De Los Altares decidiamo di fermarci per la notte : non fa freddo e neanche vento ci addormentiamo sui sassi con alle spalle il Torre. Alle 4.30 però suona la sveglia, non è ancora finita bisogna valicare il passo Marconi prima che arrivi il brutto. Camminare sullo Hielo Continental è una galera la neve non ha gelato e ad ogni passo sfondiamo la esile crosta superficiale. Le ore passano, senza che ce ne rendiamo conto passano anche i chilometri e alle 21.45 arriviamo al ponte sul Rio Elettrico. Finalmente possiamo dirlo abbiamo scalato il Cerro Torre!!

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Questa spedizione è stata incredibile, personalmente andare per la prima volta in Patagonia e scalare il Cerro Torre è un emozione immensa. In questi quarantacinque giorni il nostro piccolo gruppo ha dimostrato di essere unito, motivato e di avere tutte le carte per crescere e migliorare ancora molto. Aver avuto la possibilità di stare parecchi giorno a scalare e parlare col GMHM di Chamonix ci ha unito molto e ci ha dato la possibilità di crescere assieme.

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Ringrazio tutti i miei sponsor e tutto il Centro Sportivo Esercito che mi hanno permesso ancora una volta di realizzare uno dei miei sogni

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29 novembre 2014 Vetta dell’Aguja de l’S per la via Austriaca

14 dicembre 2014 Vetta del Cerro Torre per la via dei Ragni

Alpinisti: François Cazzzanelli, Marco Farina, Marco Majori.

La spedizione Patagonia 360° è stata organizzata della Sezione Militare di Alta Montagna del Centro Sportivo Esercito di Courmayeur

Patagonia 360°

Patagonia  360°
Si riparte!! Sembra solo ieri, ma ormai è già da qualche mese che ho chiuso i miei bidoni a Kathmandu dopo il Kangch, un’ avventura immensa con dei compagni stupendi dove ho vissuto due fra i mesi più belli della mia vita. L’estate scorre veloce e la mia voglia di nuove sfide ritorna più forte che mai. Quindi sono di nuovo qui che preparo i bagagli e riordino il materiale per una nuova meta la Patagonia. Questa volta oltre a ramponi, scarponi e picche non ci sarà il tutone d’alta quota ma le scarpette. L’incognita questa volta non sarà data dall’alta quota ma ben si dall’isolamento e dalle difficoltà tecniche con le quali andremo a confrontarci.
Sto per partire con Marco Farina Marco Majori e Remo Armano verso la Patagonia: una terra meravigliosa sulla quale ho letto e ho ascoltato storie di scalate incredibili. Pareti selvagge, guglie di granito rosso che tagliano un cielo blu pastello e ghiacciai immensi tormentati di crepacci e seracchi: questo è il menu che ci aspetta. Siamo motivati e in piena forma, le ultime salite ci hanno dato una grande carica oltre ad averci regalato emozioni uniche. Cercheremo di sfruttare al meglio le finestre di bel tempo che ci arriveranno, infatti non abbiamo programmi precisi ma solo tanta voglia di scalare e dare il meglio di noi. Rimarremo quaranta giorni in Argentina quaranta colpi da sparare e giocarci al meglio.
Un ringraziamento speciale va ai miei sponsor e al Centro sportivo esercito di Courmayeur che un’altra volta mi danno l’opportunità di inseguire i miei sogni.

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Beal

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Da questo mese io e il mio socio Marco Farina siamo atleti del team Beal !

Questa occasione ci rende felici e soddisfatti, Beal con le sue corde

leggere e affidabili è una garanzia su tutti i terreni e ci aiutera moltissimo nei nostri prossimi progetti.

Abbiamo già scalato in falesia con l’Opera 8,5 mm e su alcune goulotte

nel massiccio del Monte Biancon con le Gully da 7,3 mm.

Grazie mille!

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Naso di Zmutt Via Gogna Cerruti

Disarmante…Immenso…

Il più grande strapiombo delle Alpi Occidentali“ così Patrick Gabarrou definisce il Naso di Zmutt: una parete misteriosa e austera incassata nell’immensa muraglia del versante Nord del Cervino. Difficile da decifrare, ogni volta che cambia la luce sembra che la sua forma muti ed escano nuovi diedri e tetti. Una sfida completa, severa, dove nulla è scontato in un ambiente tra i più repulsivi che abbia mai visto. Fin da quando sono bambino ho letto su libri e riviste i racconti delle sue rare salite, essere riuscito a scalarla è la realizzazione di uno dei miei sogni.

 

Tutto comincia con un messaggio su Whatsapp di Marco Majori il 21 settembre 2014 a me e Marco Farina: “ Cosa pensate di fare questa settimana ?” dopo qualche battuta e scambio di idee il piano è deciso: andiamo a vedere il Naso di Zmutt. Da lì nella mia testa hanno iniziato a girare un sacco di pensieri: “ Sarà pulita la parete? A chi chiedo? Saremo capaci di uscire? La via sarà tutta a posto o sarà crollato qualcosa come spesso accade sul Cervino?”Penso un po’, parlo con Marco, poche storie l’unica cosa da fare è partire e andare a vedere, qualcosa faremo.

Il 25 settembre ci ritroviamo tutti a casa mia, prepariamo gli zaini, beviamo un caffè e ci muoviamo subito verso il colle del Breuil. Arrivati al rifugio dell’ Hornli ci aspetta una spiacevole sorpresa: il campo base provvisorio, installato poiché i proprietari del rifugio stanno compiendo delle ristrutturazioni , è chiuso! Iniziamo bene: già un bivacco la prima notte. Non ci scoraggiamo, ci sistemiamo al meglio e alle 4 iniziamo a muoverci. Attacchiamo la prima parte della via al buio: si comincia subito con dei pendii belli dritti che conducono ad una goulotte ripida ma con ghiaccio ottimo. Superato il canale ghiacciato con quattro lunghezze iniziamo ad attraversare verso sinistra per portarci alla base del Naso. Giunti sotto lo strapiombo la vista è impressionante: si ha la sensazione che il tetto in ogni momento possa chiudersi su se stesso inghiottendoti. Il freddo pizzica e i movimenti sono rallentati, Majo fa un movimento sbadato in sosta e perde un guanto. Da qui in avanti Marcolino passa al comando e iniziamo a scalare su roccia, la giornata è lunga e dopo aver superato un diedro in artificiale con le ultime luci del giorno arriviamo alla esile cengia dove Alessandro Gogna e Leo Cerutti bivaccarono per la seconda volta. Ci fermiamo e iniziamo a sistemarci per la notte, assicuriamo una corda dove possiamo appenderci e sistemare il materiale, ripuliamo dalla neve i nostri piccoli scalini, prepariamo da bere e mangiamo. Ci aspettano ore interminabili, ma non c’è vento e una stellata fantastica ci fa compagnia, sulla cengia troviamo un sacco di materiale abbandonato: chiodi moschettoni e corde, testimonianze indelebili di vecchi tentativi. Scorre il tempo e alle 6 di mattino ancora al buio siamo di nuovo in azione, con ordine e calma prepariamo da bere, smantelliamo il bivacco, mangiamo qualcosa e ripartiamo. Marco è di nuovo davanti, si comincia con un muro compatto, solcato solo da una piccolissima fessura che ci costringe ad usare le staffe. Il nostro socio scala veloce e sicuro, Majo ad un certo punto commenta dicendo: “ Faina scala come se non ci fosse un domani…che livello!!” Passano le ore e i tiri si susseguono veloci, purtroppo non ne vediamo mai la fine, ci scambiamo due battute per fare morale : “ Ma se chiamassimo l’elicottero?” Marco “ Piuttosto Crepo, ma sull’elicottero non salgo”.

Il morale è alle stelle siamo motivatissimi e improvvisamente ci troviamo al sole alla base dell’ultimo salto: sono le 17:30 dobbiamo muoverci. Farina si supera un’altra volta e alle 18:15 arriviamo al bordo del Naso, ma purtroppo non è ancora il momento di esultare perché dobbiamo raggiungere con la luce le tracce della cresta di Zmutt. Mettiamo i ramponi e prendiamo in mano le picche, saliamo velocemente su terreno misto e appena accendiamo le frontali troviamo le tracce che escono dalla Schmidt, da qui però mancano ancora 250 mt di dislivello fino alla vetta e la stanchezza inizia a farsi sentire. La progressione diventa più facile e la concentrazione cala, Majori perde un secondo guanto che sparisce nel buio della notte, io recupero alla rinfusa le corde e in ben due soste le corde si aggomitolano facendoci perdere minuti preziosi. Dopo qualche cappellata alle undici di sera giungiamo tutti e in vetta al Cervino, siamo gasati ma tuttavia consapevoli di dover mantenere alta la concentrazione per la lunga discesa Notturna. Beviamo un the, mangiamo qualcosa e siamo di nuovo concentrati per la discesa: per riposarci dobbiamo arrivare alla capanna Carrel. La notte è perfetta, non fa freddo, non c’è neanche una bava di vento, scendiamo con calma senza prendere rischi e alle cinque di mattino mettiamo piede in capanna, giusto il tempo di bere una coca e ci buttiamo nei letti. Il giorno dopo alle 9 siamo svegliati da mio papà che ci è venuto incontro, rifacciamo gli zaini e scendiamo, per le una abbiamo le gambe sotto il tavolo a casa mia.
Che avventura! Siamo euforici e soddisfatti la nostra dovrebbe essere la decima ripetizione assoluta e prima italiana. Non abbiamo ancora realizzato bene quello che abbiamo fatto questa salita mi rimarrà per sempre nel cuore, sicuramente è la via più completa e severa che io abbia mai affrontato fino ad ora: un viaggio mistico nel cuore de Cervino dove nulla è scontato e banale. Complimenti agli apritori che nel 1969 si sono superati aprendo una via futuristica e complicata che sicuramente ha portato un passo avanti l’alpinismo dell’epoca.

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Salite al Naso di Zmutt, via Gogna-Cerruti ( Elenco aggiornato fono al 30 settembre 2014)

1a) 14-17 luglio 1969 Alessandro Gogna e Leo Cerruti
2a) 21-28 gennaio 1974, 1ª invernale 74 Edgar Oberson (Sui) e Thomas Gross (Che)
3a) 12 e 13 luglio 1982 lo svizzero André Georges sale la Gogna-Cerruti in prima solitaria
4a) 17 e 18 luglio 1986 Jean-Marc Boivin e André Georges concatenano in 24 ore la cresta nord-nord-ovest della Dent Blanche e di Naso di Zmutt per la via Gogna-Cerruti
5a) 23-25 agosto 1989 Hans Lanters e Roland Bekendam (Olanda)
6a) Simon e Samuel Anthamatten
7a) settembre 2010, in 14 h dal rifugio del Hornli , Patrick Aufdenblatten e Michael Lerjen-Demjen
8a) 8-11 marzo 2011 Cédric Périllat-Merceroz con Patrice Glairon-Rappaz (2a invernale ma 1a invernale stile alpino)
9a) 3-5 ottobre 2011, Cyrille Berthod con Nicolas Jaquet
10a) 26-27 settembre 2014, François Cazzanelli, Marco Majori e Marco Farina
11a) Ottobre 2014Sebastien Rattel, Julien Ravanello

Elenco ripetizioni originale a cura di Alessandro Gogna, aggiornato Maggio 2016 a cura di François Cazzanelli.

Combinaison Michto – Polonaise

Secondo giro stagionale sulla Nord delle Grandes Jorasses!
Martedì 16 settembre con Marco Farina abbiamo salito la Combinazione Polonaise – Michto.
La Michto è una bella variante della via Polonaise aperta da Jean Christophe Lafaille e Françoise Aubert il 2 Marzo del 1997.
Bellissima via in condizioni perfette,i tiri centrali sono severi ma offrono un arrampicata divertente in un ambiente eccezionale.
Con Marco abbiamo salito la via rapidamente e alle 3 eravamo già a Courmayeur a bere una birra!
Questi sono ottimo allenamenti per il nostro progetto autunnale e non è detto che a breve non torneremo sulle Jorasses!!

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Colton-Macintyre

La Colnton – Macintyre è una delle vie più belle e famose della parete Nord delle Grand Jorasses. Aperta il 6 -7 agosto del 1976 dai due fuori classe Inglesi (Nick Colton e Alex Macintyre) dopo un tentativo di Bonnington e compagni nel 1972 durato ben 17 giorni.
La parete è in ottime condizioni e quale miglior occasione del ritiro a Courmayeur della Sezione Militare di Alta Montagna per ripeterla. Io Marco e il Cote (Majo) siamo in forma e motivati quindi finite le riunioni e un paio di arrampicate in Valle D’Orco come da programma partiamo! Mercoledì sera siamo al Lescheaux e a mezza notte e mezza scattiamo. Arrivati alla base della parete iniziamo a scalare. Inizio io, e saliamo al buioi tutta la prima parte e arriviamo con le prime luci alla partenza della secondo goulotte. Da li un super Majo si mette in testa e ci porta fino all’attacco della fascia di misto. Da li il più è fatto e Marco agilmente scala in velocità gli ultimi metri e alle 12.30 siamo tutti e tre in vetta!! Da li ce la prendiamo comoda e alle 18.00 spaccate siamo in Val Ferret a bere una buona birra con Ettore, che ci è gentilmente venuto a prendere.
Adesso qualche giorni di riposo ma il raduno finisce il 10 settembre…Chissà se il tempo ci aiuterà a combinare ancora qualcosa?!

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Furore

Stupenda giornata nel Vallone di Piantonetto. Oggi con Marco Farina abbiamo percorso Furore una via ingaggiosa sul Becco di Val Soera.

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Hold the Line

Due belle prove per il film sul Kangch!
“Hold The Line” è stato proiettato in due serate venerdì 22 agostonella sala delle biblioteca regionale di Aosta, e domenica 25 ad Ayas. Due belle serate con abbondanza di pubblico!
Ringrazio la Montura ed in particolar modo Marco Di Bello e Cristian Fiou e il Consorzio Turistico di Ayas per averci aiutato ad organizzare questi die eventi!

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XVII Cervino Cinemountain

Il film sul Mezzalama di Angelo Poli ha vinto il premio del pubblico al XVII Cervino Cinemountain!
Una fantastica esperienza vissuta con la mia famiglia, finita nel migliore dei modi!! Ringrazio Adriano, Angelo e Mario che ci hanno fatto vivere questa bella avventura!!!

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XVII Cervino Cinemountain

Ieri sera presso il cinema Des Guides a Breuil Cervinia in occasione del Cervino Film Festival è stato proiettato il film sul Trofeo Mezzalama. Il film intitolato “Mezzalama Maratona di Ghiaccio” prodotto da Giuma ha ottenuto un grande successo! Il film racconta la gara attraverso gli occhi di mio padre, mia sorella e me che corriamo la gara in tre squadre differenti, con obiettivi diversi, ma che allo stesso tempo viviamo lo stesso sogno e la stessa passione! Bellissima serata ringrazio i registi, Nicolò Bongiorno, Adriano Favre, Luca Bich,tutta la commissione del Film Festival e tutto il pubblico presente in sala. Ci avete fatto passare una stupenda serata!
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Serata Valtournenche

Ieri una giornata lunga tutta dedicata alla montagna!
Al mattino tappa sul Grand Capucin col tremendo Isaie Maquignaz, la sera la prima proiezione del film “Hold The Line” sulla nostra avventura al Kangch!
Il film montato da Luca Di Meo con uno stile simpatico e moderno racconta la nostra avventura durata due mesi su questa enorme montagna. Per tutti noi è stato un onore avere sul palco : Rinaldo Carrel, Antonio Carrel, Luigi Pession e Giuliano Trucco. Giuliano e Luigi hanno partecipato alla spedizione Valdostana del 82 al Kagch invece Antonio ha programmato tutta la logistica. Grazie mille a tutto il pubblico adesso vi aspettiamo numerosi il 24 a Champoluc e il 25 ad Aosta! Un ringraziamento particolare va a Luca che anche questa volta si è superato con un video fantastico!

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Hold The Line

“Hold The Line” il film sulla nostra avventura al Kangch è finalmente pronto!
Il video prodotto dal Filmeaker Luca Di Meo, verrà proiettato mercoledì 6 agosto nel centro congressi di Valtournenche non perdetelo!!

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Gita a Freidrichshafen

L’undici e il dodici luglio la Sezione Militare di Alta Montagna ha fatto visita alla fiera dell’aut door a Freidrichshafen in Germania.
Una bella occasione per rivedere i miei sponsor dopo la spedizione al Kangch.
Ringrazio Grivel, Scarpa e Montura per la calorosa accoglienza offertaci nei loro stand!
É anche grazie a loro che posso realizzare i miei sogni in montagna!

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Eau et Gas

Siamo ancora sul Grand Capucin oggi abbiamo percorso le prima 7 lunghezze di “Eau et Gas á tout les etages”
Con Marco Farina e il mitico Cispone

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élixir D’Astaroth

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il 4 luglio io e Marco Farina abbiamo ripercorso al Grand Capucin élixir D’Astaroth  aperta da Piola, Steiner e Vogler nel 1981. Questa via viene definita sia da Bassanini che da Piola la via più elegante e diretta del Grand Cap. Una via fantastica  poco ripetuta e selvaggia,la scalata è stupenda su granito ottimo. Le soste sono quasi totalmente da attrezzare e la scalata è impegnativa in quasi tutte le lunghezze.

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Ecco la Relazione di Marco Farina:

Relazioni delle lunghezze sopra le cenge

1°- 6a. Superare il tetto sulla sx, lasciare gli spit di Flagrant délire sulla sx e deviare verso il camino fessura sulla dx. Al suo termine sostare. Sosta con 2 chiodi – Abbastanza Scomoda.

2°- 6b. Traversare subito a dx, si protegge bene con friends medio piccoli, poi passaggio su piedi (sempre in traverso) porta ad una lama fessura che si sale per 4/5m. Sostare su di un cengia inclinata. Sosta con 3 chiodi e un nut – Comoda più a dx!!

3°- 6a. Salire dritti per una fessura, poi una placca porta ad un muretto solcato da una fessurina di pochi metri che si sale da dx verso sx. Sosta con 3 chiodi – Abbastanza Scomoda sotto tetto grigio.

4°- A0. Traversare subito a dx, (un nut incastrato) poi si sale di 1m e si traversa di nuovo a dx 1 chiodo con cordone sbiadito, poi uno spit, da questo, si sale dritti su due corte fessure parallele fino ad un chiodo, traversare a dx per 2 metri fino a prendere uno spit. Fin qui in libera 7a. Qui c’è la possibilità si sostare sullo spit e aggiungere un friend 0.5 camalot.( Abbastanza Scomoda) Se no, dallo spit si continua dritti, 2 chiodi, 1 spit, 1 chiodo, 1 copperhead con fettuccia e 1 chiodo, da quest’ultimo chiodo con l’aiuto della fettuccia si pendola verso sx e si arriva a prendere un altro spit, 1m e si è in sosta. Sosta con 3 chiodi. Comoda.

5°- 6c. Salire dritti sulla fessura e dopo 10/15m si sosta su di una comoda cengia, sosta con 2 spit. (a dx della sosta c’è 1 spit solo, x unire il tiro ??). Sosta Comoda.

6°- 7a+. Salire l’evidente fessura fin sotto al tetto. Traversare verso dx sotto il tetto e una volta usciti continuare sulla fessura immediatamente sopra il tetto. La si sale tutta fino a trovare dei knobs, la sosta si trova leggermente (2 metri) a sx sopra i knobs. Sosta con 2 chiodi e fettuccia larga vecchia. (P.S. Dall’uscita del tetto, si può traversare a prendere il fessurone nel diedro a dx, lo si sale e al suo termine traversare a sx sui knobs. Da qui ancora 1o2m a sx c’è la sosta) – Abbastanza Comoda.

7°- 6a+ Salire dritti, facile, fino a trovare una sosta con 2 chiodi e cordino arancio/giallo…si può continuare il tiro, seguendo la fessura lama, si protegge con 2 aliens blu e verde, poi si sale fino a trovare 2 chiodi accoppiati. Da qui un traverso a sx di 8/10m porta alla sosta dell’Echo…Sosta con 2 spit catena e anello – Sosta Comoda.

MATERIALE: una serie di friends camalot C4 dallo 0,5 al 3 doppiare dallo 0,3 al 0,5 triplicare
dallo 0,75 al 2.
una serie di camalot C3 e chi vuole una serie di Aliens !
8 rinvii e 6/7 fettucce per il tiro di artificiale..utile il martello per ribattere i chiodi!

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Hold The Line

Ecco il Trailler del Film sul Kangchenjunga che verra trasmesso in prima assoluta a Valtournenche il 6 agosto

Il film si chiamerà “Hold The Line” e sarà prodotto dalla Luke’s Lab!

Non perdetelo vi aspetto numerosi!

 

Due belle serate

Venerdì 13 giugno presso l’hotel Cristallo di Breuil Cervinia ho incontrato i ragazzi delle scuole elementari di Bergamo. Con genitori e insegnanti ho parlato hai ragazzi del mestiere della Guida Alpina e ho mostrato loro il video sulla nostra spedizione allo Churen ” La nostra via”.

Il giorno dopo sono stato invitato ad una piacevole serata in compagnia dei membri del Panatlhon di Aosta dove abbiamo parlato della mia ultima esperienza al Kangchenjunga. Ho mostrato loro il film ” Passione Amore il Mestiere dell’Alpinismo” del filmmaker Luca di Meo.

Sono state due serate davvero piacevoli ed emozionanti ringrazio tutti quanti per avermi ospitato!P1010862P1010855P1010860

Sulla via del ritorno

_DSC3694 2014-05-29 – Giovedì Kathmandu Sono in albergo, sono le 06.00 e sono già in piedi, ancora seguo i ritmi del sole e il caldo della città mi rende difficile dormire. I letti li ha scelti Emrik e sarà un caso ma dal mio lato le tende non fanno il loro lavoro e un fascio di luce sbatte proprio sul mio cuscino. Sono nel letto e fa già troppo caldo; è presto, troppo presto anche per la colazione. Allungo la mano e dal comò prendo il mio diario e la penna. Oggi è l’ultimo giorno qui in nepal, la spedizione valdostana al Kangchenjunga 2014 è giunta alla fine. Corro su e giù per thamel la lista dei regali sembra più lunga delle corde che usiamo per scalare, “ma quanti parenti ho?” CONTINUA… _DSC3686

Due Mesi di Kangch – Aprile/Maggio 2014

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Due Mesi di Kangch

Sembra sempre che il tempo voli, ma quando si è in attesa dell’occasione giusta per realizzare un sogno questo sembra fermarsi: così è stato per noi allo Yalung Base Camp 5400 m di quota. Questa montagna viene definita la “montagna dei valdostani”, infatti è stata fatta proprio da due guide valdostane la prima salita Italina. Il 3 marzo 1982 Innocenzo Menabreaz “Nio” Di Valtournenche e Oreste Squinobal di Gressoney arrivarono in vetta di questo colosso Himalayano. Quindi una motivazione in più per dare il meglio di noi. Il Kangch è una montagna immensa e complessa, non è mai banale ne scontato trovare la via giusta nei sui immensi seracchi. Inoltre nella parte finale i migliori alpinisti al mondo hanno sbagliato confondendosi nei numerosi canali che portano alla vetta, ma la beffa è che solo uno è quello veloce e sicuro per arrivare in cima.

IMG_3740Abbiamo lasciato l’Italia il 2 aprile e dopo solo quindici giorni siamo giunti al campo base, effettuando un trekking lunghissimo e selvaggio, con la stagione ancora in ritardo quindi con tantissima neve e un freddo che ci penetrava nelle ossa.

Siamo partiti subito forte aprendo, le danze sulla montagna, durante le prime due tappe di acclimamento siamo stati il team più attivo, quello che ha raggiunto la quota maggiore. Una sera purtroppo ci giunge un messaggio dal nostro meteorologo Victor Baia: 9 giorni di brutto, siamo in silenzio, nessuno parla, il dispiacere e il nervosismo sono sui volti di tutti: “che facciamo?” dopo un attimo di silenzio generale riprendiamo le carte, ricominciamo a ridere e scherzare è inutile fasciarsi la testa! Il nostro gruppo aveva già preso un brutto colpo a causa dell’abbandono del nostro “veterano” Franz Nicolini, costretto al rientro da problemi fisici e lavorativi.
Dopo 9 giorni di stop al base con tempo brutto decidiamo di rompere gli indugi e saliamo al campo 2: la neve è alta, il vento è forte, infatti le altre spedizioni non si muovono, siamo l’unico team sulla montagna, arriviamo al 2 con un vento che ci schiaccia a terra, ci infiliamo in tenda e con la solita routine facciamo acqua, mangiucchiamo qualcosina e ci infiliamo nei nostri sacchi a pelo.

Durante la notte inizio ad avere caldo, sudo, ed esco dal sacco a pelo, com’è possibile avere caldo alle 2 di notte a 6900 m?! Mi accorgo di avere la febbre alta, chiamo Emrik che mi dà subito un paracetamolo ma non passa, la mattina devo scendere! La discesa non è stata facile, al campo base mi faccio visitare dal dottor Carlos Martinez, membro della spedizione spagnola, purtroppo mi trova una brutta infezione alla sinusite, inizio subito la cura con l’antibiotico e tanti anzi tantissimi fumenti! Nel frattempo è arrivata la notizia che dal 17 al 19 maggio è prevista una finestra di bel tempo, per provare la cima non c’è tempo da perdere bisogna guarire.


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La febbre sparisce e la sinusite va meglio, il 15 mattina finisco la cura e alle 6 dello stesso giorno partiamo dal base col coltello tra i denti, motivati e pronti a dare il massimo!

Ogni cosa procede come da programma e a metà pomeriggio siamo al due, ma

per complicarci un po’ la vita durante la notte si alza il vento e subito ci arriva un messaggio di Baia “Fermi tutti il giorno per la cima slitta di uno, il vento è ancora troppo forte”. Questa notizia ci preoccupa tutti: 24 ore fermi al campo due a 6900 m può essere devastante, a quelle quote si mangia e si beve poco così anche stando fermi il fisico si debilita. Le ore passano lente ci spostiamo tra dentro e fuori dalla tenda, le parole sono scarse, ognuno pensa per se, la tensione è alta, la nostra sfida col Kangch è iniziata: per ora lui è in vantaggio.

Il 17 maggio ci svegliamo immersi in una splendida giornata: il sole è alto e il cielo ci sembra blu come non mai. Alle 11 partiamo direzione campo tre, ogni volta cerchiamo di ridurre al minimo il materiale ma lo zaino pesa sempre, saliamo in un labirinto di seracchi e crepacci e alle 14.30 siamo arrivati a destinazione a 7200 m. Montiamo la nostra tenda mono telo e iniziamo a fare acqua, ma non riusciamo a mangiare niente e beviamo poco, qui la quota si fa sentire in tutte la sua violenza. IMG_3924Ci sistemiamo nella nostra tenda che è molto piccola, in tre siamo stretti, abbiamo un paio di materassini e niente sacco a pelo. Alle otto di sera chiamo Confortola che è nella tenda vicina col suo Sherpa Passang “Marco partiamo” “ok ci sono”, secondo il nostro piano io e il “Confort” saremmo stati i primi a muoverci. Esco dalla tenda la luna illumina lo Jannu e nel canale si vedono le pile delle spedizioni commerciali che salgono in fila una dietro l’altra. Mi emoziono, lo spettacolo mi lascia senza parole, saluto Marco e Emrik “Qui è bellissimo io vado ciao e decisi”. Non sento il freddo salgo regolare cercando di respirare il più possibile, arrivo alla base del canale dove mi superano un gruppo di alpinisti con l’ossigeno, tra me e me in quel momento li ho invidiati e non poco, la pendenza aumenta e inizio ad appoggiare la punta della picca sulla neve. Sono due ore che cammino e sento che qualcosa non va, inizio a faticare tantissimo il numero di passi che riesco ad inanellare consecutivamente cala di volta in volta, passato un tratto ripido salto sul margine del crepaccio terminale, l’altimetro segna 7500 m. circa.IMG_3766 Mi riposo un attimo e riparto, le mie sensazioni peggiorano sempre più mi sento stanco, debole, ad ogni passo devo fermarmi e le mie soste sono sempre più lunghe. È mezzanotte e mezza l’altimetro segna 7800 m. sono stravolto e inizio a perdere lucidità basta devo scendere. Mi appoggio alla neve sono sulle punte dei ramponi mi riposo scatto due foto e alcune immagini nel buio, nel frattempo arriva Marco: concentrato e motivato ha negli occhia solo la cima. Due parole veloci e riparte come un treno la sua energia mi lascia senza parole “attacca Marc!”.

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Marco Camandona in vetta al Kangchenjunga

Cinquanta metri sotto vedo una pila che si avvicina mi raggiunge è Emrik: non ha una bella cera, la faccia è provata, mi dice che ha freddissimo ai piedi e non li sente più! Ci guardiamo negli occhi e senza parlare capiamo che la nostra avventura al kangch finisce li, a metà canale a 7800 m. Iniziamo a scendere piano il pendio è ripido e richiede la massima attenzione. Arrivati al campo 3 abbiamo una spiacevole sorpresa: la nostra tenda è sparita, portata via dal vento, allora giù verso il due Emrik si è un po’ ripreso e a un passo decisamente più forte del mio. Arrivati al campo notiamo che ci è rimasta solo una bomboletta di gas e un materassino (avevamo portato tutto nella tenda volata via) che fare?! Decidiamo di lasciare tutto li per Marco che nel frattempo stava salendo verso la vetta. Allora giù e ancora giù, è una nottata fantastica la luna illumina tutte le montagne e crea uno spettacolo incredibile. Alle 5:30 del mattino siamo al campo base, svegliamo subito Biman, il nostro cuoco, come gli ubriachi che rientrano da una serata ci facciamo preparare un piatto di pasta gigantesco. Finito ci buttiamo nei nostri sacchi a pelo e dormiamo tutto il giorno. La sera ci arriva una chiamata di Marco via radio “Sono al due, ho fatto la cima” però non riusciamo a rispondergli. La mattina dopo decido di andare incontro ai nostri soci con un po’ di coca cola e acqua gasata, a quelle quote entrambe sono oro. Al campo 1 trovo Marco stanco ma felicissimo per la cima, dopo un ora arriva anche “Confort” è stanco, un po’ amareggiato ha dovuto rinunciare alla vetta a 8300 m. circa per il freddo. La sera siamo tutti assieme al base l’indomani iniziamo a preparare i nostri bidoni, è arrivato il momento di tornare a casa! Il 21 iniziamo il ritorno: siamo tutti provati più che un trekking sembra la ritirata di Russia ma siamo felici di ritornare dai nostri cari, due mesi sono lunghi e adesso siamo stufi e finalmente la mattina del 30 maggio atterriamo a Milano.

Il Kangch mi ha dato molto, è stata una grande avventura. Sinceramente anche non toccando la cima sono molto soddisfatto perché ho capito che il mio fisico si adatta bene all’alta quota, questo è un aspetto assai importante che mi dà ancora più motivazioni per le prossime spedizioni. Sono felice per Marco che ha raggiunto la vetta del suo sesto ottomila dando una grande prova di carattere e determinazione, ma in fondo la sua vittoria è un po’ quella dell’intero gruppo che fino alla fine è stato unito e affiatato. Torno a casa stanco ma felice e con la certezza che prima o poi ritornerò su questa montagna per arrivarvi in cima!!!!

Ringrazio i miei compagni di spedizione che mi hanno trasmesso tanto e tutti i miei sponsor che mi hanno permesso di vivere questa fantastica esperienza.

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Colgo l’occasione per ringraziare il Colonello Marco Mosso, il Colonello Remo Armano, il Luogotenente Ettore Taufer e tutto il Centro Sportivo Esercito di Courmayeur.

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Spedizione Valdostana 2014 02-04-2014 // 30-05-2014

• Emrik Favre

• Marco Camandona

• Marco Confortola

• François Cazzanelli

• Franco Nicolini

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Si Riparte

Eccoci finalmente é il grando giorno! Chiuso un fantastico Tour del Rutor con mio cugino Teto adesso sono concentrato per il Kangch! Oggi alle 11 partiremo, da qui in avanti tocchera a noi! Sono motivato e in forma! Il nostro progetto è ambizioso e difficile ma ce la metteremo tutta per arrivare in cima!!! Per due mesi vivremo emozioni intense che ci lascieranno un ricordo indelebile!

Ringrazio tutte le persone che mi hanno aiutato a realizzare questo sogno! Un ringrazimento speciale va a tutti i miei sponsor!!!

 

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Ultimo allenamento

Ieri ultimo allenamento e test materiali sul Monte Rosa! Salita veloce al Breithorn per provare i miei nuovi scrponi dall’alta quota Scarpa! Subito ottimo feeling e buone sensazioni ringrazio gli amici di Scarpa che anche questanno saranno con me! Adesso Tour del Rutor e poi si parte!!!!

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La gola dei briganti

Oggi bella giornata di ice climbing!
Assieme a Rémy,Roby e Davide siamo andati a vedere questa linea nascosta!
Condizioni buone e divertimento assicurato!!

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14 febbraio un po’ speciale

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Per il giorno di San Valentino ho organizzato una serata diversa, un po’ speciale. Il ritrovo al ristorante Alpage di cervinia dove Barbara e il suo team ci hanno preparato una cena a base di prodotti tipici della Valle D’Aosta. Io ho portato computer, proiettore e un po’ di amici! Luca, il regista, ha portato il film: “passione Amore – il mestiere della montagna” il documentario che abbiamo realizzato la scorsa estate (agosto -2013).

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Nonostante alcuni problemini tecnici, audio troppo basso , problema di cui ancora mi scuso, la serata è stata piacevole e divertente. Ho colto anche l’occasione, insieme ai miei compagni di cordata, per presentare la nuova spedizione che partirà il prossimo aprile 2014 con destinazione il nepal … (per maggiori informazioni leggete questo articolo). Ringrazio mia Zia Barbara Maquignaz e Lorella Tamone per l’ospitalità e l’impeccabile organizzazione! É stata una bella serata di montagna, una festa diversa per il giorno degli innnamorati

François

15-02-2014

Proiezione 14 Febbraio

volantino-francoisSiete tutti invitati il giorno 14-02-2014 al ristorante Alpage di Cervinia!

Dove proietterò il film “Passione Amore – Il Mestiere della Montagna” nel quale sono protagonista di tre avventure passate in montagna con i miei compagni di scalata tra il 2012 e 2013. Ricordatevi di prenotare!

Vi aspetto numerosi!

Scarica la locandina QUI

per informazioni e prenotazioni:

+393348094201

info@alpage-cervinia.com

Per adesso posso solo rimandarvi al trailer del film:

 

Riacamo

Per i miei 24 anni una bella cascata col vecchio Roby!!
Riacamo Cogne bellissima!!

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Pic Tyndall 4264mt – Via Casarotto-Grassi

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via Casarotto-Grassi ( ED 1300mt )

Relazione di Roberto Ferraris

 

Accesso: dal paese di Cervinia 2006mt, portarsi alla base della parete sud del Cervino sotto la verticale della cresta Deffeyes a quota 3100mt. Salire il lungo canale-parete di ghiaccio e roccia per 600m per arrivare alla base del triangolo che fa scudo al Pic Tyndall. Salire delle placche striate ed arrivare alla base di un muro verticale. Salire il muro e portarsi verso destra tramite una specie di cenge. Continuare a traversare verso destra fino alla base di un piccolo diedro verticale con un chiodo grigio a due metri d’altezza.

 

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Superare il diedro, ( variante Farina a destra su roccia più sana ) ed arrivare alla base di un diedro-fessura con due chiodi rossi ad una decina di metri d’altezza. Dall’uscita del diedro portarsi sul filo dello spigolo ( via originale ) e continuare fino in cresta. La variante ( Farina-Cazzanelli-Ferraris 2012 ) invece di continuare in cresta, dall’uscita del diedro salire dritti in parete e dopo una sessantina di metri piegare verso destra per 40mt. Traversare su di una placca per 5 metri chiodo e tirare dritti e puntare ad un diedro aperto ad una cinquantina di metri d’altezza. Superare un tratto verticale con roccia pessima un chiodo ed entrare nel diedro ben fessurato un chiodo all’inizio del diedro verso destra. Per rocce rotte ed uscire in cresta a quota 4100mt.

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Materiale: una serie di friends dallo 0.4 al 2, fettucce, qualche chiodo, piccozza e ramponi.

 

Discesa: dall’uscita in cresta puntare alla cima del Pic Tyndall, alla cravatte c’è la possibilità di tagliare la testa del Tyndall e portarsi sulla cresta del Leone.

Curriculum

Arrampicata sportiva

Raggiunto il grado di 8a lavorato e 7b+ a vista.

Arrampicata su ghiaccio e misto:

6 su ghiaccio M7 a vista M8 lavorato.

Cervino:

Cresta del Leone (54 volte),

Cresta Hornli,

Diretta alla parete sud con la variante Hervé Barmasse terza ripetizione ED VI+ 1300mt,

Spigolo dei Fiori parete sud 350 mt V+,

via Casarotto Grassi terza ripetizione ED 1300 mt,

Padre Pio Prega Per Noi ED 6B obbl. 6C max 660 mt,

Parete nord via Schmidt,

Strapiombi di Furggen in Invernale.

Dent D’Herens:

Cresta est.

Grandes Murailles:

Cresta dei Cors salita in solitaria da Cervinia in 3ore e 15 min.

Goulotte Ammazza Geko V 5 600 mt 2 ripetizione.

 

Monte Bianco

Vie di roccia:

Punta Chenal:

A l’Orée du Bois 7a – 6b obbl.

Pyramide du Tacul:

Ottoz D- 4+ – 4+ obbl.

Pic Adolphe Rey:

Cache Cache Ed+ 7A – 6B+ obbl,

Salluard TD- 5+ – 5 obbl,

Bettemburg TD+ 6B – 5+ obbl,

Gervasutti TD+ 6b – 5+ obbl,

Police des Glaciers ED 6C+ – 6b obbl,

Marzin Pan Pan ED+ 7A – 6B obbl,

Inouit ED+ 7A – 6B obbl,

Coup de Foudre ED+ 7A – 6B obbl,

Fil ou Face ED+ 7A-6B obbl.

Roi du Siam:

Petit Capucin ED 6C+-  6B obbl.

Grand Capucin:

Voyage Selon Gulliver ED 7A+ – 6B+ obbl,

L’Echo Des Alpages ED+ 7A+ – 6B+ obbl.

Trident du Tacul:

Les Intouchables ABO 7C – 6C obbl,

Bonne ètique ED 6C+ – 6A obbl,

Eclipse Ed+ 7A – 6c obbl,

Diretta TD+ 7A – 6B obbl,

Indurain tiene dos huevos ED 7A – 6C+ obbl.

Chandelle du Tacul:

Bonatti Tabu TD 6B – 5 obbl,

ligne Blanche ED+ 7A+ – 6c obbl.

Clocher du Tacul:

Empire State building ED+ 7C – &B+ obbl.

Aiguilles della Brenva

Via Rébouffat

Tour Ronde:

 Pilier Payot Td+ 6A – 5+ obbl.

Aiguille Croux:

Euro Team Td 6b+ – 6A obbl,

Ques Cherches-Tu Jean-Marie 6c – 6b obbl. 230 m.

Pilastro Rosso del Brouillard:

Les Anneaux Magiques Ed 6C – 6B obbl,

Diretta Gabarrou ED+ 7A – 6b obbl.

Pilastro Bonington:

Via Au Bout Du Monde ED 6B+ – 6A+ obbl..

Aiguille de Blaitiere:

Wiliamine Dada ED 7A+ – 6a obbl.

Pilier rouge dell’Aiguille de Blatiere:

L’Eau Rence D’Arabie ED- 6C – 6B obbl.

Monts Rouges du Triolet:

We Are The Champions,

Tout Fou ED 6C+ – 6c obbl.

Aiguille Noir:

L’Equipe Des Bras Casses 6C+ – 6C obbl.

Clocher du portalet:

Etat de Choc Ed+ 7B – 6A obbl..

Mont Greuvetta:

6b 6a+obb. Via Dei 150 via nuova.

Mont Grevuetta Pilier des Verluisants

Tempest 6c+ 6c obb. Via Nuova.

Parete del Eveque

Alpenlibe 7a – 6c obb. 150 m.

Pillier Trois Pointes

Tobbogan 450 m. 6b+ – 6b obbl.

Petites Jorasses

Pure et Dure 350 m. 7a – 6c obbl,

Via nuova “Fuga e Ritorno”

Vie di misto

Sperone della Brenva D- 900 mt,

Via Cretier al Mont Blanc du Maudit,

Cresta di Rochefort (2 volte),

Monte Bianco via normale dal Cosmique

Monte Bianco via dal Dom du Gouter PD 1800 mt

, Grand Jorasses Cresta di Tronchey e discesa per i Rochers Whymper,

Cresta Innominata D+ 1000 mt,

Cresta Midi Plan,

Sperone Frendo  1200 mt,

Creata Kuffner,

Attraversata dell’Aguilles du Diabase.

Goulotte

Goulotte Chèré al Mont Blanc du Tacul II 4 350 mt,

Goulotte Lafaille Mont Blanc al Tacul II 4+ 450 mt,

Super Couloir del Mont Blac du Tacul con attacco sul Pilier Gervasutti IV 5+ 450 mt ,

Couloir Gervasutti alla Tour RondeII AD 350 mt,

Goulotte Bettembourg parete nord Aguille Verte IV 4 900 mt,

Tour Ronde goulotte Rébouffat II 4 350 mt,

Aiguille du Midi parete nord Le Fil au Plomb III 4+ 750 mt,

Goulotte Pellissier II 4 M5  5c 220 mt.

Aguilles Des Pellerins Goulotte Rébouffat V 5 M. 550 mt,

Goulotte Laratounr III 4 300 mt.

Monte Rosa

Vie di misto

Breithorn:

Traversata dei Breithorn dalla Roccia Nera di AD- (3 volte),

Cresta Young 650 m. difficoltà D.

Via Supersaxo 1000 m. difficoltà TD-

Breithorn Occidentale Centrale Orrientale e Roccia Nera più volte.

Castore:

Vie normali parete ovest e Cresta sud-est più volte.

Sud del Castore:

Via Classica,

Via delle Guide,

Hot and Cold via nuova.

 Lyskamm Occidentale E Orientale:

Traversata dei Lyskamm 9 volte,

Cresta Sella (3 volte),

Sperone Gugliermina, Via nuova Buona la Prima,

Sperone Ravelli 2 volte,

parete nord Via Neruda,

cresta Integrale sud del Naso del Lyskamm.

Polluce:

via Normale più volte,

Scivolo più volte.

Piccolo Cervino

Via Dei Professori

Rocca di Verra

Granatina

Goulotte

Goulotte est al colle del Felik in solitaria,

Goulotte Favre Spatarro al colle del Felik,

Nuova Goulotte al Felik in solitaria,

Roccia Nera parete nord goulotte Grassi Bernardi,

Goulotte Primoska Smer (prima ripetizione) TD 600mt,

Roccia Nera Parete Nord Goulotte Perlaice 83 TD 430 mt.

Gran Paradiso

via normale salita (3 volte).

Vapelline

Vallone di Crete Sèche:

Via Diedro Giallo 6A obbl. 6a+ max 300 mt,

Spigplp Bozzetti V 300 mt,

Via Cristiano Fornelli V 300 mt.

Goulotte

Vallone di Faudery:  

Fin Che il Diavolo è Matto New line III 4 M6 200 mt.

Valle dell’orco:

Sergent:

Nautilus 6A – 5A 270 mt, ( 2 volte)

Locatelli 6A – 4C obbl. 170 mt ( 2 volte),

Fessura della Disperazione 6B – 6a+ obbl 90 mt,

L’eroe Dei due Mondi 7A 25 mt,

Incastromania 6A 25 mt,

Elisir d’ Incastro 6B+ 60 mt,

Legoland 7B-6B obbl. 50 mt,

Nicchia delle Torture 6B-5A obbl. 60 mt,

Incastro Amaro 7A 20 mt,

Cannabis 7B-6B obbl. 180 mt,

Le Chiacchere Stanno A Zero 6C+ 26 mt,

Fisura du Panetton 6C+ 13 mt,

Fessura Kosterlitz 6B boulder 7 mt,

Jedi Master 6C+ – 6B+ pbbl. 190 mt,

Il Signore Nero 6a+ 30 mt.

Massi del Caporal :

Balungufià 6A+ 15 mt,

diretta piemontese-Marchigiana 6B+ 25 mt,

Diedro d’ercole 5C 13 mt,

Fessura dell’Odisseo 6a+ 13 mt

Fessura del Supplizio 6C 11 mt,

Caporal:

Itaca Nel Sole 5A obbl. 200 mt,

l’Orecchio Del Pachiderma 6B 40 mt,

Rattle Snake 6C – 6B obbl. 180 mt,

Diedro Nanchez 6B – 5A obbl. 160 mt.

Torre di Aimonin:

Spigolo 6a+ – 5b obbl. 170 mt,

Pesce d’Aprile 5C – 5A obbl. 170 mt,

Una Notte a Thaiti 6c – 6a+ obbl. 165 mt,

La casa degli specchi 6c – 6a obbl. 200 mt,

Via del Diedro 6B – 6A+ obbl. 140 mt.

Scoglio di Mroz:

 Gogna TD 6a max 200 mt.

Valle di Forzo parete dell’Ancesieu

Panorama su forzo 6c – 6b obbl. 350 mt,

Www. Ancesieu .Free  6c+ – 6c obbl. 330 mt,

Orso Poeta 6c+ – 6c obbl. 350 mt,

Oltre ad Essere 7a – 6c obbl. 330 mt,

Geniale Ma Mezzo Matto 7a – 6b+ obbl. 330 mt.

Valléè de l ‘Arve:

Les Vuardes :

Vertige de l’Oublie 6c+ – 6b obbl. 260 mt,

Exaltation 7a – 6b obbl. 270 mt.

Balme:

Réalité Non Ordinaire  7a+ – 6b+ obbl. 180 mt,

Y’a de l’Urgo dans l’Air  7+ 6b obbl 180 mt,

Zenith 7b+ – 6b+ 190 mt,

la Roulette Russe 7b+ – 6b 220 mt.

Grenoble:

Rocher du Midi:

 Bille le Clow.

Presles:

Beatrix

Verdon:

Ticket Danger 6c – 6a obbl. 200 mt,

Enigma 7a – 6c obbl 22o mt,

Alix Punck de Vergons 7b+ – 6b+ obbl 300 mt.

Valle d’Aosta:

Valtourneche

Paretone di Singlin:

Les Hirondelles 6B – 6a obbl. 130 mt. (4 volte),

La Pinta 6C – 6A obbl. 170 mt. (2 volte),

Karen o Mai Più 7A – 6A+ obbl 180 mt. ( 2 Volte),

Filo d’Aria 7b – 6b obbl. 120 mt. via nuova con Marco Farina.

Mont Pancherot

Via dei Salassi 6C – 6A obbl.  200 mt. (3 volte).

Dom di Cian:

Via Bazzi (2 volte).

Punta Tsan

Placche Rey (4 volte).

Becca D’Aran

Via Anita 6 volta,

Via Carrel 4 volte.

Champoluc

Sarezza :

Spigolo alto e Basso 2 volte.

Pilastro Lomasti:

Sylvie 6C – 6B obbl. 180 mt,

Mamma li i turchi 6C+ – 6B obbl. 180 mt,

Verde Milonga 7A+ – 6B onnl. 180 mt,

La Rossa e il Vampirla 6B- 6A obbl. 180 mt (2 volte),

Control e Vai Tanquillo 6C+ – 6B obbl. 180 mt.

Paretone:

Diretta al Banano,

Bucca d’arancio,

Par Condicio,

Dolce luna,

Topo Bianco.

Paretone del Fer:

Sorpasso a Sinistra,

Superfer.

Mont Charvatton:

Tommy,

40 anni di Emozioni

Caterpillar.

Mesules via Regheboden,

Roda di Vaél via moulin rouge

Arco di Trento

via Renata Rossi.

Cascate:

Cogne,

Valnontey:

Repentance Super III 5+ 22o mt (2 volte),

Il Sentiero dei Troll III 3 350 mt,

Erfaulet III 5 220 mt,

Sentinel ice I 4+ 90 mt,

La Favola di Alice I M7 90 mt.

Valeille:

Lau Bij II 5 60 mt,

Pattinaggio Artistico Diretto (3 volte),

Lillaz II 3 250 mt ( 3 volte),

Inachevé Conception III 5+ M6 180 mt,

Stella Artice III 5 180 mt,

Etoiles et Soleil,

Candelabro del Coyote III 4 150 mt,

IL Grande CalimeroII 4 100 mt,

80 Folgorazione 89 II 5 90 mt,

Chandelle Monique II 4+ 50 mt,

Cristal Giusy II 3 50 mt,

E tutto Relativo II 4 200 mt,

Stalattite di Cristallo II 4+ 35 mt,

Ice No Thanks M7 4+ 110 mt.

Valsavarenche:

Trip in the Night III 5+ 170 mt,

Placche di Rovenaud II 4 80 mt ,

Cascata di Rovenaud II 3+ 150 mt,

Cascate di Pont II 4 40 mt.

Val di Rhémes:

Cascata dell’Entrelor II 3 110 mt,

Sogno Realizzato II 4+ 70 mt (2 volte),

Rampilonga By Night III 5 150 mt.

Valdigne:

Gelateria II 5 50 mt,

Rideaux de Morgex I 4+ 70 mt.

Valtournenche:

Brinata Turchese II 4 150 mt,

Miroir de Glace IV 4 200 mt,

Teorie Stalatittiche II 4+ 90 mt (3 volte),

Teorie Stalattitiche linea di sx II 3+ 90 mt,

Teorie Stalattitiche linea di dx III 4+ 90 mt,

Il Crocifisso I 5 30 mt,

Grotta di Pereres linea di sx II 4 50mt,

Sorgente del Falco III 4 220 mt,

Pera d’Argento IV 5 150 mt,

Super Maen II 4+ 30 mt,

il Mago II 4+ M4 30 mt,

Adamo II 4 60 mt,

Eva II 4 60 mt,

La Costola II 3+ 60 mt,

Il Pomo II 4+ 60 mt,

Cascata Di Facciabella,

Colonna d’Ersa I 5 40 mt,

La Perla di Lagua III 5 45 mt,

il Vecchio e il Lago II 4 M 70 mt (prima salita),

Non c’è Amore per Tutti 5 M6 (prima salita),

Cascata di Buisson II 4+ 150 mt,

La Gola dei Magri II 4+ M4 60 mt,

Cscata di Cret II 4 30 mt misto in uscità (prima salita),

Cascata della 5 III 4 100 mt,

Il Cammello IV 4+ 200 mt.

Bassa Valle D’ Aosta

Carpe Diem,

Cascata di Meran.

Valle di forzo:

Spada di Damocle,

Cristal Darques.

Valle di Gressoney:

Bonne Année.

Ollomont:

Pat e Gab,

Lemon Ice.

Francia

Montriod:

La Dame du lac IV 6+ 150 mt,

Ilynx Iv 6 200 mt.

Attività extra europea:

Settembre ottobre 2012 spedizione all Churen Himal

Nuova via sulla parete ovest Pricesse Cecile Line

Settembre ottobre 2013 Arican Climbing tour

Yosemite Valley California

 El Capitan

 The Nose 5.9 C2 2900’

 

 

Falesia di Cookie Cliff

 Hardd 5.11b 130’

 Outer limits 5.11 150’

 Catchy 5.10d  95’

 Arch Rock

 English Breakfast crack 5.10c 80’

 Midterm 5.10b 135’

 Schultz’s Ridge

 The Moratorium 5.11b 350’

 Manure Pile Buttres

 Nutcracker 5.8 600’

 Royal Arches Area

 Serenity Crack 5.10d 400’

 Sons of Yesterday 5.10a 500’

Owens Rivers Gorges

Bishop California

 Central Gorge

 Pub Wall

 Hungover 11b 90’

 High ball 11d 100’

 Light within 10.c  100’

 Social Platform

 Darshan aka ripoff 12b 100’

 Ned Guy’s proud Pearl Necklace 11d 100’

 Chillin at the Grill 11c 100’

Upper Gorge

 Gotham City

 Superfly 10c 100’

 Grindrite 11b 100’

 Flax Your Head 11c 100’

 Treste Wall

 Pop Goes The Weasel 11b 100’

 White Zombie 12c 100’

 Bazooka Country 12a 100’

 Risultati gare di sci alpinismo:

Stagione 2014:

Campionati Italiani Vertical 24

Campionati Italiani a staffetta 3

 

Stagione 2013:

4°assoluto Trofeo Silvano Borre Doues,

4°Assoluto Randonnée de Leudze Aymavilles,

4° assoluto vertical race Torgnon Memorial Renato Trono,

2°assoluti Trofeo Vetan,

15° assoluto 3° espoir Campionati Italiani,

8° assoluto 2 Ski Alp Torgnon,

5°assoluto Altitoy Ternua Grand Course,

1°Assoluto Tour del Monscera,

7°assoluto gara open Ski alp Passo della Presolana,

6° assoluto Tre Rifugi campionato Italiano Top Class,

9° assoluti pierra Menta 2013,

8° assoluti Adamello Ski Raid 2013,

5° assoluti prima Mattheron Unltraks.

Stagione 2012:

2° assoluto Vertical Doues Aosta,

4° assoluto Randonnée de Leudze Aymavilles,

3° assoluro gara a coppie Vetan Aosta,

9° assoluti Campionati Italiani a coppie Pitturina,

11° assoluto Coppa Italia Valle Aurina,

13° assoluto Coppa Italia Bergamo Clusone,

1° assoluto Pian del Frais Piemonte,

3° assoluro Monterosa ski raid Champoluc

17° assoluto Pierra Menta 2° espoir,

9° assoluto Extreme Tour du Rutor Millet,

7° assoluto Campionati Italiani individuali,

5° assoluto Trofeo Parravicini,

6° assoluto circuito di coppa italia.

Stagione 2011:

4° assoluto Vertical Sauze D’Houz,

4° assoluto Randonnée de Leudze Aymaville,

3° espoir Campionato Italiano individuale Clusone Bergamo,

4° assoluto Trofeo Periplo Biella,

4° assoluto Vertical del Palit Canavese,

4° assoluto gara a coppie Val Tartano, 5° espoir nella gara individuale mondiali di Claut,

1° assoluto Memorial Perrucca Locana

15° assoluto a espoir Coppa del Mondo Val Martello,

13° assoluto 2 espoir Pierra Menta,

8° assoluti Adamello ski raid,

5° assoluto Tour du Rutor e 2 espoir,

2° assoluti Trofeo Parravicini Bergamo.

Stagione 2010:

6° assoluto Cronoscalata Sauze D’houx,

4° assolutoRandonnée de Leudze Aymaville,

3° junior Campionato italiano Valle Aurina,

2° junior Coppa Italia Vetan Valle D’Aosta,

1° junior gara notturna Champoluc,

3° junior Campionato italiano vertical,

1°campionato italiano a staffetta giovani Bergamo Clusone,

2° junior Coppa del mondo a Coppie trophée de Gastlosen,

4° assoluto Vertical Champorcher,

5°junior nella vertical race Campionati del Mondo Andorra Canillo,

3°nella gara Individuale Mondiali Andorra Canillo,

2° junior Pierra Menta 2010,

4° assoluti Trofeo Fiou Flassin,

1° junior Coppa del Mondo Grand Bèal Arvieux,

4° junior Coppa del Mondo Madonna di Campiglio,

3° classifica finale Coppa del Mondo junior 2010,

3° Patrouilles des Glacier 2010 percorso corto da Arolla a Verbier.

Stagione 2009:

4° junior coppa Italia Lizzola,

4° junior campionati italiani Bormio Alta Valtellina,

2° junior coppa Italia Premana Mondovi,

6° junior Coppa del mondo Extreme Dachstein,

2° junior campionato valdostano trofeo Rollandoz Rhemes,

6° junior classifica finale coppa del mondo 2009

Con l’atleta Filippo Righi:

4° assoluto Trofeo Fiou Flassin,

2° junior Pierra Menta coppa del mondo,

2° junior Tour du Rutor Arvier Planaval.

Stagione 2008:

4° cadetto campionati italiani Claut Friuli,

3°cadetto campionato italiano staffetta Passo del Tonale,

4° cadetto Pierra Menta,

2° cadetti Valtellina Orobie Albosaggia Sondrio,

10° assoluti trofeo Paravicini Bergamo.

Stagione 2007:

4° cadetti campionati italiani Trofeo Bozzetti,

11° cadetto Pierra Menta ,

5° cadetto Tour du Rutor.

Stagione 2006:

13° cadetti Pierra Menta,

3° cadetti Tour du Rutor.

American Tour 2013

American tour 2013

Yosemite Valley e Bishop

 

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 Quest’anno non avendo in programma nessuna spedizione ho deciso di realizzare uno dei miei sogni, quello di andare a scalare la mitica parete di El Capitan in California nel parco dello Yosemite. Dopo un estate su e giù per le montagne di casa, io e Patrick Poletto, un amico e collega Guida Alpina, decidiamo di partire per il parco. Il nostro obbiettivo è quello di scalare il Nose una via storica, aperta nel 1958 e quotata in gradi Americani VI 5.9 C2 e lunga 1000 metri. Dopo una settimana nella valle, dove abbiamo salito alcune vie e fatto un po’ di allenamento in un paio di falesie  (sempre rigorosamente Trad!!), il primo ottobre abbiamo deciso di attaccare la nostra Big Wall. Il Nose è una salita complessa dove arrampicata libera e artificiale si alternano a dei pendoli per passare da una fessura all’altra. Questi passaggi richiedono oltre ad un buon livello di arrampicata una grande abilità nelle manovre di corda, fondamentali per pendolare e recuperare il saccone che pesava circa sugli 80 kg. Sul Nose abbiamo vissuto quattro giorni e tre notti intense e faticose, ma  allo stesso tempo indimenticabili e il 4 ottobre raggiunta la cima della parete, fare la foto con lo storico albero di El Cap è stata una grande soddisfazione. Purtroppo ritornati a valle per via dello” Shat down” abbiamo dovuto abbandonare il parco. Questa è stato l’occasione per scalare a Bishop nelle Owens Rivers Gorge. Un posto fantastico, con un clima quasi desertico dove si arrampica su delle torri di roccia arenaria rossa. L’arrampicata è molto esigente, sempre verticale o leggermente strapiombante, dove si alternano sezione di tacche a buchi e prese verticali. Dopo due giorni passati nelle più belle falesie delle Gorge il nostro tempo è scaduto e ci è toccato rientrare in Italia. Di questo viaggio sono molto soddisfatto e porto a casa una bella e allo stesso modo  importante esperienza personale che credo mi sarà utile in futuro.

Foto Cazzanelli François e Patrick Poletto

Padre Pio Prega Per Noi

Arrampicare sulla parete sud del Cervino è sempre un emozione unica. Gli alpinisti che si misurano con questa parete ricercano un senso di avventura particolare quasi mistico. Tutte le sue guglie cambiano continuamente aspetto ma restano sempre di difficile lettura per chi vuole scalarle.Come ultima via prima della partenza verso il Nepal ho salito insieme a Patrick Poletto “ Padre Pio Prega per noi” tracciata da Patrick Gabarrou e Cesare Ravaschietto nel 2002. La via si trova sul pilastro dei fiori, una guglia nascosta posta nelle parte destra della parete sud. Era già da tempo che volevo salire questa via e farlo mia dato delle emozioni uniche. Arrivato in cima la gioia è stata enorme anche perché questa via a causa del cattivo tempo mi aveva già respinto una volta! Scalare sulla montagna di casa, per me è sempre un emozione unica, e mi da una forza e una motivazione incredibile. Consiglio veramente ad altri alpinisti di ripetere questo grande itinerario del Gab! Ricordandosi sempre che si è sulla parete sud del Cervino.

 

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Cervino , parete sud  pilastro dei fiori

via

Padre pio prega per noi

-Apritori: Patrick Gabarrou e Cesare Ravaschietto 2002

-Difficoltà: 6B+ obbligatorio 6c max

-Dislivello: 660 metri.

-Materiale: 2 corde da 60 metri, 10 rinvii, 1 serie di friend BD dall’0,3 al 2 più qualche micro a scelta, casco, ramponi e picca per l’avvicinamento.

– Avvicinamento: 1 ora dal rif. Duca degli Abruzzi.

Dal rifugio salire sulla prima morena e portarsi alla base della parete sud, da qui costeggiarla  da prima su ghiaioni e poi sul ghiacciaio del Cervino (su quello che ne rimane). Arrivati all’ultimo conoide di neve risalirlo e superare dov’è possibile la terminale (N.B. fare attenzione alle scariche che scendono dal canale sotto il picco Muzzio). La via attacca in centro di una cengia di roccia grigia 2 spit.

-Discesa: In doppia sulla via (18 doppie tra il 12 e 13 tiro si fa una doppia sola)

Le soste sono tutte attrezzate con 2 spit petzl da 10mm. e maillom rapide per le calate ( tranne l’ultima 1 spit e un chiodo)

-Note: La via è molto bella e si sviluppa quasi sempre su roccia buona in un ambiente severo di alta montagna. Si consiglia di percorrere la via con lo zero termico alto per ridurre il rischio di scariche dal canale a destra (periodo consigliato primavera e autunno).

N.B. Anche se le difficoltà non sono estreme non bisogna sottovalutare la via perché si arrampica sempre sulla parete sud del cervino!!

-Descrizione:

-L1 6a 55 m. 8 spit muro nero

-L2 5 50 m. 3 spit discontinuo

-L3 6a 55 m. 5 spit fessura a sinistra della sosta più placca

-L4 5 50 m. 5 spit discontinuo

-L5 5 45 m. 3 spit discontinuo

-L6 5 30 m. 4 spit muro con prese grandi bello

-L7 3 55m. 1 spit trasferimento su placca rossa

-L8 3 45m. 1 spit trasferimento placca grigio rossa

-L9 6a 50m. 2 spit prendere in direzioni di 2 tettini

-L10 6a 50m. 5 spit  placca molto bella

-L11 5 sx con passo di 6a 30m. 2 spit rampa facile a dx più muretto verso dx prima della sosta. N.B. Dalla sosta non andare a dx dove c’è uno spit. Attenzioma il primo spit è mezzo fuori.

-L12 6c 50m.  7 spit muro verticale con buone prese.

-L13 6a+ 25m. diedro fessura bellissimo.

-L14 1 passo di 6b poi 5 55m. 1 spit uscire a sx seguire un diedrino poi dritto su gradoni.

-L15 6a+ 40m. 1 nuts e 2 chiodi. Tiro per meta in comune con lo spigolo dei fiori

-L16 5 55m. 1 chiodo + sosta dello spigolo a metà  dritto per diedro facile.

-L17 6a 40m. traversare e sx sulla placca e prendere l’evidente diedro di roccia friabile.

-L18 6a+ 55m. dritto nel diedro fessura poi uscire sulla placca a sx poco evidente.

-L19 4 55m. girare a ovest su roccia mediocre fino in cima al pilastro dove sulla punta si trova l’ultima sosta 1 spit e un chiodo.

Relazione di Cazzanelli François e Poletto Patrick

Pic Tyndall – Casarotto Grassi

Cervino parete sud Casarotto Grassi terza ripetizione

Per chi abita nella Valtournenche la parete sud del Cervino suscita un attrazione fatale, quasi irresistibile. Era da un po’ di tempo che avevo puntato la “Casarotto Grassi” e in quest’autunno mite con super condizioni era impossibile rinviare. Due messaggi ed i compagni sono subito pronti: Marco è motivatissimo ed in forma smaliante ed il vecchio Roby non si tira mai indietro per una via sulla Gran Becca.

Quindi il 18 novembre alle 5.00 siamo pronti a partire con sci e pelli da Cervinia. L’avvicinamento scorre veloce e dopo 2 ore abbiamo già i ramponi ai piedi e stiamo risalendo il canale che porta alla base del triangolo del Pic Tyndal. Trovato l’attacco iniziamo. I primi 4 tiri ci portano, non senza difficoltà, sul filo dello spigolo (passi di V/VI con scarponi e zaino su terreno d’avventura). Da li con due lunghezze più facili (IV),  in un ambiente severissimo, risaliamo lo spigolo ed arriviamo in una zona di cenge. Da li il percorso non era più evidente e di comune accordo abbiamo deciso di portarci più a destra. Da qui con alcune lunghezze verticali (passi di V), dove la roccia non è proprio delle migliori, riusciamo finalmente ad uscire sulla cresta De Amicis e alle 17.00, con le ultime luci del giorno, raggiungiamo la via normale percorrendo la Cravatta. Con il buio iniziamo la discesa tutta d’un fiato, dove l’unico momento di sosta che ci concediamo è al colle del Leone dove, in silenzio seduti tutti e tre sul piccolo colletto sotto una stellata fantastica, ci godiamo l’attimo e la soddisfazione per questa salita.

Da li la discesa procede regolare e alle 20.30 arriviamo a Cervinia giusto in tempo per votare il referendum!!

Churen Himal 2012

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Churen Himal Princess Cecile line

 Il Nepal è un paese fantastico e la catena Himalayana è immensa e selvaggia. La nostra avventura è durata quarantadue giorni, siamo arrivati a Katmhandu il 21 settembre, e dopo alcuni giorni trascorsi nella capitale, necessari per organizzare le ultime cose e il 26 all’alba siamo partiti. Abbiamo trascorso l’intera giornata in jeep percorrendo strade non troppo agevoli e finalmente la sera siamo giunti  a Darbang, il villaggio da dove è iniziato il nostro trekking. Da lì in sei giorni di cammino tra foreste, colli e villaggi, dove il tempo sembra essersi fermato, siamo arrivati al nostro campo base, posto ai margini della morena sull’ultimo spiazzo d’erba disponibile a 4200 metri di quota!

Il giorno seguente non abbiamo perso tempo e siamo saliti subito a fare una ricognizione alla base della parete rocciosa. Da quel momento in poi grazie alla meteo buona e alla conoscenza da parte di Adriano del terreno (è stata la sua terza spedizione allo Churen) abbiamo iniziato a lavorare, precisi e spediti sulla montagna. In un giorno abbiamo attrezzato la fascia di roccia e dopo esserci riposati alcuni giorni al campo base abbiamo “attaccato” la parete! La via da li in avanti è stata un osso duro, ma finalmente il quindici ottobre alle 15:30 Marco, Emrik ed io siamo usciti sull’anticime dello Churen a 7000 metri precisi. La nuova via è stata chiamata Princess Cecile Line. E’ stata un’emozione incredibile, tutti e tre abbiamo trattenuto le lacrime a stento! Dopo una discesa altrettanto impegnativa alle 7:00 di sera, ormai al buio, siamo arrivati alla nostra tendina posta al campo 2, il giorno successivo con calma siamo scesi al campo base. Recuperate le forze, e avendo ancora qualche giorno a disposizione, con la meteo sempre a nostro favore, abbiamo deciso di ripetere la nostra via, per poi attraversare in cresta e giungere sulla vetta principale dello Churen Himal! Questo risultato voleva essere la ciliegina sulla torta per una spedizione  che aveva già portato a casa un risultato importante!

i63055608._szw1280h1280_.jpg.jfif i63060032._msw565h424_szw565h424_ i63060057._msw565h424_szw565h424_ i63060093._msw565h424_szw565h424_

i63060151._msw565h424_szw565h424_Purtroppo, sabato 20 ottobre, durante la salita alla vetta a poca distanza dal campo 2 Alain Marguerettaz scivolava per 70mt sulla parete, fermandosi, dopo un salto verticale di 6-7 metri sul bordo di un crepaccio. Subito sono scattate le operazioni di soccorso e dopo 7 ore siamo riusciti ad imbarcare Alain su un elicottero della ditta Fishstair. Grazie alla bravura del pilota Hashish a l’esperienza di Adriano e ad un pizzico di fortuna tutta la vicenda si è conclusa nel migliore dei modi. Il giorno dopo, passato lo spavento, abbiamo smontato il campo base e lunedì 22 di buon ora siamo partiti destinazione Katmhandu, ansiosi di riabbracciare Alain e Marco che aveva ovviamente accompagnato il nostro amico ferito in elicottero all’ospedale. Dopo 4 giorni di cammino, due trascorsi in pulman e jeep siamo arrivati finalmente a Katmhandu, facendo prima una breve sosta a Pokara.

i63060006._msw565h424_szw565h424_Sono veramente entusiasta e soddisfatto di questa esperienza, credo che una delle chiavi di riuscita del progetto sia stato l’affiatamento del gruppo. Tutti hanno lavorato e si sono sacrificati per permettere al gruppo di scalare questa parete stupenda.

Ringrazio in particolar modo: Marco che dando il massimo ci ha permesso di realizzare il nostro sogno (senza di lui non ci saremmo mai riusciti), Adriano (capo spedizione) che ha individuato il progetto e ha dato il massimo per aiutarci a realizzarlo.

Un ringraziamento speciale va ai miei sponsor: Montura, Grivel, Scarpa, Salice al Comune di Valtournenche e all’associazione albergatori di Breuil Cervinia.

Ringrazio il centro sportivo esercito di Courmayeur ed in particolare il Colonello Marco Mosso

20 settembre 2012 – 1 novembre 2012

Partecipanti:
g.a. Adriano Favre  (capo spedizione)
g.a. Marco Camandona
asp.g.a. François Cazzanelli
membro del S.M.A.M. Emrik Favre
Alain Marguerettaz
Sete Sherpa

 

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Non c’è Amore per Tutti

non c'è amore per tutti

Prima salita: Cazzanelli François Francesco Canale  14/02/2012

 

non c'è amore per tutti 02Bella ed impegnativa cascata situata nell’orrido del torrente Marmore nei pressi di Chatillon. Questa colata di 80 metri non si è concessa facilmente anzi è costa parecchi giorni d’osservazione e diverse ricognizioni. Per poterla salire abbiamo dovuto aspettare le condizioni migliori e le temperature più adeguate vista anche la bassa quota dove si trova la cascata

. Questa linea è percorribile in 2 lunghezze,la prima parte su ghiaccio a candelette e continua con un tratto esposto di dry toonig di 5-6 metri. La seconda parte percorre l’evidente candele che gradualmente si abbatte e porta sulle rampe finali più appoggiate.

La discesa si effettua comodamente a piedi nel bosco a sinistra della cascata che riporta nel greto del fiume. Questa salita mi ha impegnato parecchio soprattutto a livelle psicologico nella parte di dry toonig, questo tratto infatti non è proteggibile e richiede una buona dose di sangue freddo. Per far parlare i numeri la cascata è stata valutata 5 M6 80 metri in posto è stato lasciato un chiodo da roccia. Il nome è stato scelto per la data in cui è stata aperta la cascata….non tutti a San Valentino stanno con la fidanzata.

Via dei 150

150

Quando si sale la Val Ferret, arrivati ad Arnouva si possono notare le belle e imponenti pareti di roccia che sovrastano il bacino del Mont Greuvettaz. A colpo d’occhio si intuisce subito che l’intero bacino è selvaggio e severo. Fino all’anno scorso ignoravo l’esistenza di queste montagne, finchè non me ne parlò Marco Farina.

Marco era già stato a fare qualche ricognizione e mi disse che il bacino offriva ancora alcune possibilità di apertura. L’idea mi interessò subito, tanto più che su queste montagne avevano messo la firma alcuni dei nomi più importanti dell’alpinismo degli anni 70, 80 e 90. Come poter rifiutare l’occasione di mettere il proprio nome vicino a quello dei vari Manera, Piola, Vogler, e Motto?

Eccoci quindi pronti nell’ agosto 2011 armati di zaini enormi  avviarci sul sentiero per il bivacco Comino. L’impatto fu straordinario, un ambiente di alta montagna con delle pareti di granito imponenti. Il primo giorno portammo il materiale alla base e individuammo il posto dove attaccare la nostra via, per poi ritirarci alla base del ghiacciaio nella nostra tendina. Ecco che il giorno dopo in 15 ore nasceva Centocinquanta. Quel giorno sia io che Marco eravamo motivatissimi e salivamo su qualsiasi difficoltà ci si presentasse davanti. La via è stata tutta aperta a chiodi e protezioni veloci solo durante la discesa abbiamo rinforzato le soste con uno spit per ancoraggio.La stessa estate Marco tornò nel bacino con Francesco Canale e Elia Andreola (Panda) e aprì sulla parete di fronte a Centocinquanta un’altra bella via di 470m, Mandorlita. Questa via si sviluppa tra fessure, diedri da integrare e placche protette con qualche spit per indicare la linea.

 

Diretta Invernale alla Parete Sud

Cronologia :

  • Primi salita Marco Barmasse, Walter Cazzanelli e Vittorio De Tuoni 30/11/1983
  • Prima solitaria con apertura della variante centrale Hervé Barmasse aprile 2007
  • Prima salita invernale Cazzanelli François, Farina Marco, Ferraris Roberto 10 marzo 2011 seguendo la variante H. Barmasse

A distanza di qualche anno non riesco ancora a metabolizzare fino in fondo questa che per me, per noi, fu una grande giornata di alpinismo. Era la seconda volta che scalavo sulla parete sud del Cervino, la prima fu nel 2010 quando affrontai lo “Spigolo dei Fiori”. E anche in quella occasione sempre con me, c’erano Marco Farina e Roby Ferraris.

Era il 10 marzo del 2011, questa volta la posta in gioco era ben più alta: era la prima invernale assoluta della “Diretta alla Parete Sud” la via aperta da mio padre. Inconsciamente io e i miei compagni stavamo per scrivere un piccolo pezzo di storia di questa montagna. Fu una giornata epica dove la fortuna ci aiutò a portare a casa la pelle e a centrare un importante risultato.

Marco, Roby ed io partimmo dalla stazione a monte della seggiovia Pancherot (eravamo arrivati fino a lì sfruttando un passaggio dei gatti delle nevi che iniziavano il turno di battitura alle 4) e con sci e pelli arrivammo all’attacco della via in 40 minuti.

Imboccammo ancora al buio la cengia innevata che conduce nella pancia della parete sud. Salimmo spediti senza intoppi fino alla base dell’evidente triangolo di roccia rossastra situato al centro della parete. Qui decidemmo di seguire la variante aperta da Hervé Barmasse nel 2007 perché a nostro giudizio più logica. Non avevamo informazioni su questa variante, ma seguendo l’istinto trovammo velocemente tutti e tre i tiri della variante e alcuni chiodi lasciati da Hervé.

A posteriori posso affermare che questo tratto non è banale, perché è veramente difficile posizionare le protezioni e, soprattutto, nell’ultimo tiro si raggiunge tranquillamente il 6a.

 

Valutazioni generali:

Itinerario di notevole impegno tecnico e psicologico. Si trova nel pieno della parete sud e quindi è molto esposto alla caduta di sassi. La roccia inoltre non è delle migliori  e in alcuni tratti è molto friabile. Per questi motivi è da affrontare solo con temperature fredde e possibilmente con neve e ghiaccio che leghino i sassi tra loro. Alterna tratti di misto con altri di roccia, anche molto impegnativi (specialmente sulla variante H. Barmasse), e necessita quindi di una grande esperienza su tutti i terreni. Non trovandosi molto materiale in loco è facile effettuare varianti non volute quindi ci si trova praticamente sempre su terreno d’avventura.

Arrivati in cima al triangolo attraversammo una spettacolare cresta nevosa e ci portammo alla base dell’ultimo imponente risalto roccioso. Lo attaccammo nel suo punto più debole ma a metà dovemmo presto fare i conti con una fascia di roccia di pessima qualità.

Mentre Marco scalava da capo cordata, il grosso masso al quale era appigliato si staccò improvvisamente provocando una vera e propria scarica di sassi. Marco cadde a testa in giù per diversi metri ma fortunatamente un friend arrestò la caduta, ma i sassi lo colpirono violentemente ad una spalla e alla testa. Marco dopo questa legnata ripartii come se non fosse successo nulla, l’adrenalina dentro di lui era altissima!

Non perdemmo tempo e alle 13:45 spuntammo sulla via normale al Col Felicité.

In discesa Marco non era per niente lucido, eravamo preoccupati per le sue condizioni e fummo tentati di  di chiamare l’elicottero del soccorso. Arrivati sulla cresta del Leone, Marco si rilassò, l’adrenalina scese e i sintomi di quello che scoprimmo in seguito essere un notevole trauma cranico, si manifestarono tutti. Solamente l’orgoglio e la convinzione che non gli avremmo “contato buona” la salita (battuta che mascherava in realtà una seria e fondata preoccupazione per le sue condizioni di salute) lo convinsero a scendere, con le sue gambe lungo la normale.

Alle 18:30 fummo a base parete e alle 19:15 a Cervinia per un totale di 14 ore e 30 minuti.

A causa delle condizioni di Marco preferimmo una volta raggiunta la via normale iniziare la discesa senza raggiungere la vetta (per raggiungerla avremmo dovuto risalire le corde fisse della testa del Cervino che normalmente si percorrono in 15 minuti).

Anche senza vetta questa esperienza mi ha insegnato moltissimo, fu la prima volta nella mia vita che rischiai così tanto in montagna. Ogni salita in montagna, ci lascia qualcosa dentro che ci aiuta a crescere e maturare.

In questa giornata oltre ad aver acquisito un grosso bagaglio di esperienza, mi portai a casa l’immensa gioia di firmare la prima salita invernale della via aperta da mio padre.

 

Spigolo Dei Fiori

Cronologia :

  • Prima salita Guido Machetto, Carmelo Di Pietro, Leo Cerruti, Gianni Calcagno il 14/07/1970
  • Prima salita invernale Marco Barmasse, Valter Cazzanelli, Nicola Corradi inverno 1987.
  • Ripetitori François Cazzanelli, Marco Farina, Roberto Ferraris, Thomas Scalise Meynet il 15/11/2010. 

15 0ttobre 2010: il tempo era stabile e caldo e la mia esperienza alpinistica era matura per provare finalmente una via sulla parete sud del Cervino. Io, Marco Farina, Roberto Ferraris e Thomas Scalise avevamo arrampicato tutto il mese di settembre e volevamo lanciarci in una nuova avventura in montagna. Lo Spigolo dei Fiori ci sembrava la via giusta per prendere confidenza con questa mitica parete.

Di buon mattino ci incamminammo verso la parete dal rifugio Duca degli Abruzzi. In breve, fummo sotto la parete e risalimmo velocemente il sistema di cenge che porta all’attacco. Eravamo in grande forma e senza perdere tempo incominciammo a scalare. Velocissimamente scalammo tutti i 10 tiri della via e in un batter d’occhio fummo in vetta al pilastro (6 ore e trenta dall’Oriondé). Foto di rito e poi senza perdere tempo iniziammo la lunga discesa sulla via “Padre Pio Prega per Noi” che con 19 doppie ci avrebbe riportato ai piedi del Cervino. Tutto d’un tratto, Thomas urtò un grosso blocco che ci sfiorò quasi per un soffio. Rimanemmo in silenzio a fissare Thomas, lui dopo qualche secondo esclamò: “Se avete paura state a casa!”. Neanche il tempo di finire la frase che iniziammo ad insultarlo e a rimproverarlo per il rischio che ci aveva fatto prendere. Da lì in poi tutto filò liscio e la sera ci concedemmo una buona birra a Cervinia.

Ripensando a questo episodio ridiamo sempre!!  Porto ancora dentro di me tanti ricordi bellissimi di questa splendida giornata che mi ha insegnato parecchio. La prima volta sulla sud del Cervino non si scorda mai!

Valutazioni Generali

Bellissima via d’ambiente. Lunga e con difficoltà costanti, roccia da discreta a buona.

Una salita da non perdere in un ambiente straordinario. Arrampicare sulla sud del Cervino è sempre un’emozione unica, si è in un ambiente di alta montagna ma grazie al sole che irraggia la parete sin dalle prime luci dell’alba tutto sembra più caloroso.

Relazione Cervino Spigolo dei fiori

Buona la Prima

buona la prima


buona la prima

Buona la Prima via che si sviluppa sul monte rosa è stata la prima via aperta da me e Emrik Favre, da qui ecco il suo nome. Un pò allo sbaraglio ci siamo lanciati in questa avventuta ed è forse questo il fatto che la caratterizza maggiormente. La via è stata aperta nell’estate 2009 e si sviluppa a sinistra della via Ravelli. L’itinerario di misto, bello e logico è spesso in condizioni.

Buona la prima – Lyskamm occidentale 4499 mt parete sud

Cazzanelli François Emrik Favre estate 2009

Difficolta: D 400 mt

 

La via attacca al centro della parete posta a sinistra dello sperone Ravelli. Si sale al centro della parete su terreno misto classico. Giunti alla base della fascia di rocce finale si punta ad un evidente diedro che sale prima dritto e poi piega verso sinistra ( passaggi di 3° un passo di 4° alcuni chiodi lasciati in posto). Terminato il diedro si prosegue su neve fino a raggiungere in breve tempo la vetta.

Materiale : Portarsi alcune viti da ghiaccio, qualche friend medio e alcuni chiodi da roccia misti, una corda da 40 mt.

Discesa: Raggiunta la vetta si scende dalla via Normale del Lyskamm occidentale.

 

buona la prima