Aprire una nuova via sul Cervino è sempre stato uno dei miei più grandi sogni.

Fin da bambino, il desiderio era quello di mettere la mia firma sulla montagna di casa, lasciando così un segno profondo ed indelebile non solo sul Cervino ma anche dentro di me. Ci sono voluti 6 anni per portare a termine il mio sogno, in un certo senso si può dire che la mia esperienza alpinistica sia maturata di pari passo con i progressi sulla via. La sua apertura è stata una grande avventura, la si può definire quasi un’epopea, che adesso vale veramente la pena raccontare.

Un giorno parlando con mio papà gli chiesi: “Perché manca una via diretta che sale lo Scudo del Pic Tyndall? Secondo me, tra la Casarotto – Grassi e la via Innocenzo Menabreaz c’è ancora spazio per qualcosa di bello ed elegante”. Lo Scudo del Pic Tyndall è quell’enorme parete compresa tra la Cresta De Amicis e la via Casarotto – Grassi. “Ci avevo pensato anche io” rispose mio padre “ho osservato a lungo la parete ma alla fine ho valutato che per me e i miei compagni era una cosa troppo difficile”. Queste parole mi suonarono quasi come una sfida: era il 2012 e stavo terminando il corso da aspirante guida, ero in piena forma e non vedevo l’ora di mettermi in gioco. Avevo già ripetuto diverse vie sulla parete sud del Cervino, (Casarotto – Grassi, Diretta alla Parete Sud e lo Spigolo dei Fiori). Conoscevo discretamente bene questa parete e avevo voglia di mettermi alla prova.

Ne parlai con Roberto Ferraris, guida alpina, soccorritore del SAGF di Cervinia e mio compagno di cordata in tante avventure. Non fu difficile convincerlo: qualche parole ed eravamo già con la testa sulla montagna.

Ovviamente pensammo subito in grande. Ma come si apre una via nuova sul Cervino? Beh come minimo in inverno e totalmente trad. Diciamo che negli anni dovemmo cambiare radicalmente la nostra idea.

Il 24 febbraio 2012, la meteo era dalla nostra e decidemmo di provare. Nei giorni prima avevo già portato su del materiale così da toglierci un po’ di peso dallo zaino.

Alle 5 partimmo con gli sci dalla seggiovia del Pancheron (fin lì i gatti delle nevi che iniziavano il turno di battitura ci diedero un passaggio) e in sole 3 ore eravamo pronti a scalare. Per arrivare alla base della parete utilizzavamo il canalone di accesso della Cresta Deffeyes e della Casarotto – Grassi. Il nostro avvicinamento, dalla base della parete sud fino all’attacco della via, è lungo circa 500 mt e con buone condizioni di neve è molto veloce e pratico. Arrivati a base parete fummo subito stupiti e incantati dalla visione di roccia bella e una linea logica da aprire.

Quel giorno aprimmo ben 5 tiri (totalmente trad) con difficoltà fino al 6b e ridiscendemmo a base parete in doppia, eravamo esaltatissimi e non vedevamo l’ora di riattaccare. Non fu facile costruire sempre delle soste a prova di bomba ma in qualche modo ce la cavammo.

Nei giorni seguenti scoprimmo che c’era stato già un tentativo da parte di Massimo Farina e Hervé Barmasse. Nel tentativo dopo, all’altezza della sosta del nostro secondo tiro, una quindicina di metri più a sinistra, trovammo una sosta a spit e qualche metro più su un altro spit con un maillon piazzati dalla cordata Farina – Barmasse. 

Di fatto i due tentativi seguono linee diverse anche se relativamente vicine.

Il 3 marzo 2012 io e Roby fummo nuovamente pronti a partire, solito cliché: avvicinamento con i gatti, pelli e canale. Alle 10 arrivammo al culmine dei tiri aperti l’ultima volta, eravamo abbondantemente in anticipo e motivati ad uscire. La fortuna però non ci aiutò, subito davanti a me un tiro compatto e poco proteggibile (al momento valutato 6c poi ridimensionato a 6b+) mi porta in una zona compattissima dove è molto complicato far sosta. Recuperai Roby e capimmo subito che da lì senza spit sarebbe stato difficile progredire e anche trovare un posto per fare un buon ancoraggio. Riuscimmo a farne uno molto precario per poter scendere con tre chiodi dietro ad un blocco marcio e iniziammo la ritirata. Arrivati all’ultima doppia nel canale sotto di noi si staccò un’enorme valanga che lasciò un taglio molto alto nel manto nevoso. Quel giorno era molto caldo e la neve in poche ore era diventata marcia. Per sicurezza aspettammo che il sole calasse per ridiscendere in sicurezza il canale. Passammo un paio di ore a prendere il sole su una piccola terrazza nel mezzo della sud Cervino, un posto comodo e pratico per rifarsi la tintarella in vista della primavera.

Quell’anno decidemmo di abbandonare il progetto. Le condizioni non furono mai ottimali e decidemmo di aspettare un momento migliore.

Roby l’anno seguente ebbe un grave incidente sciando, quindi il progetto della nostra via rimase fermo per 3 anni.

Il 20 giugno 2015 io e Roby tornammo alla carica, era il nostro terzo tentativo! Dopo avere binocolato a lungo la parete decidemmo di cambiare tattica passando dal trad ad uno stile più moderno, mettendo gli spit alle soste e dove non era possibile utilizzare delle protezioni veloci. Questo per spingere il più possibile l’arrampicata libera. Partimmo di buon’ora, risalimmo le piste, ormai spoglie di neve con la jeep fino alla seggiovia Pancheron e poi su neve trasformata su per il canale fino all’attacco della via. Il tempo dopo un tiro si guastò costringendoci a scendere. Posizionammo due spit uno per sosta e in mezzo alla bufera ci ritirammo giù per il canale fino alla macchina.

Passò l’estate e le condizioni sembravano permetterci un nuovo tentativo.

Il 22 ottobre io, Emrik Favre e Marco Farina partimmo per il quarto tentativo su questa parete. Decidemmo di adottare uno stile pesante e bivaccare sulla grossa cengia in cima al quarto tiro. Nonostante fossimo molto pesanti, scalammo tutti i tiri aperti nei precedenti tentativi e piazzammo le soste a spit. Arrivati al sesto tiro lasciammo lì chiodi, spit e martello e ci calammo alla cengia per bivaccare. Ci accorgemmo di avere fatto un errore da principianti, non avevamo preso l’accendino per il fornello. Provammo di tutto per far partire una scintilla, ma niente, ci toccò andare a letto senza cena e senza bere! La mattina dopo eravamo distrutti e dovemmo ritirarci. Messo piede nel canale però ci rendemmo conto che la Cresta Deffeyes scaricava parecchie pietre. Cercammo di scendere il più velocemente possibile: diverse scariche ci passarono vicino, un sasso mi colpì la mano e persi la picca. Per pranzo eravamo di ritorno a Cervinia stanchi e molto incazzati.

Questo tentativo fu per il mio morale un brutto colpo; per parecchio tempo non volli più saperne.

Finalmente nell’estate 2018 mi sentì di nuovo pronto per chiudere i conti con il mio progetto. Chiesi di accompagnarmi al mio caro amico guida alpina e compagno di tante avventure Francesco Ratti. Francesco è un’alpinista fortissimo e un rocciatore eccezionale e subito fu entusiasta del progetto.

Il canale però era in pessime condizioni ed era chiaro che non potevamo utilizzarlo per l’avvicinamento. Qualche anno prima avevo ripetuto con un cliente la via Innocenzo Menabreaz che scala una piccola porzione dello scudo. Da quella volta, intuì che attraversando su una cengia verso destra forse sarei riuscito a raggiungere la mia via senza alcun pericolo.

Quindi il 5 agosto io, Francesco e Roby, nuovamente carichi come muli, partimmo per lo scudo. Per me era il quinto tentativo. Percorremmo la prima parte della Cresta De Amicis, fino all’attacco della Via Innocenzo Menabreaz, traversammo ancora a destra per una cengia fino ad una comoda terrazza. Intuimmo che con un tiro avremmo raggiunto la terrazza del quarto tiro dove avevo bivaccato nel 2015. Attaccò Francesco e aprì un tiro stupendo che ci portò alla cengia. Chiamammo questo tiro variante “Ratti” ed è valutato 6b+. Arrivammo alla sosta del sesto tiro in pochissimo tempo. Partì io davanti e riuscì ad aprire 6/7 mt poi ero stanco morto, il freddo e le alte difficoltà mi avevano distrutto. Francesco mi diede il cambio, era in gran forma e con una grande performance aprì altri 20 mt così riuscimmo a concludere il settimo tiro 7a.

Faceva freddo ed eravamo nella nebbia così decidemmo di scendere, ma ormai la strada verso l’alto era aperta.

Eravamo motivati e volevamo chiudere i conti con questa parete ma tra meteo e gite con i clienti non trovammo un giorno libero fino al 22 settembre. Roby iniziò i lavori di casa e non poteva più dedicare tempo al progetto, così si unì a noi Emrik Favre, guida alpina e mio storico compagno di spedizione che aveva già preso parte al quarto tentativo sullo scudo.

Partimmo alle 3 di notte ormai l’avvicinamento era chiaro e logico. Con le prime luci eravamo ai piedi della variante “Ratti”. Velocemente risalimmo fino in cima al settimo tiro dove ci trovammo nuovamente su terreno vergine. Partì Francesco che era veramente in gran forma e con un gran numero risolse un tiro molto impegnativo che risulterà il tiro più obbligato della via. Sopra di noi si trovava un tiro in strapiombo, Francesco era incontenibile e ripartì. Risolse lo strapiombo e disse che aveva raggiunto una zona facile e continua. Dopo 50 mt ci urlò che aveva fatto sosta. Lo raggiungemmo, Francesco era stanco e mi chiese il cambio, sembrava che con un tiro potevamo uscire. Partì, erano le 16.30, un’ora dopo eravamo tutti sulla grande terrazza che taglia l’ultima parte dello scudo. Iniziò a nevicare e tirare vento forte: dovevamo muoverci! Attraversammo la cengia e uscimmo sulla cresta De Amicis, risalendola fino alla Cravatta che attraversammo spuntando sulla Cresta del Leone. Tutto questo in mezzo alla bufera. Scendemmo e alle 20 arrivammo alla Capanna Carrel, dove ci fermammo mezz’ora: bevemmo un tè caldo e mangiammo qualcosa. Alle 22 arrivammo alla nostra jeep parcheggiata al rifugio Duca degli Abruzzi.

Eravamo stanchissimi e non riuscimmo nemmeno a goderci il momento: volevamo solo dormire, la nostra avventura era durata 18 ore no stop!

Il mattino dopo chiamai Francesco e parlammo della via: concordavamo che mancava ancora qualcosa. L’idea di Francesco era di tornare in parete per liberare i tiri, non ci mise molto a convincermi. Io gli spiegai anche che avrei voluto aggiungere qualche tiro per far uscire la via proprio in cima allo scudo e lui fu subito motivatissimo. Gli ultimi tiri dovrebbero essere facili e decidemmo di affrontarli solo con friends e chiodi.

Il 28 settembre alle 5.30 del mattino ripartimmo con il saccone in spalla in direzione della cresta De Amicis. Per me, era il settimo tentativo. La giornata era splendida: neanche una nuvola, sembrava che il tempo si fosse fermato. Arrivammo velocemente all’attacco e iniziammo subito a scalare, per praticità ci dividemmo i tiri equamente. Eravamo in gran forma e in poche ore raggiungemmo la cengia del nono tiro. Entrambi scalammo tutti i tiri in libera: stupendo! Ci ributtammo su terreno inesplorato: la parete era più facile ma la roccia a tratti meno buona. Mi misi davanti a testa bassa, mi sentivo bene e in appena due ore uscimmo in cima al triangolo dello scudo. Eravamo contentissimi ma anche stupiti perché avevamo aggiunto ancora 140 mt alla nostra via e non scontati. Il momento è magico, seduti in cima allo scudo, avevamo finalmente finito la nostra via!

Così si conclude la nostra avventura su questa stupenda parete. Ci tengo a ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato a realizzare questo sogno, in particolare voglio ringraziare Francesco, senza di lui non sarei mai riuscito a chiudere questo importante progetto.