Dopo due anni di pandemia la voglia di ripartire era tanta e nonostante l’ennesimo rinvio a inizio estate della nostra spedizione al K2 non ci siamo arresi. Riguardando alcune vecchie foto mi sono ricordato del Tenganpoche, una montagna impressionante che spicca sopra Thame, un piccolo villaggio ad un’ora da Nanche Bazar.

Non è stato difficile comporre una squadra affiatata, dopo un paio di telefonate il team era pronto:

Io, Francesco, Emrik, Roger, Jerome e la new entry Leonardo Gheza.

I miei compagni di scalata, tranne Leo, erano tutti super rodati. Leo si è dimostrato una bellissima sorpresa, perché si è adattato perfettamente al nostro gruppo portando nuove idee e nuovi stimoli, spero che in futuro ci sia ancora occasione di legarsi assieme per nuove avventure.

Risolti alcuni problemi legati alla situazione covid, finalmente siamo in viaggio verso il nostro campo base che raggiungiamo velocemente, forse troppo velocemente perché al nostro arrivo siamo senza le tende. Fortunatamente troviamo riparo nel vicino lodge. Sul momento però, le tende passano in secondo piano: la meteo ha previsto in due giorni l’arrivo di una grossa perturbazione. Decidiamo perciò di non perdere tempo e cominciare subito la fase di acclimamento. Ho sempre odiato questa fase perché essendo un tipo poco paziente non sono capace di dare il tempo al mio corpo di adattarsi all’alta quota. Durante i due giorni seguenti abbiamo fatto un gran lavoro dormendo a 5.400 m. e rientrando sotto una fitta nevicata al campo base. Passata la bufera, le montagne erano ricoperte da un buon metro di neve fresca che partiva già da 4500 m. Dopo alcuni giorni decidiamo di completare il nostro acclimamento esplorando una cima poco conosciuta chiamata Yasa Tak alta  circa 6.000 m. Abbiamo deciso di dividerci, io Leo ed Emrik abbiamo scelto di esplorare un’evidente cresta rocciosa mentre Francesco, Je e Roger hanno deciso di partire verso la cresta est più nevosa.

L’indomani siamo partiti dal campo base ed a circa 4.500 m. abbiamo iniziato a scalare su ottima roccia. Dopo una prima parte di cresta molto affilata abbiamo scalato un evidente gendarme con due tiri di V° sostenuto, al termine del pilastro abbiamo deciso di bivaccare su una bella terrazza a  circa 5.300 m, da cui ci siamo goduti un bellissimo tramonto su Everest, Lhotse, Nuptse e Makalu. 

Fino in cima al pilastro abbiamo trovato alcuni chiodi di un vecchio tentativo mentre da lì in avanti ci siamo mossi su terreno vergine. Il giorno seguente ci siamo spostati in piena parete seguendone i punti deboli. Le condizioni della neve non erano perfette e quindi il nostro obiettivo era quello di uscire velocemente per non prendere rischi. Mentre attraversavamo un evidente nevaio, una scarica di sassi ci è passata sopra la testa. Pericolo scampato! Ma quello era il segnale che dovevamo uscire velocemente. Dalla radio sentiamo che i nostri amici erano in vetta sull’anticima dello Yasa Tak e di conseguenza la discesa era tracciata. Abbiamo scoperto in seguito di essere arrivati sull’anticima di questa montagna e non sulla cima vera e proprio, anche se è veramente difficile dire che fosse un anticipa o meno. Alle 12:00 finalmente usciamo anche noi in vetta e la nebbia inizia ad avvolgerci, di colpo Roger ci chiama per radio : “Ragazzi state attenti, abbiamo appena staccato una valanga le condizioni sono delicate, a noi è andata bene”. Cominciamo a scendere prendendo tutte le precauzioni del caso e alle 5 di pomeriggio siamo tutti al campo base a berci una birra. La nostra nuova via abbiamo deciso di chiamarla *Himalayanos Desperados* e la abbiamo valutata 1200 m. V+ M5 80° ed è stato un bel modo di rompere il ghiaccio. Il nome rappresenta la sensazione che provavamo salendo gli ultimi tiri avvolti nella nebbia alla ricerca della via più facile e veloce.

Recuperate le forze è arrivato il momento di andare ad esplorare il nostro obiettivo: il Tengkanpoche 6490 m. Abbiamo deciso di tentare una linea sul lato sinistro dell’evidente pilastro nord già tentata da una spedizione francese. Oltre a noi erano già impegnati nell’impresa due ragazzi inglesi: Tom Livingston e Matt Glenn che volevano risolvere in stile alpino il problema più evidente ed elegante della montagna ovvero il pilastro nord. Sono rimasto colpito dalla motivazione e dalla bravura di questi due fuoriclasse per i quali provo grande ammirazione e stima.

I primi due giorni in parete passano lisci, le difficoltà più grandi erano date dalla difficoltà di piazzare delle protezioni solide nei tiri più difficili e nell’aprirsi la strada nella neve fonda nei tratti più appoggiati. Abbiamo dovuto impegnarci a fondo per superare alcuni tiri impegnativi, in particolare una placca molto liscia che sono riuscito a superare con non poche difficoltà. Onestamente mi è difficile dare un grado, la difficoltà potrebbe aggirarsi sul M6 ma i due tiri sono stati veramente impegnativi a livello mentale perché in 50 m. ho piazzato 5-6 protezioni.

Il giorno seguente eravamo motivati a mettere un campo oltre la parte di roccia per poi fare nei prossimi giorni un tentativo di vetta scalando in un solo colpo gli ultimi 1.000 m. di parete.

Quando stavamo per attraversare un grosso canale che ci avrebbe portato su una spalla è partita una grossa valanga, scatenata dal crollo di uno dei seracchi posto sotto la vetta. Onestamente avevamo valutato che saremmo stati esposti per 20 metri alle scariche dei seracchi però ci sbagliavamo. Queste scariche quando partono prendono l’intera parete e continuare in quella direzione sarebbe stata una follia.  Fortunatamente la valanga è passata a circa 20 metri dai noi però era chiaro che dovevamo scendere. Roger ed Emrik che si trovavano al campo base quando è partita la valanga hanno temuto il peggio per noi. Fortunatamente appena abbiamo iniziato la discesa, li abbiamo chiamati via radio rassicurandoli. Finalmente la sera ci riunimmo tutti al campo base ma il morale era a terra, eravamo demotivati e senza troppe idee su cosa fare nei giorni seguenti.

Ci prendemmo un paio di giorni di relax poi io Jerome e Francesco decidemmo di muoverci  per valutare la vicina parete nord del Kondge RI 6100 m. Arrivando sotto la parete abbiamo avuto una bella sorpresa: le condizioni erano radicalmente diverse infatti la neve portava e si vedeva del ghiaccio solido da scalare. Rientrati al campo base il piano era fatto! Avremmo tentato di aprire una via nuova sulla parete nord del Konge Ri e poi avremmo attraversato in cresta fino al Tegkanpoche. Il giorno seguente preparammo il materiale, io mi sarei legato con Leo invece Emrik Jerome e Francesco avrebbero formato un’altra cordata. Roger invece ha deciso di non venire con noi, i giorni precedenti non era in forma e non se la sentiva di salire in parete. Sono molto orgoglioso della scelta di Roger, ha dimostrato di essere una persona matura, responsabile ed estremamente generosa. Per ripagare almeno in parte il gesto di Roger prima di partire gli promisi che sarei salito assieme a lui sull’Amadablam 6812 m. appena rientrato dal Tegkanpoche.

Nel frattempo ci arriva una notizia stupenda che ci carica tantissimo: Mat e Tom sono riusciti a scalare il pilastro nord, a raggiungere la vetta e ad arrivare a valle sani e salvi. Sono veramente colpito da questa salita, li abbiamo seguiti durante i loro 6 giorni in parete e sono rimasto veramente impressionato. Rifaccio tutti i miei complimenti a questi due fuoriclasse. Grandi ragazzi, chapeau! 

Il giorno seguente, all’alba finalmente partimmo! Arrivati sotto la parete notammo due evidenti linee parallele che portavano entrambe ad un piccolo colletto dove avevamo intenzione di bivaccare.

Decidemmo di dividerci in modo da non tirarci ghiaccio sulle corna a vicenda. La linea mia e di Leo era una bella goulotte interrotta a metà da un salto di roccia verticale. Già dai primi tiri capimmo che non sarebbe stato semplice. Scalate alcune lunghezze su ghiaccio molto fine, ci trovammo alla base del salto verticale. Leo attacca il salto in corrispondenza di un’evidente fessura. Con grande abilità e tenacia, Leo riesce ad arrivarne a capo! Chapeau. Da lì in avanti ricominciano dei nastri di ghiaccio verticali sui quali potevamo muoverci più velocemente. Le ore passano in fretta e arrivati all’ultimo tiro ci tocca accendere le frontali. Alle 18:00 di sera siamo al colle e i nostri amici sono appena dietro di noi, cominciamo a rompere il ghiaccio per creare due piazzole per le tende. Finalmente alle 22: 00 siamo tutti al caldo dopo una giornata molto dura sia per il freddo che per le difficoltà della parete. Il giorno seguente aspettammo il sole per muoverci. Verso le 9:00 tutti e 5 siamo in marcia sulla bella ed affilata cresta che porta al Kondge Ri. Al Tenganpoche le difficoltà non sono mai estreme ma neanche semplici è un po’ come muoversi su una classica via di misto delle Alpi. La giornata passa senza intoppi e a metà pomeriggio piazziamo le nostre tende alla base della cresta est del Tenganpoche. Qui troviamo alcuni pezzi di corde fisse che aveva lasciato una spedizione francese che aveva tentato la vetta qualche giorno prima di noi.

Il giorno seguente con le prime luci abbiamo attaccato la cresta est. Nel primo pezzo siamo avanzati molto velocemente, avvantaggiati anche dalle corde fisse dei francesi, poi di colpo verso i 6.500 m. la cresta impenna e diventa estremamente affilata e le corde spariscono. Solo in quel momento scoprimmo che la spedizione francese non aveva mai raggiunto la vetta. Muovendoci molto lentamente su un terreno non estremo ma molto esposto spuntiamo a 6.700 m . dove la cresta si abbatte e abbiamo ormai la vetta in vista. Finalmente ci separa dalla vetta solo un’esile cresta di neve, io e Emrik come due bambini ci mettiamo a correre per arrivare per primi in cima! Finalmente siamo tutti e cinque in vetta, siamo euforici dopo tanta fatica! Siamo in cima a questo bestione Himalayano. Sulla vetta la felicità è immensa, sono molto orgoglioso di Jerome che al suo primo assaggio d’alta quota ha dimostrato delle qualità notevoli. Io sicuramente alla sua età non avevo la sua prestanza fisica a queste quote, chapeau!

Chiamiamo velocemente Roger per radio e iniziamo la discesa, che si rivelerà lunga e tortuosa. 

Ripercorriamo in retromarcia l’affilata cresta est, arrivati alla base della cresta decidiamo di scendere per la via aperta qualche anno prima in solitaria da Nik Bullock in solitaria. Fatte le prime due doppie per entrare nel grande pendio che scende a picco sul campo base decidiamo di scendere descalando. Ognuno scende col suo ritmo, non c’è fretta e soprattutto non bisogna sbagliare perché il pendio è molto ripido ed esposto. Prima di sera siamo tutti riuniti al campo base dove il nostro mitico cuoco Santos ci ha preparato un’ottima torta per festeggiare. Le due vie aperte sul Kondge Ri abbiamo deciso di chiamarle :

*Santarai* Cazzanelli – Gheza  450 m. AI5 R M7/A2 

*Settebello* Favre – Perruquet – Ratti  AI5 450 m. R M7/A2

La prima via è stata dedicata al nostro cuoco Santos Rai che ci ha coccolati per più di un mese, la seconda invece ci ricorda le lunghe serate trascorse a giocare a carte al gioco della scopa.

Siamo molto felici e soddisfatti di questa salita ma come tutte le volte capiremo meglio ciò che abbiamo fatto qualche giorno dopo. Nella mia mente però sento che non è ancora finita, ormai mi sono convinto di scalare l’Amadablam 6.812 m. in velocità. Questa cima mi ha sempre attirato: infatti lo chiamano il Cervino dell’Himalaya 😉 ed era da parecchio tempo che volevo esplorarla.

Nei giorni seguenti smontiamo il campo base e ci ritiriamo a Namche per qualche giorno di meritato riposo. Salutiamo Francesco e Leo che hanno deciso di rientrare a casa e ci mettiamo in viaggio verso l’Ama. Il piano è semplice: Roger e Jerome salgono a dormire al campo 2 per tentare la vetta il giorno seguente mentre  io e Emrik partiamo dal campo base 4300 m., l’obiettivo è mettere il minor tempo possibile a salire e scendere. Mentre Roger e Je salgono al campo 2 io e Emrik ci godiamo una splendida giornata di riposo in uno dei posti più belli e soleggiati di tutta l’Himalaya. Il giorno seguente decidiamo di dividerci: Emrik partirà alle 3:30 io alle 5:30.

Suona la sveglia, balzo fuori dal letto ed il mitico Ganesh mi stava aspettando con la colazione pronta. Senza fretta mangio, mi preparo e alle 5:30 sono pronto per partire. Fino al campo uno non ho delle belle sensazioni, ho caldo perché mi sono vestito troppo e sudo parecchio, finalmente con l’arrivo del sole mi spoglio e sento che il fisico inizia a girare. Come in tutte le mie salite in velocità  ho con me tutto il mio materiale che porterò su e giù senza sconti. Dopo 1 ora e 50 minuti sono al campo uno. Da quel punto comincio a carburare, il terreno mi è congeniale ed è un piacere scalare velocemente in questo ambiente. Al campo due cambio scarpe e calzo i ramponi (2 ore e 50 minuti), poi arrivato al campo tre mi accoglie un forte vento da nord quindi mi infilo in una tenda e mi copro, piumino, pantalone in Gore e guanti pesanti e si continua (3 ore e 50 minuti). Sopra i 6.500 sento che la quota non mi disturba, allora vedendo i miei amici che scendono e mi incoraggiano decido di aprire a tutta ed esattamente dopo 5 ore, 32 minuti e 6 secondi sono accasciato in vetta al Amadablam. Sono felicissimo, mai avrei pensato di poter metterci così poco tempo. Faccio un po’ di foto, mangio e bevo e via si riparte! Voglio arrivare al campo base in meno di 8 ore. Scendo velocemente fino al campo 3 dove incontro i miei amici che mi fermano e mi dico che c’è una persona in difficoltà. Una cliente di Mingma David è in evidente stato di edema cerebrale. Conosco Mingma da anni e senza dire una parola ci mettiamo a disposizione per il soccorso, mettiamo la ragazza al sicuro e le diamo l’ossigeno che ci fornisce Mingma. Però è evidente che serve un’evacuazione veloce in elicottero. Io e Emrik organizziamo l’operazione e finalmente dopo un paio di ore l’elicottero della Kailash guidato dal pilota svizzero Claudio Mitter trasporta a valle la ragazza con una long line a regola d’arte. Finito tutto, rientriamo al base felici di aver collaborato a questa operazione e soprattutto per aver aiutato una persona in difficoltà. Ancora una volta la bravura e la professionalità dei piloti Kailash ha fatto la differenza.

Ovviamente non ho potuto segnare un tempo della mia discesa dall’Amadablam ma poco importa, mi porto a casa il crono più veloce di salita sulla montagna di 5 ore 32 minuti e 6 secondi  che mi sono serviti per scalare 2.500 m di cresta affilata che a tratti mi hanno ricordano il Cervino.

La nostra spedizione dopo 37 giorni volge al termine. Il rientro fino a Kathmandu e poi in Italia avviene senza intoppi. Personalmente questo viaggio è stato uno dei più belli ed importanti di sempre, condiviso con amici fantastici in luoghi stupendi. Dopo due anni di stop mi porto a casa due vie nuove su due imponenti vette Himalayane e un bellissimo crono sull’Amadablam che mi fa ben sperare per i progetti futuri.